In bilico tra scienza e Fede
Il discorso del Papa ai trapiantisti
e la problematica conciliazione dei trapianti
con la morale e la dottrina cattolica
Quando, il 29 agosto scorso, il Santo Padre si recò appositamente da
Castel Gandolfo all’EUR per pronunciare un discorso sui trapianti nel bel
mezzo del 18° Congresso Internazionale della Transplantation
society, i mezzi di informazione si preoccuparono súbito di
suscitare una speranzosa attesa; e dopo il discorso, i plausi furono
innumerevoli: il Papa è a favore dei trapianti! La Chiesa è con noi!
In effetti si trattò del solito espediente propagandistico a favore dei
trapianti, poiché non potevano esserci dubbi sull’orientamento del Papa,
già il Catechismo della Chiesa Cattolica, nell’ottobre del 1992,
precisava: (2296) “…Il trapianto di organi è conforme alla legge
morale e può essere meritorio se i danni e i rischi fisici e psichici in
cui incorre il donatore sono proporzionati al bene che si cerca per il
destinatario. …”
Tuttavia, proprio la speranzosa attesa e i plausi successivi si
rivelarono come la cartina di tornasole circa la problematica e
controversa questione dei trapianti. Il primo problema, su cui il Papa si è soffermato, è il
“consenso informato” del donatore che può comportare un assenso o
un diniego, insieme all’importanza della volontà dei congiunti nel caso
della mancata espressa volontà della persona che potrebbe diventare
donatore.
La dichiarazione del
Catechismo, infatti, non era bastata: in seno al mondo cattolico i
dubbi circa la liceità dei trapianti, le tecniche per attuarli e la
certezza morale della morte del “donatore”, continuavano e continuano a
permanere. E gli scienziati, che lo sapevano e lo sanno bene,
perché tali dubbi non appartengono solo all’uomo della strada, ma
nutrono la riflessione e l’insonnia di molti uomini di scienza,
avevano ricercata ed ottenuta persino la presenza fisica del Papa.
L’invito rivoltogli perché pronunciasse un discorso di sostegno doveva
servire a rassicurare le coscienze di molti specialisti e di molti
fedeli.
È stato cosí?
Dal punto di vista della cosiddetta
opinione pubblica è possibile che il discorso del Papa abbia sortito
l’effetto voluto dai trapiantisti, ma non può dirsi lo stesso per coloro
che nutrivano i dubbii citati.
Il Papa, in fondo, non ha
detto nulla che non si sapesse già e ha lasciato insoluti gli
interrogativi di molti.
Ma resta senza alcun chiaro riferimento lo stesso concetto di
“consenso informato”, poiché non è pensabile che uno qualsiasi di
noi si possa informare o possa essere informato, esaurientemente e
oggettivamente, sui processi implicati dalla pratica dei trapianti, come
dice il Papa.
La prima difficoltà, di ordine tecnico, è
data dalla impossibilità di “volgarizzare” i complessi processi in
questione in maniera tale da renderli accessibili a tutti: come minimo
servirebbero delle basi elementari di medicina e chirurgia, il che è
impossibile di per sé. Senza contare che questa prima difficoltà si
coniuga, nei fatti, con la dichiarata volontà del mondo scientifico di
considerare la pratica dei trapianti non solo legittima, ma anche
benemerita. Volontà che ha già ottenuto il consenso ecclesiastico, nel
Catechismo si legge infatti: “Il dono gratuito di organi dopo la
morte è legittimo e può essere meritorio. (2301)”.
C’è da
chiedersi che tipo di “consenso informato” possa elaborare ognuno
di noi, quando coloro che ci dovrebbero informare partono dal
convincimento che non v’è nulla di meglio di un bel trapianto effettuato
dopo aver espiantato a qualcuno gli organi necessarii. Non v’è dubbio che
ogni informativa del genere sarebbe viziata, fin dall’origine, dal partito
preso della bontà dell’oggetto trattato. Si tratterebbe di una informativa
quanto meno “interessata”.
Evidentemente si nutre una fiducia illimitata nella supposta
“oggettività” della scienza e delle informazioni da essa divulgate.
Il secondo problema, di primaria importanza, è quello dell’accertamento della morte della persona da cui espiantare gli organi. Poiché, dice il Papa, “gli organi vitali singoli non possono essere prelevati che «ex cadavere», cioè dal corpo di un individuo certamente morto.”Ora, tutti hanno affermato che il Papa ha parlato proprio come uno scienziato, cioè esprimendosi con termini che denotano una approfondita conoscenza della materia trattata.
