I Palmaroli
artisti marchigiani dell'800
Dal Piceno a Roma, in Italia, in Europa

(A Pietro Palmaroli sono stati dedicati due articoli, apparsi in Archeopiceno n. 1-1993, pp. 95-96 e in Archeopiceno n. 10-1995, pp. 11-12, poi rivisti e aggiornati nella stesura che qui si presenta)


Introduzione
Sono almeno quattro i Palmaroli, fermani od oriundi del Fermano, che nel secolo XIX si sono dedicati alle belle arti.
Accomunati da una stessa matrice territoriale, formano due binomi padre-figlio, i cui eventuali reciproci legami di parentela si perdono nel tempo.
La presente ricerca va considerata come un contributo volto a fornire sicure notizie biografiche su personaggi dell'arte e dell'artigianato artistico del primo '800, spesso poco noti o addirittura sconosciuti, e ad illustrare alcuni aspetti e momenti della vita culturale a Roma, a Grottammare e nel Piceno nella stessa epoca.
Innanzitutto va rilevata la sensibile difformità della situazione specifica dei singoli artisti. Solo pochi operatori tra i tanti che in passato hanno avuto il compito di restaurare capolavori danneggiati dall'azione del tempo, da eventi straordinari o dall'incuria degli uomini, hanno tramandato ai posteri i loro segreti.
Fa eccezione, in questo quadro, Pietro Palmaroli, uno dei restauratori più famosi dell'800, il quale diverse volte ha affidato alla carta stampata notizie sui procedimenti da lui seguiti. Molto stimato in Italia ed in Europa in vita, ma fortemente criticato nei decenni successivi alla sua morte, in questi ultimi anni è stato oggetto di studi che hanno messo in luce l'importanza della sua opera nel contesto della storia del restauro in Europa ed hanno fatto luce sul catalogo dei suoi interventi, pur lasciando a volte in ombra taluni momenti fondamentali della sua biografia.(1)
Una ricerca volta al reperimento di documenti archivistici atti a diradare queste incertezze, per quanto possibile, presenta aspetti d'indubbio interesse, data l'importanza della sua attività di restauratore e tenuto conto che la sua bibliografia, pur non avara, è tuttavia frammentaria e dispersa.
Felice, figlio di Pietro, ci è noto per pochissime testimonianze in campo professionale: un quadro in possesso della famiglia Palmaroli, che Pietro dichiara essere opera prevalente del figlio quindicenne; alcune notizie sulla sua presenza a Dresda come collaboratore del padre nell'opera di restauro dei dipinti della Gemäldegalerie; la qualifica di pittore con la quale appare negli stati delle anime; pochissimi cenni alla sua attività di restauratore. Grazie alle ricerche svolte presso l'Archivio Storico del Vicariato di Roma, (poi ASVR), e la Biblioteca Apostolica Vaticana, (poi BAV), sono emersi numerosi elementi utili per arricchire la sua scarna biografia, che possono essere integrati con alcune notizie desumibili dall'epistolario conservato nell'archivio della famiglia Palmaroli a Grottammare (poi AP).
Gaetano, nato a Fermo ed emigrato in Spagna, ha lasciato discrete tracce della sua attività e della sua vita. Si dedica prevalentemente alla litografia, ma di lui ci restano anche quadri di vario genere.
Vicente, nato in Spagna da Gaetano, raggiunge presto fama di valente pittore ed ottiene numerosi riconoscimenti pubblici. Entro certi limiti può essere considerato un caposcuola. La sua bibliografia è ricca ma purtroppo non sempre reperibile in Italia, perché prevalentemente in lingua spagnola.
Dobbiamo ricordare inoltre un quinto Palmaroli, noto solo come R. (o B.) Palmaroli, che Páez Ríos cita quale autore di una litografia apparsa nel 1857 e del quale non si ha nessun'altra menzione.(2)

Capitolo I
Pietro Palmaroli
1.1. Il ramo romano della famiglia Palmaroli
Il primo dei Palmaroli a trasferirsi stabilmente e definitivamente a Roma è Girolamo Pasquale. Nato il 29 marzo 1720 a Grottammare, battezzato il 31 dello stesso mese e cresimato il 10 maggio 1722, è il primo maschio degli 11 figli di Francesco Bartolomeo Palmaroli e di Cecilia Mannocchi. Viene tonsurato a Ripatransone il 17 dicembre 1730, forse per acquisire alcuni benefici ecclesiastici, ma non diventa prete. In epoca ignota si trasferisce a Roma, dove la sua presenza ci viene attestata per la prima volta dall'atto di battesimo del primogenito Vincenzo Francesco, nato il 21 aprile 1758 e morto ben presto, poi dal certificato di battesimo di Vincenzo Maria, nato il 29 dicembre 1760, e quindi da uno stato delle anime della parrocchia di S. Lorenzo in Damaso del 1761 secondo il quale egli ha 38 anni (in realtà ne ha 41), è procuratore, è sposato con la trentasettenne lucchese Elisabetta Giuliani ed abita con la moglie ed il figlio Vincenzo (1 anno) a piazza dei Cappellari.
Col passare del tempo le notizie s'infittiscono: il 7 aprile 1763 nasce Maria Cecilia; il 24 settembre 1764 muore Elisabetta; il 19 luglio 1766 Girolamo sposa Caterina Panzironi, dalla quale ha 8 figli, tre dei quali morti in tenera età (il primogenito Domenico, omonimo del noto medico, Giacinto e Giuseppe). I figli che sopravvivono sono Pietro, il secondo Domenico, Maria Maddalena, Carolina e Gregorio.
