Divagazioni sulla cultura a Grottammare e nel basso Piceno nel primo '800
Giuseppe Neroni Cancelli, Giuseppe Gioacchino Belli, Pietro Palmaroli ed altri
Nel periodo della Restaurazione l'amministrazione pontificia dedica particolari cure alla conservazione ed al restauro del suo immenso patrimonio artistico, ricostituito quasi completamente dopo le tante spoliazioni inflittegli dai francesi.
Compiti importanti vengono affidati ad Antonio Canova, che era stato validissimo protagonista del fortunato recupero dei beni espatriati, ed a Vincenzo Camuccini.
Mentre l'opera svolta dal primo come ispettore delle belle arti a volte non incontra l'approvazione generale, molto più frequenti, diffuse e vivaci sono invece le critiche mosse all'opera del secondo nella sua veste di ispettore alla conservazione delle pubbliche pitture in Roma, carica affidatagli per il decennio dal 1814 al 1824 e confermatagli in seguito per un altro ventennio. (1)
A quell'epoca Roma è ancora uno dei centri più importanti e più vivaci in campo artistico: ospita numerose accademie nazionali ed estere; vi confluiscono da tutto il mondo teorici e critici d'arte, maestri e discepoli; vi s'intrecciano i fili di accordi ed amicizie, di dissidi ed inimicizie che vicendevolmente contrappongono gli esponenti di movimenti culturali in voga ed i rappresentanti accademici, generalmente tradizionalisti e conservatori, con la partecipazione attiva ed interessata di una folla cosmopolita d'intenditori, di mecenati, di mercanti d'arte e di rappresentanti del potere ecclesiastico e politico, romani e stranieri.
La rivoluzione francese e le armate napoleoniche, che pure hanno sconvolto il mondo, non sono ancora riuscite a sovvertire il mondo dell'arte.(2)
In questo ambiente, estremamente difficile da governare, Camuccini esercita a lungo un potere di vaste proporzioni ma contestato. Tra le tante polemiche si ricorda, in particolare quella, tramandataci da varie lettere, che nel 1820 annovera anche Pietro Palmaroli nel gruppo degli oppositori. A nostro parere non va considerata alla stregua di un regolamento di conti tra l'ispettore e il restauratore ribelle. E' piuttosto la presa di posizione, chiara e dura, di chi si sente investito della pesante responsabilità dei restauri dell'enorme patrimonio pittorico dello stato papale nei confronti dei rappresentanti d’alcune istituzioni ecclesiastiche detentrici di capolavori, che pretendono di svolgere un proprio ruolo autonomo e si arrogano il diritto di dar corso a restauri senza sottostare alle prescrizioni dell'ispettore.
Dietro le posizioni sostenute dal Maggiordomo del Camerlengato possiamo intravedere i contorni dello schieramento frondista che nel 1821-25 oppone Tommaso Minardi a Vincenzo e Pietro Camuccini per i restauri del Giudizio Universale.(3)
Questo contrasto, preceduto da conflitti di vario genere, si rinnova ancora nel 1827.
Sempre Minardi, con il pittore Agricola, è all'origine della decisione di abbandonare Roma l'8 settembre 1828, presa da Melchiorre Missirini, uomo di lettere e poligrafo, già segretario di Canova e poi di Thorvaldsen e dello stesso Camuccini.(4)
Ricordiamo brevemente tali vicende per dare un cenno, sia pure sommario e frammentario, del clima intellettuale e culturale che permea l'ambiente artistico capitolino, formato da individui di prevalente estrazione accademica, custodi gelosi e difensori ostinati delle proprie prerogative eppure inconciliabilmente aperti alle innovazioni, cittadini universali e provinciali allo stesso tempo. Ciò che accade a Roma non resta racchiuso tra le mura della capitale ma provoca conseguenze e riflessi, sia pur ritardati ed attutiti, anche nelle località più lontane del dominio temporale.
