tratto da:
http://www.salpan.org/GRANDI%20TEMI/Donazione%20ORGANI/06%20Ambiguità%20di%20GP%20II.htm

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LA PREDAZIONE DI ORGANI E LE AMBIGUITÀ DI GIOVANNI PAOLO II

di don Giuseppe Rottoli

Articolo pubblicato su La Tradizione Cattolica
n. 46 del 2001

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       Giovanni Paolo Il il 29 agosto 2000 ha partecipato, a Roma, al Congresso Internazionale della Società dei Trapianti ed ha tenuto un discorso per l'occasione. La stampa e i mass media ne hanno approfittato per esaltare il suo discorso a favore della "scienza".
       Ma è proprio cosi? La verità è che il testo contiene frasi contraddittorie che possono andare bene sia ai fautori del trapianto sia a coloro che ne sono contrari. Infatti il pontefice ha affermato che: "Gli organi vitali e singoli non possono essere prelevati che ex cadavere cioè da un individuo certamente morto ... comportarsi altrimenti significherebbe causare intenzionalmente la morte del donatore prelevando i suoi organi". Egli ha anche ricordato che la morte è la separazione dell'anima dal corpo e che "1a morte della persona, intesa in questo senso radicale, è un evento che non può essere direttamente individuato da nessuna tecnica scientifica o metodica empirica".
       Fin qui non abbiamo nulla da eccepire, ma se proseguiamo nella lettura del discorso troviamo delle contraddizioni e imprecisioni con i dati scientifici, per cui ci sembra che il papa si fidi troppo di ... alcuni attuali uomini di scienza. Infatti leggiamo: "E' ben noto che, da qualche tempo, diverse motivazioni scientifiche per l'accertamento della morte hanno spostato l'accento dai tradizionali segni cardio-respiratori al cosiddetto criterio "neurologico", vale a dire alla rilevazione, secondo parametri ben individuati e condivisi dalla comunità scientifica internazionale, della cessazione totale ed irreversibile di ogni attività encefalica (cervello, cervelletto e tronco encefalico), in quanto segno della perduta capacità di integrazione dell'organismo individuale come tale. Di fronte agli odierni parametri di accertamento della morte  —sia che ci si riferisca ai segni "encefalici" sia che si faccia ricorso ai più tradizionali segni cardio-respiratori—, la Chiesa non fa opzioni scientifiche, ... In questa prospettiva, si può affermare che il recente criterio di accertamento della morte sopra menzionato, cioè la cessazione totale ed irreversibile di ogni attività encefalica, se applicato scrupolosamente, non appare in contrasto con gli elementi essenziali di una corretta concezione antropologica" (1).(2)

 

 

(2) Come si vede, manca un'adesione entusiasta e un invito all'atto di "carità estrema". Il Papa dice semplicemente: SE la morte cerebrale è vera morte, si faccia pure l'espianto, ma è ovvio che se non lo è, se non è vera morte, l'espianto non deve essere fatto.
È evidente QUINDI che Giovanni Paolo II ha parlato "in buona fede", fidando nella scienza di alcuni, ma se venisse a sapere della "scienza" di altri, degli oppositori, che direbbe?
— La Chiesa non ha opposizioni scientifiche
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LA REALTÀ

       Innanzi tutto non è vero che la comunità scientifica internazionale sia favorevole all'unanimità all'attuale criterio "neurologico" che viene espresso col termine di "morte cerebrale". Infatti il recente concetto è stato introdotto per poter effettuare prelievi di organi da chi si trova in coma cerebrale, mentre, come citeremo, molti scienziati e professori hanno pubblicato le loro ricerche ed i relativi risultati su autorevoli riviste scientifiche di medicina ed hanno espresso la loro disapprovazione sul concetto di "morte cerebrale", perché non coincide con la cessazione totale e irreversibile di ogni attività cerebrale, per cui non è scientifico e non accerta affatto la morte vera.
       Inoltre il Papa dice che i prelievi di organi devono essere effettuati da cadaveri; ora dai veri defunti possono essere prelevati solo alcuni tessuti come la cornea, mentre gli organi vivi come il cuore, i polmoni, il fegato, i reni ecc. per essere trapiantabili devono essere tolti da persone dichiarate in "morte cerebrale" che respirano ancora (anche se la respirazione è artificiale), che hanno il cuore che pulsa, il cui sangue circola, che sono calde e rosee, i cui arti per stimoli dolorosi possono muoversi (il cosiddetto segno di Lazzaro) e se sono donne possono condurre avanti una gravidanza dando alla luce un figlio vivo e sano ecc. (è alquanto anomalo considerare queste persone defunte quando nessuno avrebbe il coraggio di mettere in una bara qualcuno che respira, che ha il cuore e il polso che battono!). E' evidente che tali persone non sono cadaveri e che da veri cadaveri si possono prelevare solo organi che sono già in stato di degenerazione e che non possono essere trapiantati.

