Il Volto Santo e la
Sindone Data: Saturday,
02 April @ 10:49:20 CEST Argomento: Scienza e fede:
nessuna contraddizione
Il Volto Santo e la Sindone. Un confronto al
computer, di Giulio Dante Guerra. Convincente presentazione
dell'ipotesi che il "Volto Santo" di Lucca sia stato scolpito
come "copia autentica" dell'immagine sindonica
Il Volto Santo e la Sindone Un
confronto al computer di
Giulio Dante Guerra
"In quei secoli, ai quali la moderna
civiltà regala il nome di barbari, ma cui meglio converrebbe
il nome di secoli della Fede; in quei secoli nei quali
s'iniziò il progresso delle scienze e delle arti, che in uno
colla religione e sotto la guida di lei sono gli elementi che
costituiscono la vera civiltà; in quei secoli che ci dierono
la Somma di s. Tommaso, la Divina Commedia dell'Alighieri, le
più ammirate Cattedrali d'Italia; in quei secoli era in gran
fama un venerando Simulacro di Gesù Crocifisso, celebre pe'
suoi prodigi in tutta la Chiesa cattolica. Questo augusto
Simulacro, a cui i divoti pellegrini accorrevano da ogni
regione d'Europa, è quello che si custodisce e si onora nel
magnifico nostro Tempio metropolitano col titolo di Volto
Santo, ed agli estranei è noto col titolo di Volto
Santo di Lucca"
Mons. Almerico Guerra, Storia del
Volto Santo di Lucca, Tip. Arciv. S. Paolino, Lucca 1881,
introduzione, p. III.
La
"Leggenda" del Volto Santo
Con
queste parole, alla vigilia dell'XI centenario della venuta a
Lucca del Volto Santo, mons. Almerico Guerra, canonico della
Cattedrale di Lucca e fratello maggiore della beata Elena
Guerra, iniziava l'Introduzione alla sua Storia del
Volto Santo di Lucca. Tutti noi lucchesi conosciamo,
almeno per sommi capi, la "leggenda" del Volto Santo, secondo
la quale il crocifisso viene scolpito da Nicodemo, il
"discepolo occulto" di Gesù, con l'aiuto degli angeli per
l'esecuzione del viso, e rimane nascosto per più di settecento
anni a Ramla, una città della Palestina. Qui viene ritrovato,
dietro ispirazione di un angelo apparsogli in sogno, da
Gualfredo, vescovo subalpino pellegrino in Terra Santa col suo
séguito, che lo reca al porto di Ioppe, l'odierna Giaffa, dove
lo carica su una nave, che sigilla con bitume ed affida al
mare priva di equipaggio, pregando la divina provvidenza che
lo conduca in terre cristiane. La nave, dopo avere
attraversato miracolosamente gran parte del Mediterraneo, si
ferma al largo delle coste di Luni, non lontano da Bocca di
Magra. I lunensi esperti marinai, dediti al commercio
marittimo, ma anche alla pirateria calano in mare le barche,
per predare quella nave incustodita; ma inutilmente, perché,
ad ogni tentativo di raggiungerla, la nave riprende il largo
allontanandosi da loro.
Frattanto, a Lucca, un angelo appare in sogno al
vescovo, il beato Giovanni I, rivelandogli l'arrivo a Luni del
Volto Santo e comandandogli di recarsi là col clero e i
maggiori del popolo, per prenderlo e portarlo a Lucca. Giunto
al porto di Luni col suo séguito, il vescovo vede i lunensi
che di nuovo tentano con remi e vele di raggiungere la nave, e
questa che si allontana sottraendosi ai loro arpioni. Il beato
Giovanni fa cenno ai marinai di fermarsi, ed esorta tutti a
chiedere l'aiuto di Dio; a questo punto, la nave si dirige
spontaneamente verso di lui, che apre i boccaporti ed entra
con i suoi nella stiva, dove trovano il Volto Santo, alla
vista del quale tutti quanti scoppiano in lacrime di gioia ed
intonano il Gloria in excelsis.