Proviamo a sfogliare alcuni dei tanti libri di epoca e di genere diversi, che forniscono interessanti notizie su avvenimenti e personaggi dello Stato Pontificio: lo Zibaldone e l’Epistolario di G. G. Belli, in particolare le lettere a Cencia; la Storia del Fermano di Joyce Lussu; il romanzo Come un sogno, di Anton Giulio Barrili. Dalla lettura di questi testi potremmo essere facilmente e fondatamente indotti a ritenere che buona parte della Marca, in particolare il Piceno e di conseguenza Grottammare, fosse un territorio avulso dal contesto del mondo attivo; che la popolazione non avesse altri problemi che quelli del sostentamento immediato; che le comunicazioni con il resto della nazione fossero tanto difficili da rendere quasi impossibili contatti anche a breve distanza; che la cultura fosse non solo desolatamente arretrata, sterile e stagnante ma anche totalmente assente in certi siti; che la restaurazione avesse cancellato del tutto i pochi fermenti vitali suscitati dall'occupazione francese o ad essa preesistenti.
Giudizio che, bene o male, concorda coll'opinione dissacrante di Leopardi.(5)
Proprio la lettura di questi libri, ma non solo di questi in verità, associata però alla conoscenza dei luoghi ed alla considerazione attenta e serena dei problemi, ci porta ad un parziale dissenso ed a conclusioni non così globalmente negative.
Ci si limita, in questa sede, a mettere in luce, a valutare ed a collegare fra loro alcuni fatti ed aspetti che ci permettono di affermare che, in veritè, il conclamato coma culturale non è poi tanto profondo. Almeno per una certa cerchia d'individui e per un certo tipo di cultura, tenuto conto che l'analfabetismo a quei tempi è molto diffuso e che più del 80% della popolazione non è in grado di leggere e scrivere.(6)
Indubbiamente la trattazione completa, documentata ed esauriente dell'argomento richiederebbe molto più spazio e tempo di quelli presentemente a disposizione.
Non si è a conoscenza di opere che trattino specificatamente il tema per il territorio in esame. Ci si avvale perciò di quanto è stato pubblicato su analoghi aspetti nelle province limitrofe in epoche molto vicine a quella di cui ci occupiamo.
Certo la maggioranza dei pareri espressi è severa, negativa, ma non mancano alcune voci favorevoli.
Bo esprime un giudizio poco tenero sulla cultura marchigiana del Risorgimento, con parole che possono essere anche riferite ai decenni immediatamente precedenti: "da un lato troviamo la cultura delle élites, le consuetudini stabilite nel giuoco delle piccole accademie, insomma un modo ben fermo d'interrogare la vita dello spirito, dall'altro, una cultura che vuole essere in rotta col mondo ufficiale ma lo è soltanto nella scelta delle nuove relazioni."(7)
Baldoncini si riferisce al '700 e sostiene che "in un Piceno gravato da un'accidia culturale e in cui ristagna quasi ogni attività di pensiero è dissennato il pretendere una letteratura illuminata, d'avanguardia, di rottura anche se istanze di rinnovamento furono timidamente avanzate (...) ad una indagine superficiale intorno al nostro Settecento il panorama che si delinea risulta caratterizzato da un immobilismo politico culturale, economico che grava pesantemente, in modo particolare, proprio sulla Marca, regione che non può vantare forti tradizioni, orientata e gravitante per secoli verso zone contermini di più illustri precedenti. In tale clima ogni attività culturale e propriamente letteraria sembra relegata nell'ambito delle numerosissime accademie locali, stanche continuatrici d'una tradizione ormai esausta (...) Nella Marca solo Fermo ed Osimo, in qualche misura, portano un contributo pi o meno positivo alla cultura regionale, proponendosi come piccoli centri operanti fors'anche per la loro nobile tradizione scolastica."(8)
W. Angelini, riferendosi al periodo 1800-1840 a Macerata, rileva che "si è fatto strada anche il luogo comune che il Maceratese sia, delle Marche, il territorio umano più impenetrabile, più sordo ai rinnovamenti, quindi più ligio alle strutture legislative del passato." Va invece tenuta in considerazione "la coesistenza in Macerata, in momenti diversi del primo ottocento, di significativi fatti della cultura, esprimenti più larvatamente attitudini e propositi, e gli occhi si appuntano a taluni ambienti cittadini, primo tra gli altri il Casino maceratese di cui una nota più immediatamente appariscente può essere la vita di teatro che vi si svolge anche se con estrema prudenza. E si guardi inoltre il settore dell'editoria locale con le sue pubblicazioni."(9)
L'autore esamina quindi più da vicino l'attività svolta da alcuni gruppi e da alcuni protagonisti della cultura locale in vari campi (teatro, politica, letteratura, ecc.) per concludere che il luogo comune sopra ricordato non va assolutamente preso come verità indubitabile.