 

   

STORIA DELLA NUOVA TERMINOLOGIA

       Come è citato nel documento del Papa, si è passati dalla definizione tradizionale di morte intesa come arresto delle funzioni circolatoria e respiratoria a quella di "morte cerebrale" intesa come cessazione di tutte le funzioni dell'intero cervello, compreso il tronco cerebrale. Questo criterio neurologico di morte cerebrale è stato introdotto in seguito al primo trapianto ufficiale di cuore fatto dal prof. C. Barnard nel 1967, a Città del Capo. Contro queste nuove tecniche si schierarono diversi professori e scienziati, a causa del fatto che le persone dalle quali si facevano i prelievi di organi, (chiamati anche espianti) certamente non erano morte. In Italia il prof. Stefanini, in televisione, attaccò Barnard affermando che se non c'è la morte non si può fare il trapianto e che se non c'è cadavere c'è omicidio". Tra gli altri professori in Italia che si opposero ai quei trapianti ricordiamo il prof. Dioguardi di Milano e i prof. Gasbarrini e Puddu di Bologna. Un mese dopo il trapianto di Città del Capo, siccome negli Stati Uniti vi erano 200 medici indagati, fu istituita una Commissione "ad hoc" dalla Harvad School di Boston con l'incarico di definire la morte in chiave neurologica, per evitare accuse legali e morali alle équipes trapiantistiche.
       Nel 1969 la Commissione di Harvard pubblicava il suo Rapporto sul Journal of the American Association (J.A.M.A.) dove non spiegava perché il coma sia assimilabile alla morte, ma semplicemente affermava che occorre definire morte il coma irreversibile per motivi pratici (liberare letti d'ospedale, alleviare il peso sociale dei pazienti in stato vegetativo, reperire senza contrasti organi da trapiantare). Nel 1979 due filosofi "cattolici" dei movimenti per la vita, Grisez e Boyle inventarono una nuova definizione di morte cerebrale introducendo il concetto di unità funzionale integrativa, come se il cervello fosse l'unico organo responsabile dell'unità funzionale integrativa. Essi contribuirono così a soppiantare l'etica che diceva che la vita è sacra per introdurre l'etica della qualità di vita. Nel 1981 la morte cerebrale veniva definita in termini medico legali e venne accolta senz'opposizione in quasi tutto il mondo industrializzato, eccetto il Nord Europa e il Giappone. (3)
       Nel 1992 però due scienziati americani, sempre della Harvard School, il Dr. Robert D. Truog e il Dr. Sames C. Fackler, pubblicarono un altro rapporto dal titolo significativo "Rethinking brain death": Ripensamento (o revisione) della morte cerebrale. (4)
       E' il rapporto più significativo per la parte medico-legale, stranamente mai pubblicato in Italia, forse perché per il suo titolo e i suoi 87 riferimenti bibliografici non convenivano! Ecco l'estratto dei dati e la sintesi del loro studio: "Proponiamo quattro argomenti a sostegno del parere che i pazienti che rispondono agli attuali criteri clinici della morte cerebrale, non necessariamente presentano la perdita irreversibile di tutte le funzioni del cervello (per cui queste persone non sono morte ma vive! (n. d. R.).
       In primo luogo, in molti pazienti clinicamente in morte cerebrale è conservata la funzione endocrina-ipotalamica.
       In secondo luogo, in molti pazienti è conservata l'attività elettrica cerebrale.
       In terzo luogo, alcuni pazienti conservano la capacità di reagire agli stimoli dell'ambiente.
       In quarto luogo, il cervello è definito fisiologicamente come sistema nervoso centrale, e in molti pazienti clinicamente in morte cerebrale è conservata l'attività del sistema nervoso centrale, sotto forma di riflessi spinali.
Questi risultati sono in netto contrasto con il requisito di una cessazione irreversibile di tutte le funzioni cerebrali".