Contatti di Girolamo con la famiglia originaria ci vengono rivelati da annotazioni del libro conservato nell'AP, relative alla divisione dei beni tra i fratelli, avvenuta il 20 ottobre 1753 per rogito del notaio Nicola Massi di Massignano, alla vendita di alcuni beni immobili a lui appartenenti (una casa il 13 ottobre 1757 ed un giardino il 26 aprile 1776), all'estinzione di un censo il 5 febbraio 1776 ed alla quietanza finale della divisione in data 28 maggio 1773. Nei fondi notarili di Ascoli Piceno e di Ripatransone si trovano riscontri ufficiali a tali note.(3)
Dal 1767 Girolamo risiede con la famiglia nei pressi del palazzo Altemps. Non si ha alcun elemento per sostenere che si tratti di una pura coincidenza o di una precisa scelta. Tenuto però conto del prestigio di cui godeva quella nobile famiglia - attestata anche a Fermo e sicuramente in relazione con i Palmaroli di Grottammare come risulta da alcune lettere dei primi anni dell'800 indirizzate a G. B. Palmaroli "in casa di S. E. Altemps" - si propende per la seconda ipotesi.(4)
Il 9 febbraio 1788 Girolamo, che dal 1767 è censito come curiale, muore a Roma. Gli sopravvivono la seconda moglie e la prole superstite di primo e secondo letto.
Vincenzo nel 1791 è soldato della guarnigione di Castel S. Angelo e nello stesso anno sposa Maria Geltrude de Sanctis. Dovrebbe essersi sposato una seconda volta ed essere morto appena quarantenne, poiché nel 1805 il fratello Gregorio ospita Rosa Zuvina, vedova di Vincenzo Palmaroli.
Di Cecilia non abbiamo notizie.
Di Pietro parleremo diffusamente più avanti.
Domenico, nato nel 1769, si laurea in medicina, esercita a lungo la professione a Chieti ed ha una parte attiva nei moti carbonari del 1821.(5) Ne tratteremo più estesamente nell'appendice I.
Maddalena, nata nel 1771, nel 1797 abita in via Gregoriana con Gregorio e Carolina, nel 1799-1801 in via Vittoria con la famiglia di questa sorella. Poi ne perdiamo le tracce per lungo tempo, fino al 1806, quando la ritroviamo nella parrocchia di S. Susanna. "Madalena Palmaroli fig. di Girolamo della Marca z.a (...) 35" abita in via S. Nicola di Tolentino 47 nella casa al primo ed al secondo piano tenuta dallo scultore Pietro Finelli di Massa Carrara (34 anni) e dal fratello Carlo (23 anni). Vi è ancora nel 1807, nel 1808 ("Maddalena Palmaroli della Marca zitella (...) 37 anni") e nel 1809. Vi è poi una lacuna negli atti dal 1810 al 1812. Nel 1813 Maddalena non compare più in quella via né in altro sito della parrocchia. Potrebbe essere emigrata altrove, come non si può escludere che sia morta, ma non nella stessa parrocchia, perché il libro dei morti di S. Susanna dal 1787 al 1821 non segnala il decesso suo né di altri Palmaroli. Pietro e Carlo Finelli invece, ma non Maddalena, sono ancora censiti allo stesso indirizzo negli anni tra il 1828 e il 1833, quando la sede parrocchiale è ormai stata spostata a San Bernardo alle Terme. A favore dell'identificazione di questa Maddalena con la figlia di Gerolamo depongono la coincidenza dell'età e la paternità attribuitale. Il fatto che sia detta della Marca - come a volte è successo anche per il fratello Pietro - è un'inesattezza di poco conto nell'ambito di questo tipo di documentazione anagrafica. La coabitazione con scultori potrebbe far pensare anche ad un suo impiego come modella, ma non abbiamo nulla che possa confermare questa ipotesi.
Carolina il 15 aprile 1798 sposa lo scultore Giuseppe Malatesta, da cui ha Luigi, Scipione, M. Anna, M. Diomira, Angela, Saverio, Serafina e Francesco, con i quali vive a lungo in via Vittoria 72.
Gregorio, nato nel 1776, prima scultore e poi incisore di cammei, sposa la senese Angela Germisoni, ha una numerosa prole che riesce a mantenere con molte difficoltà e muore il 17 giugno 1820. Dei suoi figli ricordiamo Anna Maria, Caterina Vincenza, Girolamo, Vincenza Giovanna, Maria Luisa, Apollonia, Fausto ed Adriano. Abbiamo qualche notizia della discendenza di Girolamo, marito di Luisa Cosatti, morto nel 1837 e padre di Orazio, di Carlotta ed Erminia, sposatesi entrambe nel 1847, e di Pompilio morto in tenera età.

1.2. Pietro Palmaroli e i suoi discendenti
Pietro nasce a Roma il 2 giugno 1767 e viene battezzato il giorno seguente nella chiesa parrocchiale di S. Apollinare.(6) La famiglia si è trasferita da poco nell'isola del Soldato vicino al palazzo Altemps, nei pressi di piazza Navona, dove risiederà fino al 1789.
Nel 1781 il giovane si comunica per la prima volta e viene cresimato il 6 luglio dello stesso anno.