Nasce
poi una disputa fra i lucchesi e i lunensi su quale delle due
città abbia diritto a custodire il simulacro. Prima il vescovo
Giovanni estrae dall'interno della statua alcune delle
reliquie in essa contenute, fra cui una delle due ampolle del
sangue di Gesù Cristo quella oggi a Sarzana, l'altra è quella
attualmente venerata a Lucca in S. Frediano e le consegna al
vescovo di Luni; poi si ricorre alla celeberrima "prova dei
giovenchi indomiti": il Volto Santo viene issato su un carro
riccamente addobbato, a cui vengono attaccati due vitelli non
ancora aggiogati. Lasciati liberi di andare, gli animali si
dirigono verso Lucca: di fronte al risultato di questo
"giudizio di Dio", i lunensi se ne tornano alle loro case,
mentre il vescovo Giovanni sale sul carro, che, attorniato
dagli altri lucchesi, giunge trionfalmente a Lucca sul far
della sera. Correva l'anno 782, secondo del regno comune di
Carlo Magno e Pipino II.1
Una "copia autentica" della Sindone?
Guardando il
Volto Santo (Figura 1), salta sùbito agli occhi il contrasto
fra la "schematicità" del corpo quasi una "croce" rivestita di
un'ampia e lunga tunica e il forte realismo del viso, che
appare non solo molto espressivo (Figura 2), ma anche
straordinariamente somigliante a quello dell'Uomo della
Sindone2; una
rassomiglianza analoga si può notare nella forma molto
allungata delle due mani (Figura 3).
Da
queste somiglianze sorge spontanea una domanda: il nostro
Volto Santo non potrebbe essere una "copia autentica" della
Sindone? Alcuni "indizi" possono ricavarsi già dalla
"leggenda". Innanzi tutto l'attribuzione a Nicodemo, il
discepolo che, insieme con Giuseppe di Arimatea, provvide alla
sepoltura di Gesù3, avvolgendone il corpo "in
tele con gli aromi"4; queste "tele" sono
chiamate dai Sinottici col nome di "sindone"5.
Ancora: la più antica narrazione della "leggenda", il De
inventione, revelatione ac tranlatione Sanctissimi Vultus
[...] liber di Leboino, o Leobino6, dice che
Nicodemo "sanctissimum Vultum non sua sed arte divina
disculpsit"7: scolpì il Volto Santo con arte non
sua, ma divina. Questa frase un po' sibillina fu interpretata,
come si è visto, dalla tradizione popolare nel senso che
Nicodemo, incapace, in quanto ebreo, di scolpire un volto
umano, e a maggior ragione quello del Figlio di Dio fatto
uomo, avrebbe invocato l'aiuto divino e, colto dal sonno,
avrebbe trovato al suo risveglio il viso del crocifisso
scolpito dagli angeli. Ma può significare anche che Nicodemo o
chi, qualche secolo dopo, aveva ereditato da lui la Sindone e
le altre reliquie della Passione scolpì il volto ispirandosi
all'"immagine miracolosa" impressa sulla
Sindone8.
Alcuni "leggendaristi" medievali
affermano esplicitamente che il Volto Santo di Lucca fu
scolpito avendo come modello la Santa Sindone. In un'appendice
alla narrazione di Leboino si racconta che un canonico
lucchese, recatosi in pellegrinaggio in Terra Santa all'epoca
della Prima Crociata o poco dopo, ebbe dal patriarca di
Gerusalemme notizie di tradizioni gerosolimitane riguardanti
il Volto Santo. Fra queste c'era quella secondo cui
"Nicodemo vide in sogno un Angelo che lo sollecitò a
lasciare ai venturi una qualche immagine del
Cristo, conforme alla figura impressa nel
lenzuolo"9. Questo "lenzuolo" è chiaramente la
Sindone, anche se il racconto, tutt'altro che conforme alla
narrazione evangelica, che il patriarca avrebbe fatto a
proposito di esso, desta qualche perplessità. Agli inizi del
XIII secolo, Gervasio da Tilbury, cancelliere dell'imperatore
Ottone IV (1196-1218), scrive che Nicodemo scolpì il Volto
Santo avendo presso di sé la Sindone, che poi ripose
all'interno del simulacro con altre reliquie10.
Quindi, secondo Gervasio, il Volto Santo sarebbe stato
addirittura il primo "reliquiario" della Sindone, prima del
suo trasferimento ad Edessa.