       La conclusione di questo studio è che non esistono mezzi strumentali atti a dimostrare la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo, quindi neanche l'elettroencefalogramma (che abbrevieremo con la sigla EEG) o altri tests sono in grado di accertare la cessazione irreversibile di ogni attività encefalica. Tra l'altro occorre notare che a livello mondiale non vi è accordo fra scienziati e clinici sui criteri e sulle prove da adottare per dichiarare la cosiddetta "morte cerebrale": per es.: nel Regno Unito non si usa l'EEG.
       In Italia la legge 578/93, ripetendo la definizione di Harvard del 1969, dice che 1a morte si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni del cervello" e prevede quattro categorie di accertamenti per poter dichiarare una persona in morte cerebrale. Essa richiede contemporaneamente l'assenza:
1) della coscienza,
2) della respirazione spontanea,
3) dei riflessi e
4) delle risposte elettriche cerebrali.
Per questo ultimo accertamento si usa l'EEG che dà il tracciato grafico dell'attività elettrica a livello della superficie cerebrale; questo risultato si ottiene con un apparecchio collegato ad elettrodi posti sul cuoio capelluto e con una penna scrivente su un rotolo di carta. In sintesi la legge italiana dice che per una attività elettrica al di sopra di 2 microvolts c'e la vita, mentre per una attività minore c'è la morte, balza subito alla mente che 2 micorvolts rappresentano una soglia arbitraria che non corrisponde a uno zero assoluto strumentale, è solo una convenzione per dire che una persona è morta.
       Scientificamente non è esatto; infatti già a suo tempo il prof. Bergamini (5) scriveva: "Un tracciato elettroencefalo-grafico può essere normale anche se piatto, cioè privo di ritmo visibile: ad es. soggetti adulti ansiosi o soggetti neonati possono aver un tracciato piatto che di per sé non è assolutamente definibile patologico" (di fatto, la scienza non sa perché in questo caso l'EEG sia piatto, perché indichi uno stato patologico occorrono altri segni).
       Inoltre il prof. Bondì (6) scriveva che la presenza di forti addensamenti emorragici endocranici (tipica dei traumatizzati da incidenti) "può eliminare il "segnale" della penna scrivente o diminuire di molto l'ampiezza dei segnali rilevati dalla macchina operante con elettrodi applicati sopra il tavolato osseo; data l'esiguità della traccia scritta è sempre problematico e grossolano l'apprezzamento obiettivo di questi segni di vita, la cui importanza è capitale, se possono sottrarre un paziente alla sentenza medico legale di morte e all'irrimediabile svuotamento del suo corpo con l'espianto; in questo caso gli elettrodi dovrebbero essere posti sotto il tavolato osseo. Quindi l'EEG non dimostra affatto che l'attività cerebrale sia assente in tutto l'encefalo".
       In Italia la legge non prevede tecniche più sofisticate che potrebbero dimostrare la presenza di vita cerebrale, come la verifica di presenza o meno di circolo cerebrale, mentre è un test fondamentale per dichiarare una prognosi infausta. Infatti una persona può essere dichiarata morta quando permangono residui funzionati di circolazione intercranica. "Isole di residua circolazione intercranica possono rappresentare funzione cerebrale e vita persistente; ed io mi domando e vi domando sono tali isole coscienziosamente e scrupolosamente ricercate? La risposta è negativa perché gli esami quali angiografia, PET, SPECT ECOPLANAR, RMI non sono previsti dalla legge e pertanto non vengono eseguiti".
       Anche il Rapporto di Harvard del 1992 alla domanda se l'assenza di apporto di sangue al cervello costituisce un indice di cessazione di tutte le funzioni intracraniche più affidabile rispetto al silenzio elettrocerebrale, afferma: "Purtroppo l'assenza di flusso ematico (sanguigno) rilevata sia dagli studi con radionuclidi che da angiografia non coincide invariabilmente con l'assenza di tutte le funzioni cerebrali, neppure negli adulti. Sono stati segnalati numerosi casi di adulti nei quali la scansione a radionuclidi ha dato esito negativo, mentre persisteva l'attività EEG" (7). In poche parole, le persone che si trovavano in queste condizioni non erano morte. Inoltre non esistono dei criteri validi per stabilire che abbiano cessato irreversibilmente di funzionare altre importanti aeree del cervello come il cervelletto, i gangli basali o i talami. (8)
       Gli inglesi, come abbiamo già riferito, negano qualsiasi valore all'EEG e sono a favore di una concezione di morte cerebrale fondata esclusivamente sull'assenza di riflessi del tronco cerebrale escludendo l'esame dell'encefalo. Il citato rapporto del 1992 della Harvard School a questo proposito afferma: "Tuttavia abbiamo dimostrato che altre funzioni cerebrali (per es. la funzione endocrina e il controllo della temperatura) possono persistere malgrado l'assenza di tutti i riflessi del tronco cerebrale considerati per diagnosticare la morte cerebrale ... Secondo uno studio il 23% di 31 adulti in morte cerebrale non erano affetti da diabete insipido, il che implicava la presenza della funzione ipotalamica (con secrezione dell'ormone antidiuretico) ... una valutazione in questo senso comporta, come minimo, che il rilevamento, del diabete insipido dovrebbe assumere un ruolo basilare nei nostri criteri della morte cerebrale, assai maggiore che non la non-reattività pupillare alla luce. Per questi (ed altri) motivi il punto di vista inglese è stato criticato con forza.(9) Infatti anche dopo aver constatato l'assenza di riflessi del tronco cerebrale si sono verificati casi di ripresa".(10)
       Sempre dal rapporto di Harvard del 1992 leggiamo: "Terzo, ci sono manifestazioni di reattività ambientale in pazienti in morte cerebrale. Una rassegna delle cartelle anestesiologiche di dieci donatori di organi in morte cerebrale ha rivelato un chiara risposta emodinamica all'incisione chirurgica al momento dell'espianto dell'organo del paziente, con aumento medio della pressione sistolica pari a 31 mm Hg e della frequenza cardiaca pari a 23 battiti al minuto".
       Gli scienziati inglesi Evans e Hill esaminarono le cartelle cliniche dei dati pubblicati da Wetzel di recenti donatori di organi "cerebralmente morti". Ecco ad es. come si comportò un donatore di 33 anni. Prima di entrare in sala operatoria questo paziente non fu trattato con ipertensivi, poi in sala fu "curarizzato" perché il suo corpo non si muovesse e non impedisse l'incisione. Prima dell'intervento i suoi battiti cardiaci erano 90/mm. ed aveva una pressione di 90/50 mmHg. Dopo pochi secondi dal
l'incisione jugulo-pelvica i suoi battiti erano saliti a 104/min. e la pressione saliva a 120/70/mmHg (se fosse stato un cadavere questi valori non sarebbero dovuti aumentare)
; a 3 rimarti dall'inizio i battiti erano 118/min. e la pressione era arrivata a 150/75 mmHg. Dopo 11 minuti fu somministrata l'anestesia, la pressione crollò e ritornarono i valori della situazione pre-operatoria. Dunque tutti questi donatori furono "paralizzati e ventilati solo con ossigeno e manifestarono simili drammatici aumenti di pressione sanguigna e di ritmo cardiaco dopo le incisioni per gli espianti. Tali risposte che appaiono quindi la norma, più che l'eccezione, sono identiche alle risposte cardiovascolari mediate del tronco cerebrale osservate in pazienti normali sottoposti ad interventi chirurgici terapeutici quando l'anestesia si rivela troppo leggera". (11)
       Se il tronco cerebrale fosse veramente morto, dovrebbe esservi assenza non solo di risposta del centro respiratorio, ma anche di attività dei centri vasomotori. (12) Tali reazioni sono in contraddizione con la cessazione di tutte le funzioni cerebrali.
       Il Rapporto del 1992 di Harvard afferma ancora: "In quarto luogo, da un punto di vista fisiologico, il cervello viene definito come sistema nervoso centrale. Le prime definizioni della morte cerebrale, come i criteri di Harvard (del 1969 n.d.R. ), ne tenevano conto e definivano la morte cerebrale come la morte dell'intero sistema nervoso centrale, compreso il midollo spinale. Ben presto i clinici si resero conto, tuttavia, che molti pazienti in morte cerebrale per altri versi conservavano la funzione del midollo spinale sotto forma di riflessi spinali. Questi riflessi a volte provocavano movimenti drammatici e sconvolgenti degli arti, movimenti noti sotto il nome di "segno di Lazzaro". (13)
       L'invenzione e l'adozione del criterio di morte cerebrale si fondano sulla presunzione che l'osservazione di una certa serie di casi clinici simili, che hanno storicamente avuto tutti esiti simili, garantisca che tutti i casi simili successivi avranno ancora tutti esiti simili (14), invece la realtà mostra che se si continuano le cure intensive c'è chi può sopravvivere.