Gli stati delle anime di S. Apollinare riportano il nome di Pietro, con quello degli altri componenti la famiglia paterna, fino al 1789, anno della morte di Girolamo. Quindi ne perdiamo traccia per otto anni, dal 1790 al 1797. La Bergeon ricorda che, per diversi anni a partire dal 1790, il palazzo Altemps non è abitabile a causa di lavori edilizi.
Il 10 ottobre 1798, anzi il 19 vendemmiale dell'anno 7° repubblicano, il parroco di S. Maria in Via firma le pubblicazioni per le nozze che il cittadino Pietro Palmaroli intende contrarre con Elisabetta Muñoz.
Si osserva che, mentre la famiglia Muñoz risulta presente in tale parrocchia per un certo numero di anni a cavallo del 1798, Pietro invece, sebbene nelle carte matrimoniali venga indicato come residente in quella circoscrizione, non è rintracciabile nello stato delle anime.
Nel 1799 egli ha lo studio in via Gregoriana 202. Dal 1800 risiede in quella strada, al 2° piano del n. 238 dal 1800 al 1802 ed al 3° piano del n. 13 dal 1803 al 1810. Nel 1809 prende in affitto tre stanze ad uso di laboratorio nel palazzo Barberini: ne tratteremo più avanti.(7)
Non sappiamo dove abiti nel 1811 e 1812. Dal 1813 al 1814 è in via del Tritone 54, nel 1815 il suo domicilio non è noto, nel 1816 è in via Felice 126 e quindi, dal 1817 fino al 12 febbraio 1828, data della sua morte, in via del Lavatore 95.(8)
E' padre di numerosissima prole: Vittorio nato nel 1799 ma morto ben presto, Vittoria nata nel 1800, Girolamo nato nel 1803 e vissuto pochi mesi, Angelica, Felice, Elena, Serafina, Candida, Maria, Alessandra, Gaetana ed Agata. Va osservato che una figlia Alessandra muore il 29 maggio 1816, all'età di due anni, ma un'altra omonima risulta censita dal 1816 fino al 1824.
Grande fama gli deriva dallo stacco dell'affresco "La discesa dalla croce" di Daniele da Volterra, dopo che nel 1806 aveva già dato prova della sua abilità come rilevatore d'affreschi. Alle successive operazioni di restauro dell'opera è legato un commento di Stendhal, che riportiamo più avanti.
Il comportamento di Pietro in tali circostanze ha richiamato l'attenzione di F. Boyer, che gli dedica le seguenti parole: «Y-eut il un art clandestin dans l'Italie dominée par Napoléon? La question doit être posée. Il faut penser à la caricature: le mot, et la chose à ses débuts, furent italiens (...) Il est un autre aspect de la résistance à l'oppresseur et les Italiens l'ont souvent pratiqué. Il s'agit de l'exil volontaire. Or, aucun des artistes d'Italie vivant dans la péninsule en 1796 ou en 1800 ne s'exila, semble-t-il. En revanche certains cherchèrent refuge en France aux heures du retour des Autrichiens. Restent ce qu'on peut appeler le cas Palmaroli et le cas Ceracchi.
Palmaroli, né à Rome vers 1778, était un restaurateur de tableaux plutôt qu'un artiste; il avait trouvé un procédé pour porter les fresques sur des toiles.
Il fut chargé d'ôter de l'église de la Trinité-des-Monts la fresque de la Déposition de la Croix par Daniel de Volterra, de la nettoyer et de la mettre sur toile pour l'acheminer sur Paris; le 30 janvier 1812 il déclara avoir reçu les 4.500 francs promis et avoir le tableau dans son atelier.
» (Qui Boyer cita l'episodio ricordato da Stendhal e da noi più avanti trascritto). «Il y a réussi (...) Stendhal fut souvent bien informé, mais il serait bon qu'un document d'archives confirmât ses dires.
Giuseppe Ceracchi est plus connu que Palmaroli, pour ses ouvrages de sculpture en Italie, Angleterre, Autriche, France et aux États-Unis d'Amérique, et pour la fin tragique où l'entraina en 1801 sa participation prétendue à un complôt organisé contre le Premier Consul par le Corse Arena, le peintre Topino-Lebrun et Demerville (...) Les rapports entre les artistes italiens et Napoléon n'offrent donc rien qui ressemble à une attitude d'opposition envers le nouveau regime, encore moins à une contre attaque, à une conjuration. Ils ne présentent pas davantage d'exemples de totale dévotion à l'Empereur: Bartolini parait avoir été une exception
».(9)
Pertanto possiamo riconoscere a Pietro Palmaroli il vanto ed il merito di essere stato l'unico, tra i pittori ed i restauratori italiani, ad aver trovato la forza e la costanza di opporsi alla volontà più volte espressa dalle autorità francesi, senza tuttavia giungere ad una opposizione netta e dichiarata ed alla rottura dei rapporti con gli occupanti, cosa che avrebbe potuto procurargli tragiche conseguenze.
Bergeon si sofferma su un documento riservato della polizia pontificia, datato 27 marzo 1820 e concernente "un jeune Palmaroli", e ne trae spunto per cogliere nel restauratore e nella sua famiglia d'origine aspetti di cultura illuministica e tendenze rivoluzionarie.(10)
Premesso che la carta di cui si tratta riguarda fatti avvenuti nelle Marche e va riferita con sicurezza a Filippo e Giuseppe, figli di G. Battista Palmaroli e residenti a Grottammare come più avanti vedremo, non ci risulta l'esistenza di documenti, riferibili a Pietro, che possano comprovare l'affermazione di Bergeon, valida invece per quanto concerne la linea grottammarese.