Tutti
questi non sono nient'altro, se vogliamo, che "labili indizi"
in favore dell'ipotesi che il nostro Volto Santo riproduca
alcune parti in pratica, il viso e le mani di quella che la
sindonologa Emanuela Marinelli ha definito "un'immagine
impossibile"11. È noto come parecchi studiosi di
fatto, tutti i sindonologi favorevoli all'autenticità della
Sindone abbiano affermato l'origine sindonica delle più
antiche immagini di Cristo, in particolare di quelle dette
dalla tradizione "Volti Santi" e "Veroniche"12. In
un mio articolo pubblicato in occasione del XII centenario
della venuta a Lucca del Volto Santo13, affermavo
che "Il Volto Santo è simile, ma indipendente
da quelle immagini che in qualche modo riconducono alla
Sacra Sindone, come se derivasse da una tradizione
iconografica che abbia avuto come modello Gesù
stesso"14. Questo perché nel nostro crocifisso
manca la cosiddetta "curva bizantina" del "Cristo zoppo", con
una gamba più corta dell'altra, presente in quasi tutti i
crocifissi dipinti posteriori al Mille ed attribuita a un
fraintendimento della posizione dei piedi nella
Sindone15. In realtà non avevo tenuto conto del
fatto che il Mandylion l'immagine achiropita di Edessa, da
molti identificata con la Sindone era anticamente mostrato
ripiegato più volte, così che le "impronte" dei piedi non
erano visibili; a conferma delle testimonianze antiche sono
state trovate sulla Sindone le tracce di alcune ripiegature
orizzontali16.
In
altre parole, sembra lecito ipotizzare che il Volto Santo sia
stato scolpito come "copia autentica" a tutto tondo di quelle
parti dell'immagine sindonica, che si riteneva "lecito"
riprodurre nei primi secoli dell'Era Cristiana, secondo il
"tipo" iconografico presente anche nell'affresco di un
crocifisso tunicato, conservato a Roma nella chiesa dei santi
Cosma e Damiano, e datato dagli esperti all'VIII secolo, lo
stesso a cui la tradizione fa risalire la venuta Lucca del
Volto Santo17.
Un confronto mediante il
computer
Oggi
abbiamo a disposizione, grazie al computer, la
possibilità di un confronto più diretto fra due immagini.
Confronti di questo genere sono stati compiuti fra il volto
sindonico e raffigurazioni del viso di Gesù in antiche icone
orientali e monete bizantine18, come pure fra il
volto sindonico e quello del "Volto Santo di Sansepolcro", un
crocifisso ligneo tunicato custodito nel Duomo di quella città
della Valtiberina aretina19, molto simile a quello
di Lucca. In tutti i casi il confronto ha dato esito positivo.
Perché non tentare un confronto analogo fra il viso del Volto
Santo di Lucca e quello dell'Uomo della Sindone? E, magari,
anche un confronto analogo fra le mani, considerando la
rassomiglianza, notata più sopra, anche di queste? Questi due
confronti compiuti con l'aiuto del Prof. Giulio Fanti, del
Dipartimento di Ingegneria Meccanica dell'Università di Padova
sono stati recentemente oggetto di una mia comunicazione ad un
congresso internazionale di
sindonologia20.
Osserviamo innanzi tutto, il viso dell'Uomo
della Sindone, posto a fianco di quello del Volto Santo di
Lucca.
La
forma allungata del secondo sembra riprodurre l'assenza delle
parti laterali del primo. Gli occhi del Volto Santo appaiono
come "fuori delle orbite", cosa che potrebbe spiegarsi
supponendo che lo scultore abbia voluto riprodurre in qualche
modo le "macchie" visibili all'interno delle cavità orbitali
dell'Uomo della Sindone, "macchie" che le ricerche moderne
hanno identificato come impronte di due monetine romane, dei
tempi di Ponzio Pilato, poste sulle palpebre21. La
barba del Volto Santo è nettamente bipartita, come quella
dell'Uomo della Sindone; anche il suo marcato distacco dal
labbro inferiore sembra voler riprodurre un particolare ben
visibile nel volto dell'Uomo della
Sindone.
E
veniamo ora al confronto più diretto, o meglio più "stretto":
il computer ci permette di compiere una transizione
graduale da una figura all'altra, mediante una successione di
sovrapposizioni parziali. La Figura 5 mostra una comparazione
di questo tipo fra il negativo fotografico scelto perché dà
un'immagine più distinta del viso dell'Uomo della Sindone e
quello del Volto Santo.
Nel
"passaggio" da un viso all'altro non si riesce a notare
nessuna discontinuità significativa, a parte le macchie di
sangue, assenti nel nostro simulacro, che raffigura Cristo
"regnante dalla Croce".
La
stessa tecnica è stata usata anche per confrontare la mano
destra del Volto Santo di Lucca con quella dell'Uomo della
Sindone, usando questa volta l'immagine direttamente visibile
sul lino. Dalla Figura 6 si può vedere che neanche qui ci sono
discontinuità significative.