 

   

AUTOPSIE

       Solo un'autopsia del cervello del donatore potrebbe accertare, direttamente e caso per caso, se le lesioni cerebrali erano veramente di natura irreversibile. Non si dimentichi che, a fronte di un possibile errore umano di valutazione o apprezzamento della lettura, il donatore è irrimediabilmente e legalmente condannato a morte. E' un po' sospetto il fatto che gli ospedali non prevedano l'autopsia del cervello delle persone espiantate per vedere se questo organo era veramente distrutto, infatti nella vera morte come affermava il prof. Baldissera c'è la distruzione degli emisferi, del tronco cerebrale e delle cellule. (15)
       Il rapporto di Harvard del 1992 afferma: "Se fosse possibile identificare una particolare costellazione di indizi clinici tali da coincidere invariabilmente con la distruzione totale del cervello rilevata dall'autopsia, questa serie di criteri potrebbe essere utilizzata come prova attendibile di morte cerebrale. Purtroppo, in uno studio condotto su 503 pazienti, Molinari (16) riscontrò che non era possibile verificare che ad una diagnosi emessa prima dell'arresto cardiaco in base a una serie o sottoserie di criteri corrispondesse invariabilmente un cervello in gran parte distrutto." Anche il prof. Hill (17) denuncia che dalle osservazioni di autopsie si rilevò una discreta conservazione della corteccia cerebrale ... Questa crescente massa di prove continua a gettare gravi dubbi sulla certezza di diagnosi di morte in presenza di cuore battente e lascia aperta la questione di quanto tempo dopo la cessazione della circolazione cessi definitivamente ogni funzione del cervello.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