Già nel 1824 Pietro riceve l'invito di recarsi a Dresda per restaurare numerosi capolavori della Gemäldegalerie.(11) Lo stato di conservazione di gran parte delle opere è allarmante, come risulta dalla testimonianza di Buchanan:
«Monsieur du Burtin, in his remarks on the pictures of the Dresden gallery, tells us, that of its former directors, Raidle had covered most of the pictures with oil mistead of varnish, which, to avoid total destruction to these works, after a few years, obliged to remove, and that they had suffered much from the improper application in the first instance, and the injudicious treatment by clearing, in the second».(12) Solo nel giugno 1826 egli vi giunge accompagnato dal figlio. Promotore della sua chiamata può considerarsi indubbiamente Johann Gottlob von Quandt, autore di vari articoli apparsi sulla stampa periodica e legato a Goethe da amichevoli relazioni. Tuttavia, nonostante l'appoggio dei suoi patrocinatori e la benevolenza dimostrata dal granduca Carlo Augusto di Sassonia, Pietro deve affrontare l'aspra ostilità del direttore della galleria, Matthäi.
Al termine del soggiorno in Germania, nell'autunno del 1827 il restauratore rientra a Roma. Da quanto scrive Vincenzo Camuccini al Camerlengo card. Galleffi, Palmaroli si ammala improvvisamente e gravemente ai primi di febbraio 1828.(13) Il decesso segue il giorno 12, prima che abbia esito una nuova iniziativa di von Quandt per richiamarlo a Dresda.(14)
Alcuni autori riferiscono che, dopo aver lavorato alla Gemäldegalerie, egli si sia trattenuto a Pietroburgo alla corte del principe Poniatowski.(15)
Questo soggiorno dovrebbe essere avvenuto negli ultimi mesi di vita di Pietro. Infatti egli lascia Dresda a fine agosto 1827 per rientrare a Roma, dove muore nel febbraio dell'anno successivo.(16) Non abbiamo nessuna notizia certa sulla sua permanenza a Pietroburgo in quel periodo, né in altri. In proposito si possono avanzare almeno cinque ipotesi.
La prima è che sia stato erroneamente attribuito a Pietro il soggiorno programmato all'inizio del secolo presso quella corte dal fratello Domenico, che nella prefazione della sua biografia del Comparetti scrive «questo insigne Professore (...) mi prescelse ancora a coprire l'onorifico posto di medico presso uno de' più ragguardevoli personaggi della Real Corte di Varsavia, dove era incamminato, nell'epoca in cui terminò di esistere quel Regno già sì temuto e potente.»(17)
La seconda è che Pietro sia stato effettivamente a Pietroburgo ai primordi della sua attività, ma non oltre gli anni 1804-1806, cui risalgono documenti certi della sua presenza e del suo impegno a Roma. Ma, in tal caso, non ci si spiega come un restauratore sulla soglia della trentina avesse già raggiunto una fama tale da farlo convocare alla reggia degli zar.
La terza è che come corte Poniatowski sia da intendere il palazzo romano appartenente a quella famiglia, ipotesi che per il momento non siamo in grado di sorreggere con appropriati documenti.(18)
La quarta è che Pietro, lasciata Dresda, si sia diretto effettivamente a Pietroburgo. Tenuto conto delle difficoltà dei viaggi in quell'epoca, soprattutto nelle stagioni autunnale ed invernale, il tempo a disposizione per soggiornare in quella corte - dove il re di Polonia era stato trattenuto come prigioniero ma era morto molti anni prima - sarebbe stato sicuramente esiguo, ma forse sufficiente per eseguire un sopraluogo in vista di futuri interventi. Nessun documento in proposito è finora emerso.(19)
La quinta, è che Pietro nel viaggio di ritorno sia transitato per la Polonia ed abbia soggiornato in un possedimento del defunto re per prendere visione di opere da restaurare, su segnalazione dell'amico Stattler. Anche per questo caso non disponiamo di prove.
Un ritratto di Pietro Palmaroli - l'unico a noi noto di sicura autenticità - dipinto da Carl Christian Vogel von Vogelstein nel 1826, non citato nel catalogo dell'Hübner, è conservato nella Gemäldegalerie di Dresda.(20)
Dopo la morte di Pietro la famiglia continua a risiedere nella parrocchia dei SS. Vincenzo e Anastasio a Trevi e cambia più volte casa. Tra il 1829 ed il 1835 per alcuni anni l'abitazione è in via Nuova; poi nell'isola dei Maroniti e nell'isola della Purificazione; in via dei Cappuccini 1; dal 1838 al 1841 in via in Arcione 104; quindi fino al 1846 in via Rasella 45; da quest'anno fino al 1856, quando si perdono le tracce dei pochi superstiti, in via degli Avignonesi 68.(21) Si noti che si tratta di spostamenti all'interno di un'area delimitata, nei pressi del palazzo Barberini, dove per molti anni fu ospitato il laboratorio di Pietro e di Felice.
