Quasi alla fine dello scorso anno Fabio Gambaro ha recensito un libro d'imminente apparizione in Francia: Histoire du viol, di Georges Vigarello.(1)
Stralciamo un breve passo del suo scritto: «Ai tempi dell'Antico Regime, spiega Georges Vigarello, esistevano già alcune leggi che punivano lo stupro e la violenza carnale. Erano leggi incerte e insufficienti, specie se si pensa che la violenza sessuale era considerata meno grave del furto in aperta campagna, ma comunque potenzialmente operanti. Eppure venivano usate molto di rado, anche perché erano pochissime le vittime che osavano denunciare i violentatori: al parlamento di Parigi, tra il 1540 e il 1692, solo 49 denunce riguardano casi di violenza sessuale (...). »
Ciò accadeva allora in Francia. E nello Stato Pontificio? Non disponiamo di statistiche in merito, ma qualcosa è stato pubblicato, anche per le Marche. Gabriele Cavezzi si è occupato di due casi, avvenuti a Monte di Nove e a Monte Monaco tra il 1797 e il 1811.(2)
Più recentemente Cinzia Ceschi ha studiato le mentalità ed i comportamenti sessuali nelle alte Marche e nella bassa Romagna nel periodo dal 1850 al 1888, in territorio soggetto al tribunale di Pesaro.(3) Sergio Anselmi ricorda che, a fine settecento, il vescovo di Ripatransone, Bartolomeo Bacher, «aveva espresso parere contrario alla concessione della grazia a un chierico reo di alcuni delitti tra i quali la violenza carnale da lui condannato a sette anni di carcere.»(4)
Anche se le pene comminate e le motivazioni connesse non rientrano negli schemi oggi comunemente accettati, indubbiamente le autorità pontificie, e soprattutto i vescovi, cercavano di reprimere questa specie di delitti punendo i colpevoli, in genere esponenti del ceto abbiente, e salvaguardando le vittime, quasi sempre appartenenti alla classe più misera della società. Con questo non si vuole assolutamente configurare gli episodi come manifestazioni di una lotta di classe ma soltanto riconoscere la realtà delle cose.
Qualcosa che quasi sicuramente è inedito, inoltre, possiamo trarre dall'Archivio di Stato di Roma: un caso che riguarda uno studente che, poco dopo la conclusione del processo, diverrà notaio e segretario comunale di Grottammare: Placido Lancellotti, ben noto a quanti si occupano di storia grottammarese nell'evo moderno.(5)
Il 4 agosto 1752 la Curia vescovile di Fermo convoca Amico Fiorani, Placido Lancelloti (accusato dello stupro di Maddalena, cugina del Fiorani), la vittima stessa, sua madre e un certo numero di testimoni. Ce ne dà memoria un fascicoletto manoscritto, firmato dal giudice relatore G. Batta Bartoli dal quale apprendiamo che, in quell'occasione, si dà avvio alla ricostruzione degli avvenimenti sulla base delle deposizioni di Placido e Maddalena e delle testimonianze di parte civile e della difesa. Da notare che Placido è stato messo in carcere per un certo periodo per ordine dell'arcivescovo.