Si trae spunto dalle osservazioni di Angelini per ricordare che, già nel '700, vengono costruiti teatri non solo nelle città principali, ma anche in molti centri minori delle Marche, come Grottammare, la cui sala è intitolata all'arancio, l'albero che appare nello stemma comunale.(10)
Vale anche la pena di trascrivere ciò che Giuseppe Neroni Cancelli scrive di Grottammare nel 1825: "quantunque poi gli Abitanti siano intenti all'industria non vengono perciò trascurate le nobili Arti, e le ottime discipline; avendo comodo la gioventù di studiare nel proprio luogo retorica filosofia e Teologia sotto abili Maestri stipendiati dal pubblico; come altresì può ella attendere alla Musica, fiorendovi una numerosa società filarmonica; oltre che avvi eziandio un Teatro, ove si rappresentano Drammi e Comedie in alcuni mesi dell'anno."(11)
Negli ultimi decenni del XVIII secolo anche gli studi archeologici ricevono grande impulso e portano alla luce nuovi reperti che attestano forme di vita ed insediamenti romani e preromani nel Piceno, fino ad allora sconosciuti. Studiosi di chiara fama s'interessano a queste indagini e scoperte. Ricordiamo solo Paciaudi, Guarnacci, Sarti e Abati degli Olivieri. Ad un erudito abate del fermano, Giuseppe Colucci, bisogna riconoscere il merito di aver spinto al massimo il desiderio di illuminare il passato remoto della Marca, pur con i limiti ed i condizionamenti che inficiano la sua opera. Le sue argomentazioni e le sue interpretazioni non sono condivise da tutti e scatenano obiezioni, confutazioni, polemiche. In particolare, la "gloria" da lui conferita a Marano viene accanitamente contestata dal canonico grottese Eugenio Polidori. Comunque non si può negare che il Colucci, improvvisatosi editore ed imprenditore, abbia esteso e divulgato la conoscenza dell'archeologia e della storia del Piceno, agevolato anche dalla collaborazione di G. A. Vogel che, affiancato all'abate nell'opera di raccolta, revisione e pubblicazione delle sterminate Antichità Picene, affina e mette a punto molte investigazioni, delle quali usufruiscono numerosi studiosi contemporanei e successivi, tra i quali il più volte bistrattato Brandimarte. E oggi bisogna dare merito all'editore Maroni di Ripatransone di aver riproposto al pubblico questa disuguale e disomogenea raccolta di testi antichi, editi ed inediti purtroppo senza supporto critico.(12)
In una realtà sociale da secoli incentrata sulla reciproca contrapposizione delle singole comunità in funzione del raggiungimento della supremazia locale e del dominio sul più ampio territorio possibile, le popolazioni dei singoli castelli - la sola Fermo era arrivata a contarne 81 alle sue dipendenze - partecipano naturalmente ad ogni forma di rivendicazione pur di sopravanzare "l'odiato vicino". Ce ne dà conferma Neroni Cancelli nella lettera di Evani Aganippeo, illuminante perché rivela certi aspetti e certi comportamenti delle popolazioni picene in tempi antecedenti a quelli in esame.(13)
Le spinte campanilistiche traggono grande alimento anche dalle scoperte archeologiche e dalle attività connesse alla cultura. Se ci soffermassimo a considerare il comportamento dei cosiddetti operatori culturali d’oggi, vi troveremmo molte analogie: sorprendente ?
Quanto detto finora porta ad un allargamento indiscriminato, orizzontale, dell'ambiente interessato alla vita intellettuale, anche se altri elementi inducono a rivolgere l'attenzione ad una cerchia pi ristretta, più preparata e più qualificata.