La lunghezza
eccessiva, potremmo quasi dire "non naturale", delle dita del
Volto Santo si può spiegare col fatto che l'autore della
statua scolpì il palmo di una mano avendo come modello
l'impronta di un dorso di mano, in cui, per giunta, può essere
difficile distinguere le dita dalle nocche. Per di più, il
grumo di sangue della ferita, provocata dal chiodo confitto
nel polso sinistro dell'Uomo della Sindone, può avere
indotto lo scultore del Volto Santo ad allungarne
ulteriormente le mani; infatti, egli credeva che i chiodi
fossero stati confitti nei palmi, come si può vedere
dalle capocchie dei chiodi sulle mani della statua.
Un "problema di fede"?
Il
fatto che i risultati di questa analisi al computer
avvalorino l'ipotesi che il Volto Santo di Lucca possa essere
un "copia autentica" della Sindone non accresce soltanto
l'importanza iconografica del nostro crocifisso, dandoci, per
così dire, una "spiegazione storicamente plausibile" della
tradizione che ne vuole autore Nicodemo, un uomo che era stato
presente all'avvolgimento nella Sindone del corpo di Gesù
crocifisso. Questi risultati fanno anche del Volto Santo un
ulteriore elemento di un problema assai dibattuto, quello
della datazione, e quindi dell'autenticità, della Santa
Sindone. La "prova del carbonio 14", compiuta nel 1988,
anziché "risolvere una volta per tutte" tale problema, lo ha
reso caso mai ancora più complesso: si è rivelata tutto, meno
che un'"ordalia", un giudizio definitivo e
irrevocabile22.
Sia
ben chiaro: la fede cattolica non dipende certo
dall'autenticità di una reliquia, sia pure unica e importante
come la Sindone. Non per nulla la linea di demarcazione fra
favorevoli e contrari all'autenticità della Sindone attraversa
trasversalmente le varie confessioni religiose. Da un lato,
troviamo protestanti, ebrei e addirittura agnostici favorevoli
all'autenticità: non tutti i sindonologi protestanti sono come
quelli valdesi di casa nostra, che la negano a priori, forse
confondendo inconsciamente il problema teologico della
venerazione delle reliquie praticata dai cattolici e rifiutata
da loro come da tutti i protestanti con quello scientifico e
storico dell'autenticità di quella particolarissima reliquia.
Dall'altro lato, troviamo cattolici decisamente contrari
all'autenticità. Il più famoso è stato il sacerdote francese
Cyre-Ulysse-Joseph Chevalier, che all'inizio del XX secolo
dichiarò "falsa" la Sindone sulla testimonianza di un
documento medievale come minimo "tendenzioso"23.
Perfino l'abate Giuseppe Ricciotti, quando nella sua
indubbiamente pregevole Vita di Gesù Cristo, scritta
nel 1941, quando era già nota la singolare natura di "negativo
ottico" dell'immagine sindonica discute e critica gli scritti,
relativamente recenti o decisamente apocrifi, che parlano
dell'"aspetto fisico" di Gesù, non nomina mai la
Sindone24. Anzi, non sembra neanche accorgersi che
quegli scritti descrivono, in realtà, proprio l'immagine
visibile ad occhio nudo sulla Sindone. Insomma, anche uno dei
maggiori esponenti dell'apologetica cattolica del XX secolo si
è mostrato "indifferente" di fronte al problema sindonico. E
non mancano oggi neppure vescovi perlomeno scettici nei
confronti dell'autenticità. E, in fondo, è giusto che sia
così: non è un problema di fede.
Tuttavia, in questi tempi di diffusione sempre
più capillare di una "nuova religiosità"25
pseudo-spiritualistica, quello dell'autenticità o meno della
Sindone può diventare, almeno indirettamente, un problema di
quale fede. Quel "testimone muto ma nello stesso tempo
sorprendentemente eloquente della passione, morte e
resurrezione di Cristo" come definì la Sindone Giovanni Paolo
II il 13 aprile 1980 a Torino può ricordare a noi cattolici la
"materialità", la "carnalità" della Redenzione. Come dice
Vittorio Messori in una sua recente intervista: "Per
salvare l'anima in fondo basta Platone; per credere
nell'immortalità dello spirito ci sono infinite filosofie; ma
solo il cristianesimo afferma la salvezza dell'uomo
tutt'intero, la resurrezione dei corpi"26. Per
molti nostri contemporanei non è difficile accettare un
"cristianesimo" disincarnato, in cui il Cristo è ridotto a una
specie di "simbolo messianico" di sapore vagamente
neo-gnostico27. Ma un "simbolo messianico" di
questo genere non salva, non redime l'uomo nella sua totalità
d'anima e corpo, come può fare solo il Figlio di Dio,
incarnato, morto e risorto per noi.