In merito a questo problema il Papa è stato chiaro: “In questa prospettiva, si può affermare che il recente criterio di accertamento della morte sopra menzionato, cioè la cessazione totale ed irreversibile di ogni attività encefalica, se applicato scrupolosamente, non appare in contrasto con gli elementi essenziali di una corretta concezione antropologica.”
Ovviamente, come càpita spesso, si lascia sempre uno spiraglio che
possa un domani permettere un aggiustamento di rotta.
Il Papa
infatti non dice che la morte cerebrale “non è in contrasto”, dice
che “non appare in contrasto”, cosa che è certo diversa; e precisa
che non appare in contrasto con una “corretta concezione
antropologica”, trascurando di precisare se vi sia o meno contrasto
con una “corretta morale cattolica”.
La cosa non è di
poco conto, poiché la “concezione antropologica” di cui parla il
Papa non è detto che sia tutt’uno con la morale cattolica o, se si
vuole, con l’antropologia cattolica; cosa nota, questa, ad ogni
studente di teologia.
Ma pur ammettendo che le dichiarazioni del Papa avàllino interamente il
criterio della morte cerebrale, non per questo si può dire risolto ogni
dubbio.
Un nostro amico, di professione medico, dopo aver letto il
discorso del Papa ha scritto, alquanto turbato, la seguente lettera ad un
giornale locale; qui la riproduciamo integralmente evidenziando i punti
controversi a cui lui accenna velocemente.
Ho letto ( verba volant...) nel testo ufficiale del discorso del Pontefice al recente congresso in tema di trapianti, che la Chiesa, uniformandosi ai tempi moderni, ha riconosciuto come prova biologica certa di morte la presenza di elettroencefalogramma piatto, purché rilevato secondo gli scrupolosi canoni previsti dalle procedure mediche in materia, e che ad E.E.G. piatto secondo tali canoni è già avvenuto il distacco dell’anima dal corpo.
Prescindendo dalla inesattezza dei termini con cui il Pontefice si è espresso, poiché detta rilevazione è semmai strumentale e non certo biologica, mi è immediatamente tornata alla mente la visione di un bambino di circa un anno di età, che fu presentato a me e ad altri studenti, nel 1978, dal Prof.Bergamini, docente di Clinica Neurologica nonché direttore della stessa a Torino.
Quel bimbo era nato completamente senza emisferi cerebrali, ma nonostante la sua vita puramente vegetativa era sopravvissuto fino ad allora grazie alle attenzioni della madre; deglutizione, respirazione, attività cardiaca erano dei semplici riflessi, ma sufficienti a sopravvivere senza ausilio di macchine.
Di certo era un caso raro, specie per la lunga sopravvivenza, ma oggi mi chiedo, vista la totale assenza di elettroencefalogramma: quella pietosa, amorevole, disperata madre ha allevato per almeno un anno uno strano essere incarnato senza anima?
Ha nutrito un cadavere che si è sviluppato per almeno un anno senza decomporsi?
Ha sprecato un prezioso serbatoio di pezzi di ricambio?
Gli specialisti del Papa sono davvero certi che la “cessazione
totale ed irreversibile di ogni attività encefalica” (morte
cerebrale) è segno evidente dell’avvenuta morte del soggetto destinato
all’espianto dei suoi organi vitali?
Facciamone parlare qualcuno: don Mauro Cozzoli, docente di teologia morale alla Pontificia Università Lateranense, su Avvenire del 30 agosto, dichiara:
«Mentre nel passato il rilievo empirico della morte era legato esclusivamente a un criterio cardio-respiratorio, oggi la scienza ha adottato anche il criterio neurologico: si parla di morte quando viene a cessare ogni attività encefalica. Il Papa si mostra consapevole di questa evoluzione. Nel citarla è scientificamente molto preciso: non parla di morte cerebrale, terminologia che potrebbe dare luogo a qualche equivoco, dato che non tutti per cervello intendono l’intero contenuto della scatola cranica (cervello, cervelletto e tronco). Recependo la definizione più aggiornata della comunità scientifica, il Papa parla invece di “cessazione totale ed irreversibile di ogni attività encefalica”. Che è un criterio scientificamente oggettivo».E il giornalista di Avvenire chiede:
«La domanda vera è: che cosa accadrebbe se pretendessimo sempre una certezza fisica? Alla fine cadremmo nello scrupolo e quindi nella non-azione. E i problemi etici, a quel punto, si moltiplicherebbero a catena. Se non accettassimo il criterio neurologico saremmo moralmente costretti a tenere centinaia di pazienti attaccati a una macchina. E questo non sarebbe rispettoso non solo di chi è in attesa di un trapianto, ma nemmeno della dignità del morente, che diverrebbe vittima di un accanimento terapeutico. Non sempre il rigorismo è a favore della vita: ci sono anche casi in cui può diventare un’offesa».