L'autorità del prelato, vescovo od arcivescovo che sia, nell'ambiente periferico e provinciale del potere ecclesiale era la massima allora concepibile. La figura del presule funge da catalizzatore per le attività di vario genere svolte dai ceti a suo immediato contatto. Si pensi alle istituzioni didattiche, in particolare all'Università di Fermo, che nel '700 inoltrato annovera tra gl'insegnanti Boscovich; si rileggano le pagine di Catalani sulla chiesa fermana.
Grottammare dipendeva dalla diocesi di Ripatransone, come ancor oggi pur con gl’inevitabili aggiornamenti dovuti al progredire del tempo. Come alcuni dei suoi predecessori, il vescovo Bartolomeo Bacher non gradisce soggiornare in quella città e si trasferisce a Grottammare, dove fa costruire dimore per sé e per la sua famiglia e dove avvia importanti coltivazioni sperimentali, soprattutto di agrumi.
Naturalmente la sua presenza ispira e stimola gl'ingegni del paese. Viene costituita l'Accademia dei Risvegliati del Tesino, il cui segretario è un poeta del posto, Carlo
Travaglini, e l'animatore un sacerdote dall'animo avventuroso, Carlo Raimondo Marchetti.(14) Tra gli aderenti ricordiamo solo il canonico Filippo Palmaroli e, per maggiori notizie, rimandiamo il lettore al saggio di Anselmi dedicato al vescovo agronomo.(15)
Inoltre, negli scorci del'700-inizi dell'800, il tramano Vincenzo Comi costruisce una fabbrica di cremore di tartaro e di altri prodotti chimici a Grottammare, cui presiede il figlio Raffaele che, sposatosi con una nobile grottese, si stabilisce definitivamente nel paese piceno.(16) Il suo esempio viene seguito da altri imprenditori, tra i quali Francesco Paccaroni, Nicola Fenili e Nicola Pio Mascioli.
Vincenzo Comi si era dedicato a studi di medicina e di chimica; aveva conosciuto Lazzaro Spallanzani, con il quale aveva effettuato delle escursioni scientifiche al Vesuvio; aveva fondato, curato personalmente e pubblicato per circa un anno il Monitore scientifico, una rivista specializzata di indubbia modernità per l'epoca. Le sue fabbriche, come più tardi la raffineria di zucchero, danno incremento alle attività economiche e commerciali del paese e, soprattutto, del suo porto.(17)
Spostiamoci ora di pochi chilometri a sud, per incontrare un personaggio che merita un'ampia citazione: Giuseppe Neroni Cancelli. Patrizio ripano, sposato con una Cancelli di Acquaviva della quale perpetua il cognome e stabilitosi a San Benedetto, è un progressista moderato, dotato di vasta cultura, scrittore di saggi storici e di varia umanità.
Amico di Giuseppe Gioacchino Belli, nel 1820 e nel 1821 lo ospita per lunghi periodi a Ripatransone e sulla riviera. E' anche intimo amico del conte Pichi di Macerata, primo marito di Maria Conti che, rimasta vedova, nel 1816 sposa il poeta romano.(18)
Filippo Bruti Liberati ci fa sapere che Neroni possiede una "ziosa raccolta di quadri di valenti pittori Italiani ed Esteri, specialmente Fiamminghi, collocati in due camere del suo Palazzohe il cavaliere, uomo "somma gentilezza, rende visibile ai colti forestieri. raccolta, iniziata dal nonno Carlo Simone, alla morte del padre viene divisa tra i fratelli Giuseppe e Filippo, la sorella Teresa e la madre. Sulla divisione di questo patrimonio è apparso recentemente un contributo di Gabriele Cavezzi, cheelenca l'inventario dei quadri assegnati a Giuseppe e riferisce il disappunto provato dal patrizio perché, nella spartizione, agli altri familiari toccano in sorte i pezzi più pregiati, tra cui opere di Rubens, Spagnoletto, Carracci, Vasari, Veronese e Albani.(19)
Ciò nonostante, secondo Bruti Liberati, "S. Benedetto (...) non vi sono pitture di pregio, se non che presso il mio concittadino cav. Giuseppe Neronia lo stesso marchese ricorda che molte altre se ne trovano in Ripatransone presso Filippo Neroni e le nobili famiglie Boccabianca e Travaglini.(20)
Orioli dedica un intero capitolo del suo libro a Neroni.(21)
Della personalità e delle amicizie di questo personaggio c'interessa soprattutto ciò che può essere messo in relazione diretta con Belli ed indiretta con Pietro Palmaroli.