Carbonio 14, una "datazione"
incongrua
Quale
ruolo viene ad avere il Volto Santo di Lucca nella questione
della datazione della Sindone? Sostanzialmente lo stesso di
tutte le "immagini achiropite" di Gesù Cristo sicuramente
anteriori al 1260, la più antica fra le due date, 1260 e 1390,
dell'intervallo indicato dalla famosa "prova del carbonio 14"
del 1988. Potremmo dire che il confronto mediante
computer fra il Volto Santo di Lucca e la Sindone di
Torino aggiunge una specie di "centunesima prova" alle "cento
prove sulla Sindone", riportate da Giulio Fanti ed Emanuela
Marinelli nell'omonimo libro28.
Che il
nostro crocifisso sia anteriore al 1260 è indubbio. La
tradizione agiografica lucchese pone, come si è visto,
l'arrivo del Volto Santo a Lucca nell'anno 782. Anzi, se
volessimo prendere alla lettera un passo dello scritto di
Leboino, così come è giunto fino a noi, dovremmo retrodatare
l'arrivo addirittura di quarant'anni. Si legge infatti nella
"leggenda": "In mezzo a tanta esultanza e a sì solenne
trionfo entrò il Volto Santo in Lucca, l'anno della salutifera
incarnazione del nostro Signore Gesù Cristo 742, al tempo di
Carlo e Pipino, serenissimi re, nell'anno secondo del loro
regno"29. Ma questa data è verosimilmente
errata, soprattutto perché contrasta col ruolo preponderante
dato, nella "leggenda", al beato vescovo Giovanni I, che resse
al diocesi di Lucca dal 780 all'801. L'anno 742 era il secondo
di Carlomanno e Pipino il Breve, maggiordomi del Regno Franco,
che non regnarono mai in Italia, mentre in quell'anno Lucca
era ancora la città principale della Tuscia longobarda, su cui
regnavano Liutprando e suo nipote Ildeprando. Sembra per lo
meno strano che l'arrivo miracoloso o no del Volto Santo a
Lucca sia stato registrato, nella Tuscia longobarda, secondo
il numero degli anni di regno di due sovrani stranieri; e
questo in un'epoca, in cui il riferimento al sovrano regnante
in loco era un metodo di datazione più diffuso di quello
dell'"era volgare", al contrario di quanto avveniva già negli
anni in cui fu redatto il testo definitivo della "leggenda". È
quindi probabile che un tardo redattore che scriveva negli
anni intorno al 1100, quando ormai vigeva l'uso d'indicare la
data come si fa oggi, inizio dell'anno a parte abbia confuso
fra di loro due coppie di sovrani carolingi30.
D'altra parte, che il testo leboiniano abbia avuto diverse
redazioni successive, è ormai ammesso da tutti; ma è anche
vero che diversi particolari della narrazione indicano che il
suo nucleo originario debba risalire all'VIII secolo. Per
esempio, un passo, in cui si parla di monaci siri che
custodivano il Santo Sepolcro31; o il Gloria in
excelsis, intonato dal beato Giovanni I e dal suo séguito
alla vista del Volto Santo, invece del Te Deum, il cui uso
come inno di ringraziamento non si diffuse prima del IX
secolo32. Oltre a ciò, esistono non pochi indizi
della presenza nel Duomo di Lucca, fin dagli anni
dell'episcopato di Giovanni I, di un crocifisso molto
venerato33.