Ora, se non abbiamo preso un abbaglio, lo specialista del Papa
afferma che l’elettroencefalogramma piatto non può considerarsi una cosa
certa. Ma allora quello che ha detto il Papa non ha alcun valore!
Per di piú lo specialista precisa che diversamente “cadremmo nello
scrupolo e quindi nella non-azione”. E noi ci permettiamo di osservare
che di specialisti del genere la Chiesa dovrebbe proprio farne a
meno.
In sostanza, lo specialista, in poche parole, condensa
quanto di piú inaudito si possa concepire.
Non è lo scrupolo
che deve informare il giudizio: quindi quella della morte cerebrale è una
concezione che non si fa scrupolo di niente.
Diversamente si
“cadrebbe nella non-azione”: il che significa che valore
primario è fare qualche cosa, a qualunque costo, senza alcuno scrupolo,
cosí che l’azione, di per sé, è diventata un valore.
Chissà
cosa penserebbero in merito i santi monaci, pilastri della Santa Chiesa,
Antonio, Benedetto, Domenico;
chissà cosa ne penserebbero i
Santi Apostoli che per sottrarsi all’invadenza dell’azione decisero di
delegare ad altri discepoli le incombenze “attive”, cosí da potersi
interamente dedicare “alla preghiera e al ministero della parola”
(Atti, 6, 1-6).
Ma fare che cosa? Lo specialista lo precisa: staccare la spina per il
rispetto dovuto a chi è in attesa di un trapianto. Come dire che l’istanza
primaria è il trapianto da effettuare, senza farsi scrupolo alcuno sulla
realtà della presunta morte dell’espiantato.
E dulcis in fundo,
l’accanimento terapeutico.
Ci chiediamo: che cos’è il trapianto
di un organo in un individuo che vivrà ancora per poco tempo fra
interminabili problemi fisiologici, soggetto a terapie antimmunitarie,
sempre in precario equilibrio tra la morte e una vita martoriata?
Che cos’è se non accanimento terapeutico?
E poi, la fine
dell’accanimento terapeutico corrisponderebbe certo alla morte del
paziente, ma non per questo si è autorizzati a sottoporlo all’espianto di
organi prima ancora che sia veramente morto. Questo è puro cinismo, e
questa volta con l’ammissione implicita dello stesso teologo.
Per un cristiano è palese e dolosa violazione del quinto
Comandamento, per un prete, per giunta teologo, è violazione doppiamente
dolosa. Forse don Mauro Cozzoli non si è saputo esprimere; è possibile; ed
allora farebbe bene a non rilasciare interviste ad Avvenire.
Sempre su Avvenire del 30 agosto, un altro esperto, Giuseppe Anzani, sembra essere piú sicuro di Mauro Cozzoli, di una sicurezza tutta basata, ovviamente, sulle dichiarazioni di buona parte degli scienziati.
«Naturalmente, gli organi vitali singoli si possono donare, e quindi si possono prelevare, solo da morti, quando il corpo è divenuto un cadavere. La legge sanziona questo ovvio principio, che nasce dal criterio primo del rispetto della vita. La comunità scientifica internazionale dice che la morte è la morte cerebrale, e quando tutto l’encefalo è morto si ha il segno biologico che la morte della persona è già avvenuta. Non sembra dunque giustificata la paura, o peggio la diffusione terroristica della paura messa in giro da quelli che anche in Italia parlano della “predazione degli organi” dai morenti.
Ma è assiomatico ed elementare cogliere questo unanime cardine etico: che non si può usare un vivo e portargli via la vita e i “pezzi” del corpo per curare la salute e la vita di un altro. Su questo non ci può essere il dissenso di nessuno, nel mondo della trapiantologia. Se ci fosse, sarebbe delitto e follia. Ma non c’è.»