Il primo ha molti rapporti con notabili marchigiani: a Morrovalle abita Cencia, la marchesina Vincenza Roberta Perozzi, di cui il poeta si è fortemente invaghito; ad Ancona, Macerata, Pesaro e altrove risiedono famiglie di ceto elevato, alle quali Maria Conti Pichi, accolta nella nobiltà anconetana, era stata legata all'epoca del primo matrimonio.(22)
Il secondo, originario di Grottammare ma nato e formatosi a Roma, è uno dei più grandi restauratori europei dell'800 e ha conservato rapporti con i parenti marchigiani.(23)
Esistono molti documenti da cui risulta che Belli, prima di perdere la moglie benestante, dedicava diversi mesi dell'anno all'effettuazione di viaggi, grazie alle rendite di Mariuccia che gli consentivano di condurre una vita agiata senza preoccupazioni di carattere economico. Di essi ci ha lasciato ampia testimonianza, in particolare nel Journal de Voyage compilato nell'occasione. Ci soffermeremo sui giornali degli anni 1827-28-29.
Nel 1827 il poeta parte il 27 luglio, sosta brevemente a Tolentino, Macerata e Loreto il 31 luglio, il 1 agosto transita da Ancona e sosta a Senigallia fino al 3, per poi proseguire verso Rimini, Parma, Milano, ecc. Il 29 ottobre è di ritorno a Terni, dopo brevi soste ad Ancona il 14, a Loreto e Macerata, da dove riparte il 15 e, superata "l'orrida Recanati", arriva al casino Solari dove si trattiene fino al 26 ottobre.
Nel 1828 parte il 9 settembre. Segue l'abituale itinerario per Civitacastellana, Spoleto, Foligno, Fossombrone, Fano, Rimini, Cesena fino a Milano, dove giunge il 20 ottobre per ripartirne il 1 novembre. Al ritorno sosta a Pesaro, Fano e Fossombrone. Il 25 novembre rientra a Roma.
Nel 1829 all'andata invece segue la direttrice della via Cassia. Parte l'11 agosto per Firenze, Pisa, Sarzana, Genova, Voghera, Pavia e Milano, dove si trattiene 40 giorni. Ne riparte il 14 ottobre e segue le direttrici delle vie Emilia e Flaminia, con brevi soste a Pesaro, Fano e Cagli. Il 2 novembre arriva a Terni.
Ci si consenta una breve digressione sulle strade pontificie. Oggi siamo abituati a considerare naturale seguire il tracciato più breve, quello della Salaria, o il più veloce, quello delle autostrade abruzzesi, per arrivare ad Ascoli Piceno ed al mare Adriatico da Roma, e viceversa.
Nello stato ecclesiastico, invece, tutto è diverso: poco dopo Rieti, nei pressi di Cittaducale il Regno di Napoli si protende oltre la linea della Salaria e vi si mantiene all'incirca fino all'altezza d’Accumoli.(24) Pertanto, volendo andare da Grottammare a Roma senza varcare i confini nazionali, si deve passare per Fermo, poi si sfiora Macerata, si scavalcano gli Appennini a Colfiorito e, dopo aver attraversato Foligno e Spoleto, si segue la Flaminia fino a Roma.