Ovviamente le affermazioni di Maddalena e dei suoi testimoni vengono contestate dai difensori di Placido. Ciò nonostante, è possibile fissare alcuni dati innegabili:
- Placido Lancellotti, a Fermo per completare i suoi studi universitari, nel novembre 1751 prende alloggio in casa dei Fiorani, dove Maddalena si presta ad aiutare i parenti, che affittano una camera ad uno studente. Suoi compiti principali sono la tenuta in ordine della casa e, in particolare, della stanza dell'ospite, cui porta anche il vitto. Nel marzo 1752 egli viene cacciato da casa perché i parenti di Maddalena si sono accorti che tra i due si è stabilito un rapporto amoroso. Trova ospitalità in casa di Ludovico Zambelli ma continua a parlare con la ragazza ed a vederla. Nella notte del 3 agosto 1752 Francesco Fiorani, fratello di Amico, scopre che Placido, dopo aver convinto l'amica a calarsi dalla finestra di casa nel cortile del sottostante convento delle monache di S. Marta, l'ha raggiunta ed ha fatto l'amore con lei. Placido era riuscito ad entrare nel convento con una copia della chiave, eseguita grazie all'aiuto prestatogli da Maddalena. Amico chiede che si proceda giudizialmente contro Lancellotti;
- l'8 novembre Angela - madre di Maddalena ma non convivente con la figlia in quanto, rimasta vedova e risposatasi, risiede in casa del secondo marito - chiede che venga accertato lo stato della figlia mediante visita delle mammane Costanza Mercurij e Angela Rancanese, "che la trovorno non men sverginata fin da qualche tempo, mà anco colle mammelle molli provenuto da toccamenti per le loro consuete ragioni". Si noti che Maddalena, originaria di Capodarco, aveva allora solo 13 anni;
- le conclusioni cui perviene il giudice sono tali da convincerlo della colpevolezza dell'imputato. Infatti il 27 novembre 1752 "l'Inquisito" viene condannato "ad dotandum in sc. 80 la stuprata, vel nubendum";
- il giovane non si rassegna. «Il di contro Placido Lancellotti fù abilitato per Decreto del dì 13. Febraro 1753. ad aver la Città di Fermo in luogo di Carcere col deposito fatto delli 80. scudi in quel Monte di Pietà per la Dote, in cui era stato condannato, e colla Sicurtà di rappresentarsi toties, quoties, e di stare à raggione. Così abilitato fece istanza di voler fare ulteriori difese, e (...) si prescrive (al Giud.e per tal'effetto delegato in Partibus) che siccome non gl'era stato ammesso questo Processo difensivo, se prima non si fosse costituito in Carcere ...»;
- Placido, che non pensa certo di sposare la fanciulla, trascorre un certo periodo di tempo in carcere.
Le contestazioni vertono soprattutto su due punti: l'illibatezza della ragazza e l'eventuale promessa di matrimonio.
A favore della illibatezza di Maddalena, oltre ai parenti, testimoniano il parroco ed alcuni conoscenti. Non si può però negare che la ragazza, illusa forse dalle promesse di Placido e sedotta dalle sue sollecitazioni che hanno destato la sua nascente sensualità, si sia prestata facilmente a cedere. Certo era indifesa, giovanissima, povera, sicuramente ignorante. Le attenzioni rivoltele da uno studente di buona ed agiata famiglia l'hanno spinta a credere che il futuro le potesse riservare grandi gioie. «Racconta che ricevuto in casa l'Inquisito nel Nov.e anteced.e, appena passato poco tempo principiasse à scherzare, e ridere ed à innamorarsi assieme et indi principiasse à bagiarla, e toccargli il petto con sua repugnanza finche, in un giorno restata sola in casa di sopra per rifare il letto di suo fratello l'Inquisito andasse a trovarla e dicesse, che voleva vedere se era vergine, et in cosi dire l'abbracciasse, e buttatala sopra del letto, gl'alzasse la sottana, e camiscia, mà stringendo essa le gambe non gli facesse alcun male, qual atti gli facesse replicatam.e; mà essa sempre resistesse, sintantoche accortisi i di lei parenti di un tal innamoramento, nel mese di marzo lo mandassero via di casa (...).»
I due continuano a parlarsi e ad incontrarsi. La sventurata racconta che, una notte, «apertagli la porta della cantina, lo facesse entrare, et ivi doppo varij discorsi, principiasse a bagiarla, e toccargli il petto, et indi buttatala in terra, gli alzasse i panni, e la stuprasse, raccontando lo stupro, doppo del quale se nè partisse, et indi la conoscesse carnalm.e nell'istessa cantina un'altra volta, dove la faceva andare, quando l'Inquisito gli diceva, che voleva parlargli.» Probabilmente il locale non era la cantina ma la stalla. La "conoscenza carnale>/I>" viene ripetuta anche nella notte dell'episodio avvenuto in agosto sul quale le diverse versioni non concordano. Certo è che Placido, scoperto, fugge e la lascia chiusa nel monastero, tanto che bisogna andare a cercare il fattore per poter aprire il portone e farla uscire.