Alcune delle figlie e delle nipoti conviventi si sposano: Angelica nel 1822 con Giovanni Ciampoli, che nel 1825 la lascia vedova con due figli; Vittoria nel 1834 con il cognato Luigi Ciampoli; Candida nel 1834 con Luigi Loreti; Vincenza Giovanna nel 1836 con Giovanni Diofebi.
Nel 1833 muore Serafina a 28 anni; nel 1842 Elena a 29 anni; nel 1845 a 40 anni Angelica, tornata in famiglia nel 1835. Il 28 settembre 1856 muore l'ottantenne Elisabetta, che negli ultimi tre anni di vita viene censita con la qualifica di ebete, scema o rimbambita, come risulta anche dall'atto di morte. Dal 1857 al 1859 Felice - rimasto scapolo e vissuto a lungo con la mamma, le sorelle e cugine nubili o vedove ed il nipote Angelo Ciampoli - si unisce alla sorella Vittoria ed ai superstiti della famiglia Ciampoli in vico Nazareno 10, poi s'ignora dove abiti. Se ne trova menzione solo il giorno della sua morte, sopravvenuta il 20 luglio 1871 per un colpo apoplettico in una casa di via della Purificazione 48 dove abitano i pittori Giuseppe Messina e Giuseppe Malinski.

Note
(1) - Citiamo soltanto: F. S. BERGEON, Contribution à l'histoire de la restauration des peintures en Italie au 18è et au début du 19è siècles (Fresques et peintures de chevalet), Mémoire de l'Ecole du Louvre, 1975: è l'unica opera che presenta un quadro biografico esatto e completo di Pietro, ma purtroppo non è stata ancora pubblicata e, a causa della limitata diffusione, non è agevolmente consultabile; F. S. BERGEON, Un restaurateur romain ... Pietro Palmaroli, Ottawa 1981; F. S. BERGEON, Pietro Palmaroli e i fondamenti del restauro moderno, Archeopiceno n° 10/1995, pp. 5-10; G. C. SCICOLONE, Pietro Palmaroli, restauratore a Roma negli anni della Restaurazione, Tesi di laurea in Scienza e Tecnica del Restauro, Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea D.A.M.S., Relatore Prof. A. Conti, anno accademico 1981-1982, p. 17. Per notizie più circoscritte v. anche: A. SILVESTRO, Alcuni chiarimenti biografici a proposito di Pietro Palmaroli, Archeopiceno n° 1/1993, pp. 26-27; S. SILVESTRO-A. SILVESTRO, Conclusione di una ricerca. Dove e quando è nato Pietro Palmaroli, Archeopiceno, n° 3/1993 pp. 17-18 e n° 10/1995 pp. 11-12.
(2) - E. PAEZ RIOS, Repertorio de grabados españoles, voll. 3, Madrid 1982, cfr. vol. II, p. 335: "Palmaroli, R (o B). Verdadero ritrato del milagroso Crucifijo que se venera en la Iglesia del San Francisco de (...) Tarazona. Año 1857. R. Palmaroli lito. 250x402". Si segnala però che, nel corso delle nostre ricerche, sono emerse almeno due vistose discordanze onomastiche:
- in una delle lettere a proposito del restauro delle Stanze di Raffaello, conservate nell'Archivio Storico dell'Accademia di S. Luca (poi ASASL), Pietro Palmaroli viene appellato Luigi;
- in un opuscolo di F. RAFFAELLI, L'aula massima nel palazzo municipale di Fermo, Fermo 1880, Gaetano viene detto "il celebratissimo cavaliere Francesco Palmaroli".
Poiché dagli atti di battesimo di Pietro (Marcellino, Alfonso, Paolo) e Gaetano (Luigi, Ignazio, Lazzaro) non risulta che essi abbiano avuto rispettivamente i nomi di Luigi e Francesco, evidentemente si tratta di un errore: lo stesso potrebbe essere accaduto per questo finora sconosciuto R. (o B.).
(3) - A differenza degli istromenti rogati dai notai residenti a Grottammare e S. Benedetto, conservati all'ASAP, gli atti del notaio Nicola Massi di Massignano sono raccolti nell'Archivio Notarile di Ripatransone. La divisione dei beni tra fratelli del 20 ottobre 1753 assegna a Girolamo: 160 scudi da lui anticipati in occasione di un primo accordo nel 1751; il terreno giardinato, olivato, arativo con casa in esso esistente, posto in q.to Territorjo di Grottamare in Con.a d'Ischia; il corpo di Terreno arativo, arborato, olivato, ed amandolato con casa in esso esistente, posto nel Territorio sudetto in Con.a de Monti.
(4) - Cfr. AP, lettere commerciali del 14.10.1802 da Grottammare al Sig. Anselmo Vigliati, di Ferrara; del 31.10.1802 al Sig. Giacomo Palini (?), di Ancona; e gli appunti (uno senza data, l'altro datato Recanati lì 10) relativi a conti da saldare con il marchese Monaldo Leopardi, che esprime il suo disappunto per il ritardo. Tali fogli erano racchiusi in due buste indirizzate: l'una "All'Ill.mo Sig. Sig. P.rone Col.mo / Il Sig. Bar.e Gio. Batta Palmaroli / in Casa di S. E. Altemps / Roma", l'altra "Al Nobil Uomo / Sig.r Giovanni Batt.a Palma / roli = In casa Altemps / Roma". Probabilmente si tratta di missive inviate da Grottammare a Roma in occasione di una lunga assenza di G. Batta, per tenerlo al corrente dell'andamento degli affari. Infine v. lettera spedita a G. Battista da Grottammare il 31.5.1807 dal fratello F. (evidentemente Francesco Antonio): oltre alle consuete notizie su questioni commerciali e di famiglia, va rilevata una frase molto significativa "avete visto Pietro Palmaroli?", che ci conferma la continuità dei rapporti tra i cugini romani e grottammaresi.