Le poche lettere di Belli a Neroni, pubblicate da Orioli, coprono un periodo di oltre 20 anni e costituiscono sicura testimonianza di un'amicizia sincera e duratura, che trova espressione anche in poesia con versi decisamente brutti: "Nel gran viaggio mio per lo Piceno io mi son fatto, Spada, uno amicone, per cui mi sento sviscerato il seno."(25)
Di una prima, in data 2 settembre 1820 da Cupramontana e scritta in latino, Orioli ci dà solo un estratto, Mazzocchi Alemanni il testo completo. Integrali sono le altre: del 31 gennaio 1824 da Roma; del 31 luglio 1831 da Morrovalle, paese nel quale scrive buona parte dei primi sonetti romaneschi; del 2 novembre 1837 da Roma, con cui annuncia la morte della sua "buona Mariuccia", che segna profondamente la sua vita residua; del 14 novembre 1837 da Roma; del 14 giugno 1838 da Roma; del 14 marzo 1839 da Roma; dell'11 gennaio 1840 da Roma; del 27 maggio 1840 da Roma; del 20 giugno 1840 da Roma.
Oltre alle confidenze ed alle notizie di vario genere scambiate con l'amico, troviamo traccia della richiesta di un intervento in suo favore per la riscossione periodica di somme di denaro a Fermo, dopo la morte della moglie; di scambi d'informazioni su problemi e avvenimenti culturali: la pubblicazione sul Giornale Arcadico del commento al Cenno sull'origine di Ripatransone di Neroni ad opera del cav. Fabi-Montani;(26) la stampa di alcuni versi di Belli sull'Album Romano, il rammarico del poeta nel rendersi conto d'incontrare difficoltà nel verseggiare, la comunicazione della ripresa delle sua attività all'Accademia Tiberina, da lui fondata e da cui si era staccato nel 1828 per rientrarvi 10 anni dopo e la pubblicazione nel 1839 del volume "Versi inediti di GGB Romano", di cui invia un esemplare a Neroni.
Abbiamo anche delle lettere di Belli scritte da paesi della Marche a suoi corrispondenti:
- a Francesco Spada: una del 25 maggio 1828, scritta "Da Macerata per Ripatransone"; una del 24 agosto 1820 da Ripatransone; un'altra da Ripatransone del 7 settembre 1820;(27)
- alla marchesa Roberti: un brano di una lettera da Pesaro dall'8 giugno 1837.(28)
V'è inoltre una lettera del 3 ottobre 1816 al sig. Gaetano Bernetti, con la quale il poeta cerca di chiarire un'imbarazzante situazione creatasi tra lui, il figlio di Bernetti ed alcuni amici per questioni di piccole somme di denaro date in prestito e non restituite.(29)
Di fronte a questa massa di scritti (e chissà quanti altri ci sono sfuggiti o non sono stati ancora pubblicati!) non possiamo rassegnarci a pensare che Belli, sempre al centro dell'attenzione nei salotti per la vivacità e l'arguzia della sua conversazione ed il successo che riscuotono i suoi versi "clandestini", amico di Giordani, Hayez, Thorvaldsen, ammiratore di Manzoni, Grossi, Porta e di tanti altri letterati ed artisti suoi contemporanei, nelle Marche sia rimasto turista passivo, dedito solo a passeggiate, scorpacciate e chiacchierate amichevoli.(30)
Perché non avrebbe dovuto svolgere il suo ruolo di stimolatore intellettuale e culturale anche a Morrovalle, San Benedetto e Ripatransone? Non siamo in grado per il momento di misurare esattamente con documenti l'estensione del sodalizio piceno che lo circonda. Nelle lettere troviamo citati, oltre a Giuseppe Neroni ed alla moglie, la sorella Teresa e il fratello Filippo; Chiara, figlia di Giuseppe Neroni e poi moglie di Secondo Moretti, imparentato coi Palmaroli; Francesco e Giuseppe Voltattorni; Luigi Vitali Cantalamessa; Gabriello Santofasone, ecc.(31) Va anche tenuto presente che Neroni, grazie alle cariche pubbliche ricoperte ed all'elevato ceto cui appartiene, è in rapporti di amicizia e di affari con autorità ed esponenti della casta privilegiata di Ascoli, Fermo, Macerata e di altri luoghi.
A completamento del quadro dei rapporti di Belli con le Marche e i marchigiani, tra le tante lettere ricordiamo anche quelle scritte da località della regione e riprodotte da Mazzocchi Alemanni:(32)
- da Pesaro l'8 e il 19 giugno a Cencia e il 29 giugno a Silvia Cerroti Conti;
- da Fermo alla stessa Conti, nel 1821.