Ora, per prima cosa occorre ribadire quanto diceva prima il nostro
amico medico: l’encefalogramma piatto (che non è sinonimo di morte
dell’encefalo) non è un “segno biologico”, ma solo una rilevazione
strumentale: sono stati gli scienziati a decidere che da quel momento il
cervello e il paziente dovessero essere considerati come morti.
Quindi Anzani si rivela anch’egli poco informato, e tuttavia si
esprime con grande decisione, tanto da farsi garante per “tutto” il mondo
della trapiantologia, e da permettersi di bollare come “terroristi”
coloro che dissentono dalle sue certezze. Si capisce bene che intende
riferirsi alla italiana Lega contro la predazione degli organi (**), ma è inevitabile che il
suo rimprovero colpisca anche quegli stessi scienziati che non concordano
col criterio di morte cerebrale.
Evidentemente è ben informato!
Ma è cosí?
Proprio in questi giorni è stato pubblicato un saggio
sull’argomento, che affronta il complesso problema in maniera
approfondita. Il saggio è frutto di un lungo lavoro di ricerca per la
stesura di una tesi di Magistero in Scienze Religiose su “Morte e
«morte cerebrale»: liceità morale dell’espianto di organi umani
vitali”; tesi licenziata, dall’Istituto Superiore di Scienze
Religiose presso la Pontificia Università della Santa Croce, summa cum
laude.
L’Autore esamina il problema avvalendosi degli
insegnamenti del magistero della Santa Chiesa e degli approfondimenti
della teologia cattolica, ma utilizzando anche i dati controversi e le
posizioni contrastanti che convivono in seno allo stesso mondo
scientifico; a riprova che la pubblica e conclamata “informazione
oggettiva” della scienza è una mera ipotesi propagandistica, e coloro che
vi si affidano delle vittime della propaganda, se non dei complici.
Il quadro che ne viene fuori è davvero sconcertante, poiché non solo
vengono demolite le supposte certezze della scienza, degli scienziati e
degli specialisti del Papa, ma vengono delineati scenarii di un cinismo
impressionante, reso terribile dal fatto che gli stessi Pastori della
Chiesa se ne facciano mallevadori.
Il saggio merita la migliore
diffusione possibile soprattutto perché si presenta, per espressa
dichiarazione dell’Autore, non come suggeritore di certezze, ma come
strumento di riflessione, poiché non è l’accettazione supina dei dettati
della scienza che fa la “dignità dell’uomo”, ma la profonda consapevolezza
di non contravvenire alla volontà di Dio.
Per gentile
concessione dell’Autore, riportiamo qualche passo attinente
al contenuto di questo nostro articolo.
Il terzo problema riguarda la pratica degli
“xenotrapianti”, cioè dei trapianti di organi provenienti da
animali.
Il Papa dice che si tratta di “una possibilità
ancora del tutto sperimentale”, dimostrando cosí che i suoi
specialisti gli forniscono delle informazioni superficiali. In effetti è
da decenni che la medicina e l’ingegneria genetica lavorano alla
manipolazione degli organi animali per giungere alla loro massima
compatibilità con l’organismo umano, e se ultimamente si è giunti alla
clonazione è segno che certi “esperimenti” sono giunti ormai ad un punto
di non ritorno.
Ma pur ammettendo che gli xenotrapianti
siano ancora in fase sperimentale, il discorso del Papa rivela due aspetti
di particolare interesse che richiederebbero molto di piú che un breve
cenno al discorso del venerabile Pio XII. Nel 1956 si parlava appena del
trapianto di cornea ed era impensabile che i problemi si moltiplicassero
fino a dover decidere sulla liceità della sostituzione del cuore umano.
Eppure, già allora il Papa, forse disponendo di specialisti un po’ piú
scrupolosi, toccava un aspetto che oggi sembra essere misteriosamente
scomparso: “l’integrità dell’identità psicologica o genetica
della persona che riceve l’organo”. Tale considerazione rivela
come il Papa, allora, si preoccupasse, non tanto di apparire come un
esperto scienziato, quanto di avanzare le riserve dettate dalla sua
funzione di Pastore del gregge cristiano, fatto di uomini che oltre alla
integrità “dell’organismo individuale” possiedono una identità
psicologica e genetica da preservare.
È chiaro che il venerabile Pio XII non si riferiva alle eventuali
sensazioni e reazioni emotive del ricevente, bensí alla possibilità che
l’impianto di un organo animale in un uomo potesse produrre delle
ripercussioni negative sulla “identità psicologica” di quest’ultimo.
La questione non è di poco conto, se si pensa che una simile
considerazione è ancor piú valida oggi per i trapianti da uomo a uomo. Se
l’identità psicologica di un uomo può essere intaccata dall’ingerenza di
una parte di un animale, a maggior ragione si dovrà pensare lo stesso nel
caso dell’ingerenza di una parte di un altro uomo. E la considerazione non
è senza riscontro, poiché gli stessi scienziati sanno del processo di
“rigetto” che si determina in seguito al trapianto, processo che è
logicamente generato dalla reazione dell’individuo operato in relazione
alla violazione sia della sua specificità fisiologica, sia della sua
“identità genetica”, sia anche della sua “identità psicologica”.
Ora, la scienza non è in grado di indagare oltre il limite della
componente corporea dell’uomo, ed essa è adusa a considerare tutto ciò che
sta oltre il corporeo come inesistente o, quantomeno, come ininfluente.
Questa posizione, avallata ormai da tanti specialisti e teologi cattolici,
è quella che porta ad escludere ogni considerazione seria circa i rischi
psicologici e genetici della pratica dei trapianti.
Nel suo
discorso, il Papa ne parla solo in relazione agli xenotrapianti, ma per
chi ha voglia di leggere tra le righe è evidente che il problema è
presentato come relativo a ogni tipo di trapianto.
Forse non è senza utilità ricordare certi elementi che possono aiutare a cogliere certi aspetti per loro natura poco evidenti.
Circa gli xenotrapianti è risaputo che l’animale piú idoneo a
fornire organi maggiormente compatibili con l’organismo umano, visto dal
punto di vista fisiologico, è il maiale.
Per quanto la
cosa possa apparire curiosa, proprio il maiale è stato sempre
considerato tradizionalmente come un animaleimpuro: nello stesso
Vangelo si dice che è portato a disprezzare il bene e súbito si rivolta
contro chi glielo offre (Mt., 7,6). Ed allora si comprende come non
possa trattarsi di un caso, ma che ci si trova al cospetto di un fattore
che richiede una ponderata riflessione.
Visto dal semplice punto di vista fisiologico, quindi materiale e
fisico, il maiale è piú vicino all’uomo di quanto si possa pensare
a prima vista, ma, dal punto di vista psichico esso è distante dall’uomo
tanto quanto è dispregiatore del bene.
Che tipo di
interferenza può produrre il trapianto di un organo di maiale nella
identità psicologica di un uomo?
Non intendiamo affermare che un
uomo diventi un maiale, ma non possiamo escludere che certi elementi
negativi tipici del maiale possano intaccare l’integrità dell’identità
psicologica dell’uomo.
E questa preoccupazione è la stessa
espressa dal venerabile Pio XII nella sua allocuzione del 1956.
Ci chiediamo, che ne è di queste considerazioni nello studio e
nell’approfondimento della bioetica cattolica di questi ultimi anni?
D’altronde, nel 1956 non ci si poneva il problema dei trapianti da
uomo a uomo, ma la detta preoccupazione è oggi valida per questi
ultimi al pari di quella espressa allora per gli xenotrapianti.
Quali interferenze può produrre sul trapiantato il trapianto di un cuore che è stato asportato, ancora vivo, da un indemoniato? O da un individuo dédito al satanismo? O da un peccatore impenitente la cui anima è già stata condannata alla Geenna?Sono questi, insieme a tanti altri, gli interrogativi che assillano un vero credente, poiché non è tanto la salute del corpo che preme al cristiano, quanto la salute dell’anima. Non è in forza di un corpo sano o di una vita colma di benessere che si ottiene la salvezza, ma è sulla base della santificazione dell’anima che anche un corpo malato e afflitto dai piú gravi problemi fisici potrà partecipare dopo la resurrezione gloriosa alla visione beatifica di Dio.
Ai teologi e agli specialisti cattolici non si chiede di pronunciarsi sulla corretta applicazione delle sperimentazioni scientifiche, quasi fossero dei supervisori della scienza, ma si pretende che diano risposte adeguate, nei limiti del possibile, sui rapporti e sulle conseguenze che tali applicazioni possono produrre in vista della santificazione dell’uomo.
(12/2000)