(5) - Per Domenico cfr.: D. PALMAROLI, Saggio sopra la vita letteraria di Andrea Comparetti, primario professore di medicina teorico-pratica nell'Università di Padova, Venezia 1802; ANONIMO, Necrologia. Notizie intorno Andrea Comparetti (fascicolo conservato nella Bibl. Universitaria di Padova, Racc. Benvenisti 2131-67, fasc. 28 pp. 290- 295); D. PALMAROLI, Osservazioni sulla febbre petecchiale degli Abruzzi, Chieti 1817; G.B. MASCARETTI, Memorie istoriche di Grottammare, Ripatransone 1841; G. PEPE, Memorie del gen. G. P. intorno alla sua vita e ai recenti casi d'Italia scritte da lui medesimo, voll. 2, Paris 1847; G. SPERANZA, Guida di Grottammare, Ripatransone 1889; D. SPADONI, Sette, cospirazioni e cospiratori nello Stato Pontificio all'indomani della restaurazione, Torino-Roma 1904; D. SPADONI, Una trama e un tentativo rivoluzionario dello Stato Romano nel 1820-21, Roma-Milano 1910; G. NATALUCCI, Medici insigni italiani moderni e contemporanei nati nelle Marche, Falerone 1934, pp. 102-103.
(6) - Per una succinta, ma incompleta, biografia dell'artista, v. G. B. MASCARETTI, Memorie istoriche ... , cit., p. 86. Per altre notizie cfr.: P. ZANI, Enciclopedia metodica-ragionata delle belle arti, 28 voll., Parma 1817-24, Parte prima, vol. XIV, p.239; U. THIEME- F. BECKER, Allgemeine Lexicon der bildenden Künstler, Leipzig 1934, vol. XXVI, p. 178; A. M. COMANDUCCI, Dizionario illustrato dei pittori, disegnatori e incisori italiani moderni e contemporanei, Milano IV ed. 1973, vol. IV, p. 2307; Dizionario enciclopedico BOLAFFI dei pittori e degli incisori italiani dall'XI al XX secolo, Milano 1975, vol. VIII, p. 284; E. BÉNÉZIT, Dictionnaire critique et documentaire des peintres, sculpteurs, dessinateurs et graveurs, Paris, Nouvelle édit. 1976, vol. VIII p. 96; L. ADDAZI, Marchigiani illustri, Pietro Palmaroli ... , Maestro restauratore, il Messaggero 23 ottobre 1988, ediz. Marche; F. S. BERGEON, Un restaurateur ... , cit. Secondo Bolaffi, Comanducci e Addazi, Pietro sarebbe nato a Grottammare nel 1778 e morto a Roma a cinquant'anni; Zani da' solo l'anno della morte, 1828; secondo Thieme-Becker e Bénézit sarebbe nato nel 1778 a Roma, dove avrebbe trovato la morte a cinquant'anni; Bergeon (nel contributo pubblicato ad Ottawa nel 1981, unico suo testo diffuso a stampa prima del 1995 a noi noto ed utile per ricostruire, sia pure parzialmente, le date principali della vita di Pietro) non fa cenno della data di nascita, ma gli attribuisce correttamente l'età di sessantuno anni al momento della morte nel 1828: il giorno della nascita (non menzionato) andrebbe quindi posto tra il 1767 e il 1768, dieci anni prima di quello comunemente accettato. Da quanto esposto si evidenzia un divario di date, inspiegabile in assenza di documenti probatori, che ha costituito lo stimolo per iniziare le ricerche condotte dallo scrivente, le quali hanno permesso di accertare qual'è l'esatto giorno natale dell'artista. Molto probabilmente gli autori che hanno indicato il 1778 come anno di nascita sono stati fuorviati dall'età riportata nel certificato di morte di Pietro (50 anni), che erroneamente appare già nello stato delle anime del 1825, mentre negli anni precedenti erano stati indicati esattamente 58, 57, 56 anni, ecc. Nel 1826-1827, invece, quando il pittore lavora a Dresda, viene omessa l'indicazione dell'età. Dopo il completamento delle ricerche da me svolte presso l'ASVR ho inviato una copia del primo articolo pubblicato su Archeopiceno alla studiosa francese, con cui ho scambiato una discreta corrispondenza. Ne è emerso che la Bergeon circa venti anni prima di me aveva condotto analoghe indagini, i cui risultati sono riportati nell'inedita opera sopra citata (Un restaurateur ...) Va rilevato come esista una sorprendente ed inspiegabile comunanza d'interessi, di procedimenti e di risultati raggiunti con quanto è stato successivamente conseguito dallo scrivente, che ha potuto prendere visione delle prime indagini della Bergeon soltanto nell'estate del 1994 quando, dopo uno scambio di lettere in proposito, ella ha segnalato l'esistenza di una copia della sua tesi di dottorato nella biblioteca dell'Accademia di Francia di Villa Medici, disponibile per la sola consultazione. Come ho già avuto modo di fare di persona in occasione di una sua graditissima visita a Roma, esprimo nuovamente a M.me Bergeon i miei più vivi complimenti per l'opera da lei portata a termine ed i più sentiti ringraziamenti per la cortese, generosa disponibilità dimostrata.