Il
problema allora diventa il seguente: il crocifisso giunto a
Lucca nel tardo VIII secolo, è lo stesso che oggi veneriamo
all'interno della cappella eretta da Matteo Civitali nella
navata sinistra del Duomo di S. Martino? Sì, perché a
complicare le cose ci si sono messi gli storici dell'arte, che
hanno giudicato, basandosi esclusivamente su "dati
stilistici", il Volto Santo un'opera della scuola
dell'Antelami, scolpita fra l'XI e il XII secolo. Di qui le
ipotesi, fatte dagli storici che hanno ritenuto valido questo
giudizio, di sostituzioni in nessun modo
documentabili34. Ma la storia dell'arte è
tutt'altro che una "scienza esatta": anche senza voler tirare
in ballo la celebre beffa di cui fece le spese uno storico e
critico d'arte come Giulio Carlo Argan delle "teste di
Modigliani", possiamo leggere, nel libro di mons. Lazzarini,
che "un critico non medievale e di grande valore, basandosi
sui soli dati stilistici, giudicò opera del sedicesimo secolo,
un ritratto di S. Benedetto Giuseppe Labre, che era nato nel
1748 e morto nel 1783"35. Un altro esempio,
ancora più pertinente, è quello del già ricordato Volto Santo
di Sansepolcro. Fino al 1985 questo crocifisso era giudicato
una scultura tardo-romanica dei secoli XII-XIII. In quell'anno
la statua fu trasferita all'Opificio delle Pietre Dure di
Firenze, dove fu sottoposta a un accurato restauro, durato
fino al 1989, che si rivelò un'autentica "sorpresa"; infatti,
la rimozione del pesante strato di vernice scura, piuttosto
recente, che copriva uniformemente tutto il crocifisso, e i
saggi compiuti al di sotto della decorazione policroma
romanica riportata alla luce, hanno permesso di retrodatare la
scultura all'età ottoniana, più o meno agli anni intorno al
90036. Quali "sorprese" potrebbe riservare un
restauro analogo compiuto sul Volto Santo di Lucca? Oggi
sappiamo solo che, sotto la vernice nera che attualmente copre
quasi tutta la statua, esiste una precedente colorazione rossa
della tunica e celeste della croce37; ma niente ci
assicura che sia la colorazione originaria. D'altro canto, un
restauro analogo a quello compiuto anni fa sul crocifisso di
Sansepolcro è difficilmente pensabile, e, forse, non sarebbe
neanche troppo gradito ai lucchesi: basti pensare alle
reazioni e alle polemiche che suscitò nel 1583 l'iniziativa
del vescovo di allora, card. Alessandro Guidiccioni, di fare
semplicemente lavare le mani e il viso del Volto Santo, forse
solo per togliere il nerofumo depositato dalla fiamma delle
candele38.
Ma
torniamo al Volto Santo come possibile "copia autentica" della
Sindone, e ai risultati dell'indagine al computer, che hanno
gettato nuova luce sulle tradizioni raccolte dai
"leggendaristi" medievali. È possibile che una statua presente
a Lucca dalla fine dell'VIII secolo sia stata scolpita avendo
come modello l'immagine visibile su una tela "tessuta fra il
1260 e il 1390"? Certamente no. Perfino nell'ipotesi del
"rifacimento" fra la fine dell'XI e l'inizio del XII secolo
come vorrebbero gli storici dell'arte il Volto Santo di Lucca
resterebbe comunque anteriore al 1260. Come tutte le altre
"immagini achiropite" di Gesù Cristo.
E
allora, potrà domandare qualcuno, i risultati del test
del carbonio 14? Per prima cosa, per dare un risultato
attendibile, quel test deve essere compiuto su un
campione il più possibile esente da
contaminazioni39; cosa che non si può certo dire
del tessuto sindonico, viste le vicissitudini subite dalla
Sindone, se non altro dal 1353 anno in cui ricomparve nella
cittadina francese di Lirey, nella Champagne, dopo che un
lenzuolo praticamente identico era scomparso da Costantinopoli
nel 1204, durante la IV Crociata fino ad oggi40, a
causa delle quali può essere avvenuto un "ringiovanimento" del
tessuto, per aggiunta di carbonio recente41.
Secondo, quella del carbonio 14 è una prova, non
la prova decisiva e inconfutabile, che nelle scienze
sperimentali semplicemente non esiste. La datazione di
un reperto e più che mai di un reperto unico come la Sindone
non può essere che il risultato di una ricerca
interdisciplinare: e risultato, per così dire, "provvisorio",
sempre modificabile mediante nuovi esperimenti. È passato
circa mezzo secolo da quando la scoperta del test del
carbonio 14 diede l'illusione di avere trovato un "metodo di
datazione assoluta" dei reperti organici. Oggi tale illusione
sopravvive solo nell'"uomo della strada" e... negli
specialisti della datazione radio-carbonica.