POSSIBILITÀ TERAPEUTICHE

       Innanzi tutto occorre sfatare il falso dogma che i pazienti in stato di "morte cerebrale" siano sempre e assolutamente incurabili e che tutti debbano necessariamente subire un arresto cardiaco imminente.
       Ha suscitato molto interesse nel mondo scientifico internazionale una recente indagine statistica condotta da un autorevole scienziato americano, D. Alan Shewmon (18), in essa sono stati analizzati i casi di prolungata sopravvivenza rilevati su di un numero significativo di pazienti diagnosticati in morte cerebrale. Egli ha raccolto casi di prolungata sopravvivenza ed ha esaminato i fattori in grado di determinare, in soggetti dati per morti, la capacità di sopravvivere. La capacità di sopravvivenza era inversamente proporzionale all'età (minore è l'età e maggiore è la possibilità di sopravvivenza N.D.R.) ... L'instabilità emodinamica tendeva progressivamente a risolversi, tanto da permettere con successo ad alcuni pazienti il distacco della ventilazione ausiliata e il ritorno a casa.
       Vi è un altro falso dogma laico che asserisce che il cervello giunto a maturità sia assolutamente incapace di produrre nuovi neuroni, con la conseguenza dell'irreversibilità dei danni cerebrali. Le recenti ricerche in campo neurologico consentono di affermare che gli esseri umani hanno la capacità di generare neuroni cerebrali durante tutta la vita, vecchiaia compresa. E' stato dimostrato da P. S. Eriksson, a conferma di quanto già scoperto in precedenza per i mammiferi, che l'ippocampo umano mantiene intatta la sua attività di neurogenesi. (19)
       Dal gennaio 1999 C. B. Johansson e altri ricercatori sono riusciti ad andare ben oltre, per ora in campo animale, fino a dimostrare l'esistenza di un vero e proprio processo di risposta alle lesioni degenerative del sistema nervoso centrale, posto in essere dalla crescita convulsa di cellule migratorie staminali neurali atte a partecipare alla formazione cicatriziale e riparatoria. Secondo i risultati scientifici raggiunti si prospetta sempre più realistica la capacità del cervello umano danneggiato di ricostituire spontaneamente, almeno in alcuni casi e in determinate zone, il proprio patrimonio di cellule nervose distrutte. Anche le definizioni più resistenti, come quella ultracentenaria dell'italiano Bizzozzero, sostenuta da una vasta letteratura scientifica, che poneva il cervello dei mammiferi tra i tessuti ad elementi perenni, sono state rimosse dalle ricerche dell'ultimo decennio e dalle nuove scoperte sulla neuroplasticità dei mammiferi adulti, intuizioni estensibili per extrapolazione all'uomo. Grazie a questi risultati, affiancati alle nascenti biotecnologie riparative del sistema nervoso centrale adulto, non appare più tanto lontano il traguardo di stimolazione terapeutica controllata di rigenerazione neuronale in un cervello umano adulto lesionato, specie in una regione, come l'ippocampo, delicatissima e di capitale importanza nei processi cognitivi e di memorizzazione. (20)
       Grazie ai progressi dell'avanzata terapia intensiva praticabile oggi nei centri di rianimazione: "Secondo dati recenti, con una assistenza aggressiva, alcuni pazienti clinicamente in morte cerebrale possono raggiungere una sopravvivenza somatica per periodi relativamente lunghi: 36 giorni (21), 9 settimane (22), 68 giorni (23), 112 giorni (24), 201 giorni (25). E' pertanto fallace il ragionamento secondo il quale tutti i pazienti che soddisfano gli attuali criteri della morte cerebrale andrebbero considerati in morte cerebrale perché invariabilmente subiranno un arresto cardiaco a breve scadenza, e ciò per almeno tre motivi:
a) confonde la prognosi del "morente" con la diagnosi della "morte";
b) la "certezza"dell'arresto cardiaco è discutibile, dati i progressi compiuti nella terapia intensiva;
c) questo ragionamento, a parte la mera prognosi, non identifica che cosa nel cervello sia essenziale per la nostra comprensione della morte (26).
Secondo i risultati scientifici raggiunti si prospetta sempre più realistica la capacità del cervello umano danneggiato di ricostituire il proprio patrimonio di cellule nervose distrutte. (27)


   