(7) - BAV, Archivio Barberini, Computisteria n° 773, p. 59.
(8) - ASVR, Stati delle anime degli anni indicati relativi alle Parrocchie di S. Andrea delle Fratte, S. Nicola in Arcione, SS. Vincenzo ed Anastasio a Trevi. Per la data di morte, v. ASVR, Libro dei morti della Parrocchia dei SS. Vincenzo ed Anastasio a Trevi, anni 1825- 1852. Cfr. U. THIEME-F. BECKER, Allgemeine ..., cit.; p. 178, G. C. SCICOLONE, Pietro Palmaroli ..., cit., p.17.
(9) - F. BOYER, Le Monde des Arts en Italie et la France de la Révolution et de l'Empire. Études et recherches, Torino 1989, pp. 117-118; per L. Ceracchi cfr. A. CAMPITELLI, Il momunento a Jan van der Capellen, in AA. VV., Il giardino del lago di villa Borghese. Sculture romane dal Classico al Neoclassico, Roma 1993, pp. 121-127.
(10) - F. S. BERGEON, Contribution ..., cit., pp. 181-182.
(11) - Cfr. G. RUDLOF-HILLE, Beiträge und Berichte der Staatliche Künstsammlungen Dresden 1972-1975, pp. 37-64.
(12) - W. BUCHANAN, Memoirs of painting with a chronological history of the importation of pictures, by the Great Master into England since the French Revolution, London 1824, voll. 2.
(13) - Cfr. ASR, Camerlengato II, BB. AA., b. 19, f. 742, lett. 33387 del 25 febbraio 1828 e appunto del 3 marzo. La visita di Camuccini del 9 febbraio faceva seguito alle disposizioni impartite perché una commissione, composta dal pittore, da Thorvaldsen e da Arturo Tofanelli, esaminasse un quadro attribuito a Rubens, conservato nello studio Palmaroli. «La gravissima ed improvvisa infermità del Cav.r Palmaroli, che fu da poi seguita dalla Sua morte non fece in quel giorno accessibile il suo studio. Onde fu mia cura recarmici posteriormente, per combinare i giorni e le ore, nelle quali vi fosse persona, che potesse mostrare detto quadro». Non viene citato il nome di chi accolse la commissione nello studio: forse Felice? Tenuto conto che la lettera citata fu scritta il 25 febbraio, a soli tredici giorni dalla morte di Pietro, risulta chiaro che i contatti per effettuare il sopraluogo vennero stabiliti immediatamente dopo l'evento luttuoso. Nello stesso fascicolo è conservata una nota in francese che illustra le peripezie del quadro "Il Salvatore in aspetto di giardiniere appare a Maddalena": all'inizio del secolo, in Parigi, viene messo in vendita da una casa comerciale di Amburgo, per 30.000 franchi, insieme ad un lotto di quadri di altri autori. Trascorsi invano due anni, i quadri invenduti sono trasferiti ad Amburgo e poi a Londra, tranne quello attribuito a Rubens, che suscita l'interesse di un professore incaricato dal re di Prussia di acquistare opere d'arte. Morto il professore, la vendita non ha luogo. Il proprietario del dipinto si trasferisce a Roma, con l'intento di venderlo a prezzo remunerativo, senza riuscirvi. Trovatosi in difficoltà finanziarie, matura la decisione di cederlo a prezzo ridotto al Papa, che incarica Camuccini di valutarlo. Da quanto sopra emerge l'aspetto commerciale che, inevitabilmente, si salda a quello professionale, sia nel caso di Pietro sia di V. Camuccini, Cavaceppi e tanti artisti della Roma papale, come pure di altri luoghi. Il 20 febbraio 1825 Filippo Aurelio Visconti comunica l'esito dell'accertamento: «A comune sentimento è della scuola di Rubens, ma non vi fu alcuno dei Sigg.ri Professori che lo assegnasse a si gran Maestro, ed a comun voto non sembra quadro da potere aver luogo nelle Pontificie raccolte, ove quadri singolari, e di sicuri autori denno soltanto aver luogo. Si può anche prendere in considerazione, che il denaro assegnato agli acquisti di Antichità, e di Arti, il Camerlengato lo impiega in quadri dello Stato, che le circostanze dei possessori pongono in pericolo di alienazione all'Estero, e che non cerca erogarli in favorire le speculazioni dei Negozianti, o degli Esteri (...) Un quadro indubitato di Rubens non restava invenduto per venti anni! nè andava vagando per tanti paesi ove queste opere insigni trovano immediato ricetto. Da tutto ciò risulta, che non posso a comune voto de' Professori, e mio umiliare altro parere, che quello di confermare, che il quadro non può aver luogo nelle Pontificie Raccolte, come non originale di mano di Rubens, ma soltanto della sua scuola (...)» Non vengono chiariti i motivi per i quali il quadro era stato consegnato a Pietro Palmaroli, se per operazioni di restauro, per perizia intesa ad autenticare l'attribuzione o per la vendita.
(14) - ASVR, Parrocchie di S. Andrea delle Fratte, S. Nicola in Arcione, SS. Vincenzo ed Anastasio a Trevi, anni relativi.