Trent'anni di attività di ricerca nel CNR mi
hanno convinto che non c'è niente di più dannoso per la
scienza che la "mentalità specialistica" di alcuni suoi
cultori, mentalità che, talvolta, ha fatto fallire sul nascere
importanti progetti di ricerca interdisciplinare. Una
mentalità di questo genere sembra aver caratterizzato proprio
gli scienziati incaricati di eseguire le prove di datazione
del tessuto sindonico mediante il carbonio 14, o almeno buona
parte di essi42. Da questo punto di vista, chi
scrive si è sempre sforzato di evitare di acquisire una
"mentalità specialistica", sia nella sua attività
professionale, sia nel coltivare il maggior numero possibile
di interessi extra-professionali. Fra cui quello che lo ha
portato a compiere questo modesto studio sul Volto Santo e la
Sindone; con la speranza, fra l'altro, che possa essere
l'occasione per dare un significato più profondo alla
venerazione che noi lucchesi tributiamo da secoli a quel
simulacro di Cristo regnante dall'alto della Croce.
Scheda bio-bibliografica
Giulio
Dante Guerra nasce a Lucca il 13 settembre 1946, dalla
famiglia che ha dato alla Chiesa lucchese la beata Elena
Guerra, fondatrice delle Oblate dello Spirito Santo, e lo
storico del Volto Santo mons. Almerico Guerra. Laureatosi in
chimica presso l'Università di Pisa nell'aprile del 1970, nel
novembre dello stesso anno è vincitore di una borsa di
addestramento del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). È
attualmente Primo Ricercatore del CNR presso il Centro di
Studi sui Materiali Macromolecolari Polifasici e
Biocompatibili del CNR di Pisa. È autore di numerose
pubblicazioni scientifiche nel campo della polimerizzazione
ionica ed elettroiniziata e in quello dei biomateriali.
Refrattario per principio ad ogni tipo di "specializzazione",
agli interessi scientifici in senso stretto ne affianca altri
nel campo dell'apologetica e dell'agiografia, di cui sono
testimonianza i suoi studi: De libello a Jacobo Monod de
alea et necessitate conscripto thomistica censura, in
Atti dell'VIII Congresso Tomistico Internazionale, Vol.
V, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1982, pp.
359-364; La "leggenda" del Volto Santo di Lucca, in
Cristianità, anno X, n. 88-89, agosto-settembre 1982;
Il culto del Volto Santo di Lucca attraverso i secoli,
ibid., anno X, n. 91, novembre 1982; La vita non è nata
per caso, ibid., anno XI, n. 97, maggio 1983; La
Madonna di Bonaria, ibid., anno XII, n. 106, febbraio
1984; La Madonna di Guadalupe. Un caso di "inculturazione"
miracolosa, Cristianità, Piacenza 1992; La disputa fra
Luigi Galvani e Alessandro Volta e il mito della "neutralità
della scienza", in Cristianità, anno XXIV, n. 260,
dicembre 1996; L'origine della vita, in IDIS, Voci
per un "Dizionario del Pensiero Forte", a cura di Giovanni
Cantoni, Cristianità, Piacenza 1997, pp. 251-256.
NOTE
1 Cfr. mons. Pietro Lazzarini, Il
Volto Santo di Lucca, Pacini Fazzi, Lucca 1982, pp.
45-50.
2 "Uomo della Sindone" è chiamato dai
sindonologi il "personaggio" quasi certamente Gesù di Nazaret
l'"impronta" del cui corpo è visibile sulla Santa Sindone di
Torino. Cfr., p. es.: Orazio Petrosillo ed Emanuela Marinelli,
La Sindone. Storia di un enigma, Rizzoli, Milano 1998;
Giulio Fanti ed Emanuela Marinelli, Cento prove sulla
Sindone. Un giudizio probabilistico sull'autenticità,
Edizioni Messaggero Padova, Padova 1999.
3 Cfr. Gv 19, 38
ss.
4 Ibid. 19, 40.
5 Cfr. Mt 27, 59; Mc
12, 46; Lc 23, 53.
6 Cfr. la traduzione italiana in
mons. Pietro Lazzarini, op. cit., pp. 45-58. Il testo
latino oggi noto è datato dagli esperti fra la fine dell'XI e
gli inizi del XII secolo.
7 Ibid., p. 56.
8 Cfr. ibid., pp.
93-96.
9 Ibid., p. 54.
10 Cfr. Gervasii Tilburiensis,
Otia imperialia, seu de miraculis orbis terrae, III,
21, cit. in mons. Almerico Guerra, Storia del Volto Santo
di Lucca, Tip. Arciv. S. Paolino, Lucca 1881, pp.