Negli Studi Bellini troviamo invece lettere da varie località ed a vari corrispondenti:(33)
- da Terni il 6 novembre 1820 a Giuseppe Neroni Cancelli;
- da località non indicata, il 13 gennaio 1821 a Teresa Neroni;
- da Roma nel novembre 1822 ed il 16 luglio 1835 all'amico Neroni;
- da Ripatransone nel settembre 1821 allo stesso;
- sempre allo stesso, da località sconosciuta, il 2 novembre 1837, il 10 dicembre 1841 ed in data non precisata.
Antonello Trombadori ha curato la riproduzione e le didascalie d’alcune illustrazioni poste a corredo delle lettere di Belli a Cencia. Tra le località marchigiane compaiono Fermo, Ripatransone, Ancona, Macerata, il Furlo, Pesaro, Fossombrone e Loreto. Dai suoi testi stralciamo il seguente passo: "a parte il famoso viaggio a Milano (...) il raggio dei più frequenti spostamenti del Nostro fu limitato all'Umbria ed alle Marche. In Umbria le mete fisse e obbligate erano Perugia (dove Ciro studiava presso il Collegio Pio) e Terni (dove si trovavano i beni di Mariuccia e quindi di Ciro). Ma anche Spoleto era ben nota al Belli. Nelle Marche, oltre naturalmente Morrovalle (dove Belli si trattenne ripetutamente e per lunghi periodi), Macerata, Ancona, Ripatransone, S. Benedetto del Tronto, Fermo, Fossombrone, Pesaro, Loreto."(34)
Finora abbiamo ricordato associazioni e personaggi legati a settori dove non sono mancate innovazioni quali l'agronomia, la letteratura, la storia, l'archeologia e la conservazione e il restauro dei beni culturali. Torniamo al campo più confacente al nostro tema, la pittura, e soffermiamoci su tre soli artisti: Vincenzo Camuccini, Tommaso Minardi e Fortunato Duranti.(35)
Vincenzo Camuccini, pittore, restauratore ed anche teorico dell'arte, per circa un trentennio è preposto agli interventi di recupero e di restauro delle pitture in Roma e nello stato romano.
Pietro Palmaroli, che come è ben noto è stato uno dei più famosi restauratori europei dell'epoca, lavora a lungo sotto la sua direzione e, dobbiamo ritenere, con reciproca soddisfazione. Tranne che in una circostanza, come risulta da alcune lettere conservate nell'Archivio storico dell'Accademia di San Luca, riprodotte parzialmente in figg. 1, 2, 3 e 4.
Ne è stato già fatto cenno e vi si torna sopra per far presente che, nel 1825, Vincenzo Camuccini molto probabilmente si reca a Grottammare, come risulta dalla scritta apposta sul retro di un ritratto del conte Ambrogio Aloysi, a lui attribuito. Potremmo supporre che, in quell'occasione, sia stato ospite dei Palmaroli, ma non possiamo provarlo.(36)
Sarebbe interessante accertare anche se, a questa visita di Camuccini, possa essere attribuita una qualche decisione sul trasferimento a Roma del polittico di Vittore Crivelli, già conservato nella chiesa di S. Agostino. Il trasferimento avviene più tardi, nel 1844, sotto il pontificato di Gregorio XVI (1832-46), ma lascia alcuni punti ancora oscuri.
Infatti, secondo Zampetti ed altri autori, il polittico in questione è quello in 5 pannelli, esposto nella Pinacoteca Vaticana, con l'attribuzione a Vittore Crivelli ed il titolo "Madonna e Santi".(37) Secondo di Provvido, invece, il polittico originariamente composto di 16 pannelli, non è quello indicato da Zampetti, ma un altro di cui sopravvivono ancora soltanto due tavole, fortunosamente recuperate nel campanile della chiesa di S. Giovanni Battista, sempre a Grottammare, restaurate ed ora conservate ad Urbino.(38)
Comunque stiano le cose, a prescindere da motivi strettamente legati alla sua carica, si ritiene che la visita di Camuccini a Grottammare possa essere interpretata come segno che nei rapporti tra l'ispettore ed il restauratore ci sia stato posto per la cordialità e forse per l'amicizia, altrimenti essa non sarebbe del tutto spiegabile. La sua presenza a Grottammare, nondimeno, contribuisce a mettere in luce gl'interessi culturali di alcuni abitanti del paese, forse non confinati alla sola ritrattistica, a giudicare dall'esistenza in quella collezione di alcuni disegni dello stesso autore, qui riprodotti.