LA TERAPIA DELL'IPORTEMIA CONTROLLATA

       Ottimi risultati si sono ottenuti con l'ipotermia cerebrale controllata, metodo applicato da una squadra di ricercatori giapponesi guidata da N. Hayashi (28) (non a caso in un Paese che ha sempre rifiutato di accogliere acriticamente l'equiparazione occidentale della morte cerebrale alla morte vera). Costoro hanno trattato con ipotermia cerebrale controllata (e mantenimento di un'adeguata pressione endocranica) 20 casi d'ematoma subdurale acuto associato a danno cerebrale diffuso e 12 casi d'ischemia cerebrale globale provocata da arresto cardiaco della durata da 30 a 47 minuti. Tutti i pazienti si trovavano in uno stato di coma valutato fra 3 e 4 gradi G.C.S., Glasgow Coma Scale (il valore 3 corrisponde alla situazione più critica in assoluto: concomitante assenza totale di risposta agli stimoli oculari, motori e verbali; i pazienti dichiarati in morte cerebrale sono classificati G.C.S. 3). Essi presentavano dilatazione bilaterale delle pupille e perdita di riflesso alla luce, eppure 14 dei 20 pazienti del primo gruppo e 6 dei 12 del secondo gruppo sono ritornati a una vita quotidiana normale, tutti meno uno con completo ristabilimento delle possibilità di comunicazione verbale.

 

   

CRONACA

       Eclatanti casi di cronaca, apparsi sui giornali dimostrano che diverse volte coloro che si volevano espiantare, e non lo sono stati, hanno ripreso una vita normale, riportiamo solo due casi.
       Martin Banach (29) un giovane tedesco di 18 anni, nel 1996, passava un periodo di vacanze in Italia all'isola dei fiori, Ischia. Dopo aver noleggiato un motorino la seconda sera fu investito da un'auto, svenne. Fu portato all'ospedale dove venne considerato donatore di organi. Telefonarono al padre:
       — Buongiomo, qui l'Ospedale Cardarelli di Napoli ... Suo figlio ha la tessera di donatore? ... Suo figlio è gravemente ferito ... E' in coma ... Ci dispiace non c'è quasi più nulla da fare.
Il padre rispose:
       — Lasciatelo com'è! Vengo subito. Non toccatelo!
       I genitori arrivarono in aereo, non fu loro permesso di vedere il figlio, finché dopo tre giorni di lotte (30) riuscirono a far atterrare un aereo con una decisa giovane dottoressa tedesca che trattò per due ore col personale dell'ospedale. Poi aprirono la porta d'acciaio, loro figlio era là, solo ventilato. La dottoressa ordinò : "Parlategli!" La madre accarezzò i capelli del figlio, le sue palpebre fremettero. La giovane dottoressa disse: "Ce la faremo". Il giovane fu trasportato in Germania, già al primo giorno spalancò gli occhi. Oggi Martin ha finito gli studi e gioca a pallacanestro, con nessuna lesione permanente.
       Il "Resto del Carlino", del 12 settembre 1999, riporta riguardo al giovane Luca Sarra: Si sveglia dal coma il ragazzo dell'Aquila dichiarato morto e preparato per la donazione degli organi. Pronto per l'espianto chiede una sigaretta... e nel testo dell'articolo si legge: "Dicevano che era cerebralmente morto".


 

 

 

 

 

 

 

 

 

(30) Evidentemente i civilissimi e atruisti medici del Cardarelli non volevano mollare la prfeda! neppure di fronte alle ragioni di una vera dottoressa, costretta a sudare per ben due ore prima di aver ragione dei buoni cardarelliani!

IL MAGISTERO DELLA CHIESA

       Precedentemente Giovanni Paolo II il 15 dicembre 1989 (31) aveva invitato a rinunziare ai trapianti finché non è certo il momento della morte. Il Card. Ratzinger era intervenuto al Concistoro Straordinario del 1991 ed aveva affermato: "Siamo testimoni di un'autentica guerra dei potenti contro i deboli, una guerra che mira a eliminare gli handicappati, coloro che danno fastidio e perfino semplicemente coloro che sono poveri e inutili. Con la complicità degli Stati, mezzi colossali sono impiegati contro le persone all'alba della loro vita, oppure quando la loro vita è resa vulnerabile da un incidente o da una malattia e quando essa è prossima alla fine ... Quelli che la malattia o un incidente faranno cadere in un coma irreversibile saranno spesso messi a morte per rispondere alle domande di trapianti d'organo, o serviranno alla sperimentazione medica" ("cadaveri caldi").
       Come abbiamo già detto la stampa ha approfittato del discorso del papa del 29 agosto 2000, Perché contiene frasi imprudenti e non esatte scientificamente, per far dire che egli è d'accordo coi trapianti. Notiamo che in quel discorso il pontefice non ha voluto impegnare la sua infallibilità e che comunque quando i concetti non sono chiari e sono contradditori ci si deve riferire al Magistero di sempre e agli immutabili principi cattolici. A questo punto è necessario ricordare che già Pio XII (32), affrontò il tema dei trapianti di organi. Sin d'allora proclamò la necessità della morte certa del donatore. Infatti egli scrisse; "Nel caso di dubbio insolubile, si può ricorrere alle presunzioni di diritto e di fatto. In generale bisognerà fermarsi a quella della permanenza della vita, perché si tratta di un diritto fondamentale ricevuto dal Creatore e di cui bisogna provare ch'è venuto meno ... Considerazioni di ordine generale ci permettono di credere che la vita continua fino a che le funzioni vitali  —a differenza della semplice vita dei suoi organi—  si manifestano spontaneamente anche con l'aiuto di procedimenti artificiali". Un buon numero di casi forma l'oggetto di un dubbio insolubile ed essi devono essere trattati secondo le citate presunzioni di diritto e di fatto" (cioè in favore della vita, N. d. A.).