16-17.
11 Cfr. Emanuela Marinelli, La
Sindone. Un'immagine "impossibile", San Paolo, Cinisello
Balsamo 1996.
12 Cfr. Orazio Petrosillo ed Emanuela
Marinelli, op. cit., pp. 63-71.
13 Cfr. Giulio Guerra, La
"leggenda" del Volto Santo di Lucca, in
Cristianità, anno X, N. 88-89, agosto-settembre 1982,
pp. 7-10.
14 Ibid., pp. 9-10.
15 Cfr. Orazio Petrosillo ed Emanuela
Marinelli, op. cit., pp. 70-71; Giulio Fanti ed
Emanuela Marinelli, op. cit., p. 162.
16 Cfr. Orazio Petrosillo ed Emanuela
Marinelli, op. cit., pp. 47-52; Giulio Fanti ed
Emanuela Marinelli, op. cit., pp. 158-159.
17 Cfr. mons. Pietro Lazzarini,
op. cit., p. 174.
18 Cfr. Orazio Petrosillo ed Emanuela
Marinelli, op. cit., pp. 68-69; Giulio Fanti ed
Emanuela Marinelli, op. cit., pp. 161-162; Mario Moroni
e Francesco Barbesino, Apologia di un falsario. Un'indagine
sulla Santa Sindone di Torino, Maurizio Minchella, Milano
1997, pp. 11-12.
19 Cfr. Enzo Papi, Il Volto Santo
di Sansepolcro, fede e storia fra X e XX secolo, La
Ginestra, Sansepolcro 1993, pp. 51-57.
20 Cfr. Giulio D. Guerra, Il
"Volto Santo di Lucca" è una copia della Sindone? Una
comparazione fra le due immagini mediante computer.
Comunicazione presentata al Worldwide Congress "SINDONE 2000",
Orvieto 27-29 agosto 2000.
21 Cfr. Orazio Petrosillo ed Emanuela
Marinelli, op. cit., pp. 107-109; Giulio Fanti ed
Emanuela Marinelli, op. cit., pp. 141-143.
22 Cfr. Francesco Barbesino e Mario
Moroni, L'ordalia del carbonio 14, Mimep-Docete,
Pessano (MI) 1995.
23 Cfr. Orazio Petrosillo ed Emanuela
Marinelli, op. cit., pp. 53-59.
24 Cfr. abate Giuseppe Ricciotti,
Vita di Gesù Cristo, 5a ed., Mondadori, Milano 1974,
Vol. I, pp. 190-194.
25 Cfr. Massimo Introvigne, La
questione della nuova religiosità, Cristianità, Piacenza
1993.
26 Vittorio Messori, Ritorno alla
materia, intervista a cura di Roberto Beretta, in Il
Timone, anno II, n. 8, luglio-agosto 2000, p.
8.
27 Su "neo-gnosticismo" e "nuovo
gnosticismo" cfr. Massimo Introvigne, Il ritorno dello
gnosticismo, SugarCo, Carnago (VA) 1993.
28 Cfr. Giulio Fanti ed Emanuela
Marinelli, op. cit.
29 Mons. Pietro Lazzarini, op.
cit., p. 48. Cfr. l'originale latino in mons. Almerico
Guerra, op. cit., p. 305.
30 Cfr. mons. Pietro Lazzarini,
op. cit., pp. 97-110.
31 Cfr. mons. Almerico Guerra, op.
cit., p. 322.
32 Cfr. ibid., p.
318.
33 Cfr. mons. Pietro Lazzarini,
op. cit., pp. 111-120.
34 Cfr. ibid., pp.
85-86.
35 Ibid., p. 87.
36 Cfr. Enzo Papi, op. cit.,
pp. 27-43.
37 Cfr. mons. Pietro Lazzarini,
op. cit., p. 89.
38 Cfr. Elio Bertini, Il Volto
Santo nella storia di Lucca, Pacini Fazzi, Lucca 1982, pp.
32-36.
39 Cfr. Francesco Barbesino e Mario
Moroni, op. cit., pp. 5-10.
40 Cfr. Giulio Fanti ed Emanuela
Marinelli, op. cit., pp. 76-82.
41 Cfr. Francesco Barbesino e Mario
Moroni, op. cit., pp. 55-61.
42 Cfr. ibid., pp.
47-54.
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