In quanto alla promessa di matrimonio, Maddalena, nonostante che «nella prima Incolpazione in nessuna parte fece parola di promessa di sposarla, nè del mese in cui avvenne tale fatto dello stupro», sostiene di averla ricevuta più volte: «fà sentire che lo stupro seguisse (...) con avergli detto per stuprarla, che se gli faceva qualche male, l'averebbe sposata (...) l'Inquisito sin da quando gli andava facendo la ricerca nell'onore col bagiarla per voler vedere se era vergine, aggiunge che se tale l'avesse trovata, l'averebbe sposata (...) gli dicesse di volerla sposare tanto nè sudd.i primi tentativi (...) quanto finito l'atto del seguito stupro nella stalla (...) dicendomi d'avermi trovata vergine, e di volermi sposare.» Per dimostrare ch'egli le voleva bene ricorda che «tornato l'Inquisito alla sua Padria nelle Feste di Pasqua, due volte gli scrivesse per il Postiglione d'Acquaviva, et in una di queste gli mandasse certi calcioni, et un Fiasco d'Acqua di Fiori, et essa doppo avergli fatto rispondere da Gio: B.a Gaudenzi brugiasse le lettere che si faceva leggere dal med.° Gaudenzi.»
C'è anche un testimone che depone a suo favore, ma col tempo si scopre che potrebbe essere stato corrotto dai parenti della ragazza. E' un compagno di pena di Placido:
sostiene che «l'Inquisito dicesse in tempo che stava carcerato assieme con esso Fedefaciente, che non averebbe mai sposato la stuprata, e che se poteva uscire, voleva fuggirsene in Venezia, e così sarebbe restata cornuta, e di più che il Fratello del d.° Inquisito di notte tempo sotto le carceri gli diceva, che fosse stato forte, e non avesse confessato.»
Placido invece, anche con l'appoggio di suoi testimoni, sostiene che Maddalena, per il servizio che svolgeva in casa, era spesso a contatto di giovani uomini e si prestava a familiarità a volte sconvenienti. Egli dà per scontato che la fanciulla amoreggiasse da tempo con altri studenti, in particolare con un certo Francesco Mannocchi. Per di più fa notare che, nel racconto di quello che per lui è un preteso stupro, la giovincella ha fatto uso di termini che non si addicono ad una ragazza innocente. Su questo punto interviene il difensore di Maddalena, secondo il quale le frasi incriminate risentirebbero della versione data dal giudice.
Nel giudizio successivo lo scontro sulle diverse versioni si accentua, ma riteniamo inutile insistere sull'argomento, tranne che per notare alcune cose:
- la pena viene ridotta da 80 a 40 scudi. Tenuto conto che, in termini monetari 80 scudi oggi corrisponderebbero a circa due milioni e mezzo, si potrebbe osservare che la valutazione dell'onore perduto sia stata piuttosto bassa. Se però si considera che 80 scudi corrispondono a circa due anni di paga di un operaio comune (cioè a circa 36 milioni) il risarcimento sale di valore, ma non tanto da potersi considerare soddisfacente. In fin dei conti non si può negare che il condannato se la sia cavata a buon prezzo;
- nelle carte presentate da Placido a proprio favore c'è un attestato della Comunità di Grottammare sulla onorabilità e l'agiatezza della famiglia Lancellotti. Il difensore di Maddalena contesta il valore di questo documento in quanto "esser detto Magistrato, e Consiglio composti di Marinari, Calafati, Falegnami, e Contadini, e da altro consimile: Attestato che il primo Marito della Madre di d.° Inquisito faceva l'arte del Pupazzaro.";
- come parametro valutativo dell'agiatezza di Placido Lancellotti possiamo assumere alcuni dati, desumibili dalle assegne dei preziosi del 1796 (6) e dal Catasto di Grottammare del 1770.(7) Si tratta di dati posteriori di 20 e 40 anni rispetto all'epoca dello stupro, quindi riferibili ad un periodo in cui Placido potrebbe aver già messo a frutto i guadagni della sua professione di notaio e di segretario comunale. Non possiamo, però, escludere in via preliminare che invece di accumulare ricchezza l'abbia sperperata. Perciò devono essere valutati solo a titolo indicativo. Orbene, dalle assegne risulta che Placido dichiara di possedere solo 3,08 oncie di posateria d'argento, che non gli vengono requisite. Dal catasto, invece, risulta a lui intestata soltanto la particella 227, arativa-ortiva, in contrada Piane Tesino, di canne 1610. Facendo dei conti approssimati ne deriva che possiede una superficie di circa due rubbi, pari a circa 1,9 ettari. Non sembra certo di avere a che fare con un ricco possidente, il che conferma l'opinione espressa dal difensore di Maddalena;
- Maddalena ricorda il dono fattole da Placido di alcun calcioni, dolci ripieni di ricotta. Si ricorda in proposito che, ai frequentatori della Sezione di Archivio di Stato di Fermo - ma non solo a loro - è ancora riservata la possibilità di degustare queste specialità tradizionali grazie al provetto fornaio che tiene bottega di fronte al palazzo dell'archivio.
Appena un anno dopo l'episodio citato, Placido diviene notaio e anche segretario della Comunità di Grottammare. Ma il suo comportamento solleva molte critiche da parte delle autorità periferiche e centrali, come risulta da alcuni documenti che qui trascriviamo parzialmente e che risalgono ad almeno 18 anni dopo il conferimento del primo incarico.(8)
«Non ostante gli ordini pressantissimi dell'E. V. da me partecipati ai Comunisti di Grotteamare, acciocchè nel decorso dello scaduto Febrajo elegessero un Segretario Forestiere, non anno i medesimi in conto alcuno eseguito quanto loro fù ingiunto col pretesto di non esser comparso alcun concorrente all'ufficio, il che peraltro è accaduto per non aver usate secondo il solito le debite diligenze con lettere circolari, acciocchè, si rendesse nota ai Notarj l'attuale vacanza di quell'impiego, benchè per dar qualche colore a simile artificioso difetto, mi abbiano fatto giungere due documenti, che umilio dei Segretarj di Marano e S. Benedetto confinanti col Castel delle Grotte, i quali anno ricusato di affacciarsi al concorso.
Tutte queste misure procurate dall'attuale provisionato Placido Lancellotti tendono ad ottener dall'E. V. il permesso di farlo eleggare non ostante la sua qualità civica, e locale, debbo per altro per iscarico del mio dovere far noto a V. E. che nell'improvisa urgenza della rinuncia fatta dal Segretario precedente dell'ufficio, tanti furono i forti impegni, che si procacciò, che non potetti far a meno di spedire in di lui persona la provisionale, coll'avvertenza peraltro contemporanea di ordinare a quel Pubblico di eleggere un tal Salariato nel decorso d'un mese (...) I motivi, che mi trattenevano dal così provvederlo, e d'inculcare rispettivamente la nuova elezione derivano dalle poco plausibili qualità del Lancellotti, che non astenendosi nelle adunanze publiche dall'eccitare disturbi fù sospeso per oracolo della S. Consulta dall'intervenire ai Consigli e quindi premessa un acre ammonizione fù per grazia della stessa S. Consulta reintegrato (...) »
Gli amministratori grottammaresi cercano di giustificarsi per la mancata elezione di un Segretario forestiero adducendo il pretesto della scarsa retribuzione, pur aumentata a 24 scudi annui dai 12 iniziali: « (...) il tenue emolumento di sc. 24 annui non ha allettati li Forastieri a concorrere a d.a Segretaria, e se qualcuno è concorso, o è stato ignorante, ed affatto inetto per l'esercizio di una tal carica, oppure dopo pochi mesi l'ha rinunziato con grave pregiudizio degli affari publici. Ciò seriamente consideratosi, fin dall'anno 1753 dalla S. Cong.ne, si diede il permesso che il d.° officio di publico Segretario potesse esercitarsi dal Notaro Placido Lancellotti quantunque Paesano (...) nella qual carica si è reso prattico degl'affari publici per il lungo esercizio, e perciò ultimamente è stato confermato per Provisionale dal Governo di Fermo; Al ricorso forse di qualche Maligno, che non cura il vantaggio della Communità, ma soltanto lo sfogo di qualche privata passione, ultimamente si è ingiunto l'ordine da questa S. Cong.ne, che dentro il 3ne di un Mese si venga dalla Communità all'elezzione di altro Segretario Forastiere; La Communità addunque, la quale vede impossibile l'esecuzione di un tal ordine attesa la miserabile provisione, che corrisponde annualmente, e considera insieme il pregiudizio, che ne deriva agl'affari publici qualora si rimova il d.° Notaro Placido Lancellotti reso già prattico, e pienamente informato per il lungo esercizio degl'intercorsi della Communità, e specialmente di alcune liti pendenti di considerabile conseguenza, perciò la d.a Com.tà ricorre alla benignità dell'EE. VV., affinche per li allegati motivi condescendino, che il d.° Notaro Placido Lancellotti possa continuare nell'esercizio di d.a carica, come altra volta si ordinò in vista di tali raggioni (...)»(9)
In effetti sembra che il Lancellotti abbia svolto un ruolo importante nello screditare il titolare della carica, il notaio maranese Luigi Rivosecchi, per poter subentrare al suo posto.