   

CONCLUSIONE

       La nuova definizione di "morte cerebrale", introdotta come mezzo per evitare le conseguenze legali e morali di prelievo di organi vitali dai morenti prima che siano morti, si basa sul concetto che debba essere sufficiente la perdita permanente della capacità di coscienza e di respirazione spontanea (33) e che la morte dell'uomo coincida con la morte del suo cervello. Questa equiparazione e la pretesa d'identificare la morte di una parte del corpo, per nobile che sia, con la morte del tutto, sono assolutamente indimostrate ed arbitrarie, né trovano alcuna vera giustificazione scientifica.
       Al termine di questo articolo vogliamo ricordare che dagli Stati Uniti è stata avviata una iniziativa internazionale promossa dal movimento CURE (32) dal titolo: "Dichiarazione internazionale di opposizione alla "morte cerebrale —nemica della vita e della verità—  e opposizione all'espianto/trapianto degli organi".
       Tale documento afferma che: "Nessuno dei mutevoli protocolli del cosiddetto "criterio neurologico" per determinare la morte soddisfa le condizioni descritte dal Papa, per una "rigorosa applicazione" dell'accertamento della "completa ed irreversibile cessazione di tutte le funzioni dell'encefalo". In sintesi, la morte cerebrale non è la morte e la morte non dovrebbe essere mai dichiarata se non in presenza della distruzione dell'intero cervello e contemporaneamente dei sistemi respiratorio e circolatorio… Affinché gli organi vitali siano adatti al trapianto devono essere organi viventi rimossi da esseri umani viventi. Inoltre, come sopra sottolineato, le persone condannate a morte con la dichiarazione di "morte cerebrale" non sono "veramente morte" ma, al contrario, sono certamente vive" ... ed espiantarle significa violare il V comandamento dei Decalogo "Non uccidere" (Deut. 5, 17).
       Questa dichiarazione internazionale è già stata sottoscritta da più di 120 personalità e sostenuta in 19 nazioni. Fra i firmatari vescovi cattolici, religiosi, sacerdoti ed altri ecclesiastici, membri della Pontificia Accademia della Vita, tra cui l'ex Segretario; medici, professori, giudici, avvocati, altri professionisti e difensori dei diritti dei disabili e della vita. Fra i firmatari evidenziamo critici di spicco della "morte cerebrale" come il Dr. Paul Byrne, il Dr. Cicero Coimbra (Brasile), il Dr. David W. Evans (Inghilterra), il Prof. Josef Scifert (Liechtenstein), il Dr. Yoshio Wanatabe (Giappone), il Prof. Massimo Bondì, il Dr. Giuseppe Bartolini, la Dr.ssa. Maria Luisa Robbiati ed altri (Italia).
       Invitiamo, tutti coloro che lo volessero, a sottoscrivere la Dichiarazione internazionale scrivendo a
Earl E. Appleby Jr, Director, CURE, Ltd.
812 Stephen Steet, Berkeley Springs,
WV 25411, USA;
e-mail: cureltd@ix.netco.com;
cureltd.netcome.come.
Preghiamo anche di inviarne una copia
alla Lega nazionale, contro la predazione di organi,
Pass. Lateranensi, 22 - 24121 Bergamo
o all'entail: negrello@antipredazione.org.;
www.antipredazione.org.
       Da parte nostra, ringraziamo in modo particolare la "Lega contro la predazione di organi a cuore battente" della Signora Nerina Negrello e l'Ing. Ugo Tozzini per il materiale messo a disposizione per la documentazione.


   

Note

       1) L'Osservatore Romano dei 30.08.2000.
       3) Ugo Tozzini, Mors tua vita mea, ed. Grafite, p.108.
       4) Dr. Robert D. Truog e Dr. James C. Fackler, Rethinking brain death (Revisione della morte cerebrale) in Critical Care Medicine, vol. 20, n. 12 (1992), Departement of Anesthesia, Children's Hospital, Harvard Medical School, Boston, MA.
       5) Mors tua vita mea, op. cit., p. 16.
       6) Prof. Dr. Massimo Bondì L. D., Pat. Chir. e Prop. Clin. Patologo Generale - General Surgeon M. D. Sydney, Audizione del 29.10.92, testo presentato al Comitato Ristretto della Commissione Affari Sociali del Parlamento Italiano.
       7) Grigg M. M. - Kelly M. A., - Celesia G.G., et al., Electroencephalographic Activity after Brain Death, in: Arch. Neurol., 1987, n. 44 (9), pp. 948-954.
       8) Prod. M. Bondì, ibidem.
       9) Shewmon D.A., Anencephaly. Selected Medical Aspects, in: Hastings Cent. Rep., 1988, n.18, pp. 11-19.
       10) Prof. Dr. Dayid J. Hill MA FFARCS Consultant Anaesthetist Addenbrooke's Hospital Cambridge - Audizione del 29.10.'92, testo presentato al Comitato Affari Sociali del Parlamento Italiano.
       11) Mors tua vita mea, op. cit., p. 34-36.
       12) Rethinking... nota 22 - Wetzel R.C. - Setzer N. - Stiff J.L., et al., Hemodynamic Responses in Brain Dead Organ Donor Patients, in Anesth. Analg., 1985, n. 64 (2), pp.125-128
       13) Ropper A.H., Unusual Spontaneous Movements in Brain Dead Patients, in Neurology, 1984, n. 34, pp. 1089-1092.
       14) Mors tua vita mea, op. cit, p. 28
       15) Prof. Fausto Baldissera Ordinario di Fisiologia Umana Università di Milano - Audizione 29.10.92 - Relazione pronunciata al Comitato Ristretto della Commissione Affari Sociali del Parlamento Italiano.
       16) Rethinking... nota 45 - Molinari The G.F.N.I.N.C.D.S. Collaborative Study of Brain death. A Historical Perspective, in: N.I.N.C.D.S., monograph n. 24, public. n. 81- 2286, Bethesda, M.D., National Institute of Health , 1980, pp. 1-32.
       17) Prof. Hill, ibidem.
       18) D. Alan Shewmon, Professor of Pediatric Neurology, UCLA Medical School (Los Angeles) - Chronic "Brain Death"-. Meta-Analysis ami ConceptuaI Consequences, in Neurology, 1998, n. 51, pp. 1538-1545. Studio fornito dall'Ing. Gremo, di Torino.
       19) P.S. Eriksson del Gotenborg University Institute of Clinical Neuroscience e di F. H. Gage del San Diego Salk Institute, cfr. in Mors tua vita mea, op. cit., p. 7.
       20) C.B. Johansson et al., Identification of Neural Stem Cell in The Adult Mammalian Central Nervous System, in Cell,1999, Jan. 8, 96 (1), pp. 25-34.
       21) A. Grenvik, D. J. Powner, J.V. Snyder, et al., Cessation of Therapy in Terminal Illnes and Brain Death, in Crit. Care Med., 1978, n. 6, pp. 284-291.
       22) D.R. Field, E.A. Gates, R.K. Creasy, et al., Maternal Brain Death during Pregnancy. Medical and Ethical Issues, in: J.A.M.A., 1988, n. 260, pp, 916-822.
       23) J.E. Parisi, R.C. Kim, G.H. Collins, et al., Brain Death with Prolonged Somatic Survival, in: N. Engl. J. Med, 1982, n. 306, pp. 14-16.
       24) R.C. Klein, Brain Death with Prolonged Somatic Survival, in: N. Engl. J. Med., 1982, n. 306, p. 1362.
       25) T.W. Rowland, J. H. Donnelly, A. H. Jackson, et al., Brain Death in the Pediatric Intensive Care Unit. A Clinical Definition, in: Am. J. Dis. Child., 1983, n. 137, pp. 547-550.
       26) Rethinking, op. cit.
       27 ) Luca Poli, Aborto e manipolazioni genetiche, biotecnologie, eutanasia ed espianto di organi a cuore battente, Supplemento a La Tradizione Cattolica, p. 89
       28) N. Hayashi del Dipartimento di Neurologia d'urgenza dell'Ospedale della Nihon University.
       29) Neue Revue Exklusiv, L'altra Voce, Maggio-Giugno 1997, traduzione a cura della "Lega nazionale contro la predazione di organi e la morte a cuore battente".
       31) Giovanni Paolo II, Discorso ai membri della Pontificia Aceaderma delle Scienze, 14.12.1989.
       32) Pio XII, Discorso: "Le Dr. Bruno Haid, a numerose personalità della scienza medica, in risposta ad alcuni quesiti importanti sulla rianimazione", 24.11.1957. In Insegnamenti Pontifici, Ed. Paoline.
       33) Mors tua vita mea, op. cit, p. 38.

   

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