(15) - Cfr. G. B. MASCARETTI, Memorie istoriche ... , cit., p. 88; L. ADDAZI, Marchigiani ..., cit. Entrambi modificano il cognome in Pugnatoschi, volgarizzazione adoprata anche da G. G. Belli, in alcuni dei suoi sonetti romaneschi, e dal compilatore di una anonima "Nota delle mancie che si distribuiscono nell'Agosto 1808", conservata all'ASAFR, dos. 14, doc 118 ("principe Pougnatoscki 1 scudo").
(16) - Come vedremo più avanti, il 24 settembre 1827 Pietro avrebbe scritto da Dresda una lettera al pittore Stattler. Se tale data fosse esatta - ma non abbiamo modo di verificarla - potrebbe porre dei problemi di difficile soluzione a proposito del giorno effettivo della partenza del restauratore per rientrare a Roma.
(17) - D. PALMAROLI, Saggio ... , cit., prefazione.
(18) - Cfr. A. BUSIRI VICI, Il ventenne segretario del principe Poniatowski, in L. PALLOTTINI e R. VIGHI, a c. di, G. Gioacchino Belli (1791-1863) Miscellanea per il centenario, Roma 1963, p. 91-96; A. BUSIRI VICI, I Poniatowski e Roma, Firenze 1971; S. REBECCHINI, Giuseppe Gioachino Belli e le sue dimore, Roma II/1987, pp. 48-51 e 130-132. Vedi anche; D. SILVAGNI, La corte e la società Romana nei secoli XVIII e XIX, 3 voll., Firenze 1881, (ma Napoli 1967, ed. anast., v. vol. II, pp. 122 e 194); G. G. BELLI, I sonetti, a c. di G. VIGOLO, 3 voll., Milano VI ed. 1978, v. vol. I, p. XIII; J. B. HARTMANN, Roma neoclassica. Appunti e disappunti. II, L'Urbe n° 1-2 gen. 1984, pp. 28-34. All'ASR, Camerale II Antichità e BB. AA:, b. 6, fasc. 186, è conservata una "Istanza del principe Stanislao Poniatowski di poter liberamente disporre dei suoi capolavori importati dall'estero", risalente al 1802. Sullo stato di fatiscenza di villa Poniatowski, v. note di cronaca in La Repubblica del 21.8.1989, 28.9.1989, 1.12.1989, ecc.; attualmente hanno avuto inizio lavori di restauro dell'edificio, da tempo completati. Ora la villa ospita spesso mostre di vario genere.
(19) - Il re Stanislao Augusto morì esule a Pietroburgo il 12 febbraio 1798, pochi anni dopo aver perso il regno di Polonia.
(20) - C. Vogel von Vogelstein, nato a Wiedenfels il 26.6.1788 e morto a München il 4.3.1868, si dedicò prevalentemente alla pittura di genere storico. Fu più volte a Roma per motivi di studio: dalla primavera del 1813 alla fine di ottobre del 1820, con casa in via Sistina 64; dall'inverno 1842 al 22.6.1846, con casa in piazza Barberini 38; dall'inverno 1855 alla primavera 1856. Tenne rapporti con Tommaso Minardi e l'Accademia di Belle Arti di Perugia. Nel 1844 venne accolto nella Accademia pontificia dei Virtuosi del Pantheon. Suoi ritratti sono conservati in vari musei tedeschi. J. HÜBNER, Catalogue de la Galerie Royale de Dresde, Dresde II/1862, pp. 420; F. S. BERGEON, Contribution ... , cit., p. 1; A. SILVESTRO, Alcuni chiarimenti ..., cit. Il ritratto misura 293 x 227 mm., ha il numero d'inventario C 3281, è classificato tra le opere grafiche, il negativo della fotografia è contraddistinto dal n. 5173. Per alcune notizie su Vogel von Vogelstein cfr.: E. OVIDI, Tommaso Minardi e la sua scuola, Roma 1905; J. B HARTMANN, Via Sistina ultramontana, Strenna dei Romanisti XXIX, Roma 1968, pp. 191-202: «Fu a casa Buti che Eckersberg fece nel 1814 il magistrale ritratto dello scultore, in veste d'accademico di S. Luca; egli posò al tempo stesso per il tedesco Vogel v. Vogelstein, il cui dipinto però non sopporta il confronto con quello dell'allievo del possente David», (p. 198); C. ZAPPIA, La pittura dell'Ottocento in Umbria, in La pittura in Italia. L'Ottocento, a c. di E. CASTELNUOVO, t. I, Milano 1991, pp. 367-384 (stralcio da p. 372): «Con i vari direttori dell'Accademia perugina Overbeck, come del resto molti altri pittori nazareni, mantenne buoni rapporti. Primo fra tutti Tommaso Minardi che fu intimo di Overbeck come di Peter Cornelius. Poco piò tardi, anche il fedele allievo del faentino, Giovanni Sanguinetti, mentre era direttore dell'Accademia tra il 1822 e il '28, ne nominò membri onorari Overbeck (1823), Veit (1825) e Cornelius (1827). Tale tradizione verrà perpetrata (sic) negli anni successivi, basti citare tra gli altri il caso di Vogel von Vogelstein che, nel 1857, in occasione della nomina ad accademico d'onore, donò all'Istituto il proprio autoritratto ancor oggi ivi conservato». L'autoritratto è riprodotto a p. 376, fig. 528.
(21) - ASVR, Stati delle anime, parrocchia dei SS. Vincenzo e Anastasio a Trevi, anni vari.

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