«La Com.tà di Grotte a mare di Fermo Or.ce U.ma dell'EE. VV. divotamente espone ritrovarsi al suo servizio in qualità di publico Segretario il Notaro Luigi Rivosecchi affatto inabile, ed incapace à ritenere la med.a carica. Le mancanze dal med.o commesse ne' publici libri de' Consegli, e ne Registri di Bollette, le infedeltà del med.o col palesare i publici interessi à Particolari, ed Avversarj, e la cattiva custodia di tutte le publiche scritture inordinate, e maltenute per Terra non sono poche, e di poco peso, oltre la propria incapacità, ed ignoranza di stendere anche una lettera. Essendo per tanto troppo palesi le dd. mancanze di d. Rivosecchi, umilmente implora la Com.tà Or.ce dalla somma Benignità dell'EE. VV. l'opportuna facoltà di eleggere il nuovo Seg.rio, il quale serva fedelmente il Publico, e lo renda libero, ed immune da sud.i danni, ed aggravj.»(10)
Probabilmente, quando sarà possibile consultare le carte conservate presso l'Archivio Storico Comunale, attualmente in fase di riordinamento, potrebbero emergere delle carte utili per chiarire la questione. Al momento, infatti, non possiamo essere certi che le accuse rivolte a Luigi Rivosecchi siano del tutto fondate, in quanto provenienti da un concorrente privo di scrupoli, come appare dalla descrizione che ce ne fa' il luogotenente del governatore di Fermo e da quanto risulta dalla vicenda sentimentale con Maddalena Fiorani. Da non sottovalutare, inoltre, la rete d'interessi tra varie consorterie locali che potrebbero aver preferito appoggiarsi ad un funzionario cittadino, anziché forestiero, per lo svolgimento di affari di notevole importanza nell'ambito della comunità.
A titolo di curiosità, infine, aggiungiamo che presso l'Archivio di Stato di Ascoli Piceno, fondo NOT-GRO, sono conservati gli atti notarili redatti da Placido Lancellotti tra il 1755 ed il 1808.
Note<(B>
(1) - F. GAMBARO, Storie di corpi violati, La Repubblica Roma 29 dicembre 1997, p. 23.
(2) - G. CAVEZZI, Due processi per stupro, Olschki Firenze 1962, pp. 541-555.
(3) - C. CESCHI, Lo stupro di seduzione, Studi Romagnoli XLV (1994), pp. 301-317.
(4) - S. ANSELMI, Ultime storie di Adriatico, Bologna 1997, p. 29.
(5) - ASR, Camerale III, b. 1207, cc. 692-735.
(6) - S. SILVESTRO, Oro ed argento a Grottammare e dintorni nel 1796, Quaderni dell'Archivio Storico Arcivescovile di Fermo, 19/1995, pp. 117-126.
(7) - B. OLIVIERI, La mensa arcivescovile di Fermo nel Catasto di Grottammare, anno 1770, Quaderni dell'Archivio Storico Arcivescovile di Fermo, 15/1993, pp. 111-127.
(8) - ASR, Buon Governo, s. II, b. 1932, lettera da Fermo del 18 marzo 1771, firmata dal luogotenente Giuseppe Antonio Pignotti. Il governatore di Fermo era il patrizio beneventano G. Battista Mirelli in carica dal 1765 al 1775, cfr. C. WEBER, a c. di, Legati e Governatori dello Stato Pontificio (1550-1809), Roma 1904, pp. 248 e 783.
(9) - ASR, ib., lettera senza data, allegata in copia alla precedente.
(10) - Id. come sopra.
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