Tommaso Minardi è un altro dei protagonisti della vita artistica romana. Insegnante ed accademico di S. Luca, direttore dell'Accademia di Perugia dal 1819 al 1821, ma con tendenza a superare le forme classicheggianti per avvicinarsi alla maniera dei Nazareni, nel 1825 avanza una proposta di riforma dei metodi d'insegnamento. Viene poi incaricato di acquistare opere d'arte antica per conto del Papa e diventa promotore e patrocinatore di restauri di opere facenti parte dell'inalienabile patrimonio artistico pubblico.(39)
Mantiene relazioni con diverse personalità di origine marchigiana, tra le quali il conte Luigi Bernetti di Fermo ed il pittore e mercante d'arte Fortunato Duranti di Montefortino.
Dal catalogo dei suoi disegni stralciamo alcuni titoli di opere collegabili alle Marche:(40)
- l'ostracismo di Aristide, conservato tra i disegni del fondo Duranti nella Biblioteca comunale di Fermo;
- il ritratto del fermano conte Luigi Bernetti;
- il ritratto di Fortunato Duranti;
- lo studio di Fortunato Duranti;
- il transito di S. Gaetano, dipinto per il conte Brancadoro di Fermo, zio del Bernetti;
- un disegno del duomo di Fermo.
Lo stesso catalogo fa anche cenno di Pietro Palmaroli, considerato uno dei protagonisti delle rinate fortune dell'affresco: "Gioverà tuttavia ricordare i due momenti che, nell'arco del primo sessantennio dell'800, portarono alla ribalta l'affresco: il restauro eseguito fra il 1815-1817 dal Palmaroli e l'intervento di Pietro Gagliardi in S. Agostino (...) fra il 1855-60."(41)
Ricordiamo infine Fortunato Duranti, artista, collezionista e mercante d'arte, un curioso personaggio che in questi ultimi anni è stato oggetto di svariate ricerche.(41) Si stacca presto dalla natia Montefortino e gira in lungo e in largo per l'Italia e l'Europa, traendone molte soddisfazioni e cospicui guadagni per un buon numero di anni. La sua attività lo conduce però ad una tragica conclusione: infatti nel 1815 viene fermato da soldati austriaci, che gli sottraggono un ingente quantitativo di opere e lo incarcerano a Vienna. E' poi rilasciato, ma la scossa subita gli compromette gravemente la salute e le facoltà mentali.
Riteniamo che questi pochi, succinti ed affrettati cenni possano costituire una base per svolgere ricerche più approfondite, atte a confermare il nostro giudizio non del tutto pessimistico sulla vivacità della cultura picena agli albori dell'800.
Prima di chiudere, vogliamo ricordare anche due personaggi che, di lì a pochi anni, attesteranno la continuità della presenza di acculturati a Grottammare: il canonico Gian Bernardino Mascaretti, autore di diverse opere di carattere storico(43), e Gian Francesco Salvadori, giornalista e politico, fondatore e compilatore del "Frate Crispino", giornale apparso a Grottammare nel 1848.(44)
A questi seguiranno Giuseppe Speranza ed il figlio Alceo, Pio Salvi, Lino Citeroni, Tito Vespasiani e poi Pericle Fazzini, Anton Maria Aloysi, i tanti pittori che hanno operato a Grottammare dal XIX secolo ad oggi, ecc.
NOTE
(1) G. PIANTONI DE ANGELIS, Vincenzo Camuccini 1771-1844, Roma 1978, p. 105. - D. SILVAGNI, La corte e la società Romana nei secoli XVIII e XIX, 3 voll., ed. anast. