Il mio primo contatto con un Sacro Monte, e fino a poco tempo fa l’unico, risale al 1992. Mi trovavo a San Giulio d’Orta con un gruppo di amici. Cogliemmo l’occasione per visitare e ammirare il Sacro Monte di Orta. Scoprii più tardi che era stato oggetto di un articolo di Vittorio Sgarbi, pubblicato con un ricco corredo di belle illustrazioni in un noto mensile stampato a Parma,
Successivamente ho effettuato poche altre viste a complessi del genere, ma solo come lettore di qualche pubblicazione.
Finalmente il 7 maggio 2008, dopo aver consultato la guida del TCI dedicata a borghi interessanti esistenti nell’Italia centrale, ho pianificato una visita a San Miniato seguita da una escursione a Montaione e al convento di San Vivaldo.
In quattro, ci siamo trovati quasi all’improvviso in un sito abbastanza ristretto, ricco di cappelle. Nessuna persona in vista. Ci siamo incamminati alla ricerca del convento. La fortuna ci è stata propizia. Infatti, percepite alcune voci, abbiamo scoperto che nella prima cappella una guida stava narrando a un gruppo di visitatori la storia di quel Sacro Monte. Dopo esserci presentati, ci siamo uniti alla diecina di persone raccolte nella cappella, guidate dal terziario francescano Antonello vissuto a lungo in una missione francescana in Brasile.
Abbiamo poi visitato le rimanenti cappelle.
Non mi pare il caso d’illustrare qui in dettaglio cosa è contenuto in ogni tempietto. Dirò soltanto che, a parte due opere più tarde, vi sono gruppi di sculture in terracotta dipinta, eseguite da artisti di scuola robbiana, che sembra abbiano lavorato qui per una trentina di anni agl’inizi del ‘500. I personaggi di ogni scena, vestiti con costumi del Cinquecento sono rappresentati realisticamente, con i volti esprimenti l’intensità dei sentimenti provati. L’insieme delle scene riproduce episodi legati alla passione di Gesù.
A quel tempo molti fedeli aspiravano a compiere un viaggio a Gerusalemme per conoscere
i luoghi in cui Cristo aveva diffuso il suo insegnamento, era stato perseguitato
arrestato, condannato, torturato e martirizzato.
Pochi erano però coloro che riuscivano a trovare i soldi e la maniera per arrivare in Palestina. Con la creazione di quelle cappelle decorate i francescani cercarono di dare modo ai popolani la possibilità di compiere, in qualche modo, il viaggio tanto agognato e di rafforzare la loro devozione alla Chiesa.
Aggiungo pure che questo mi pare l’unico Sacro Monte esistente nell’Italia Centrale. A differenza però di quelli dell’Italia del Nord, San Vivaldo non ha lo scopo di confermare il visitatore nella sua appartenenza al cattolicesimo e di respingere gli allettamenti provenienti dal mondo protestante.
Nel corso della visita ho notato la scarsa presenza di turisti e ho avuto la sensazione che il luogo non sia molto noto al pubblico. Nelle pubblicazioni a stampa di carattere turistico, di data anche recente, non sempre San Vivaldo compare con l’auspicabile ampiezza e con giudizi
elogiativi. Invece in campo informatico ho riscontrato che esiste una ricca disponibilità di testi descrittivi e di valutazioni che apprezzano il valore artistico e religioso delle opere. Inoltre i pochi interpellati che hanno risposto di conoscerlo avevano visti recentemente in televisione un documentario che lo illustrava.
Mi pare opportuno segnalare questa situazione al Municipio di Montaione e al Convento di San Vivaldo.
Forse potrebbe essere utile stabilire contatti con aziende turistiche che organizzano visite guidate a San Gimignano, a Volterra e ad altri centri di rilevante interesse storico, artistico e turistico e proporre d’includere nei loro itinerari anche Montaione
e il suo monte.
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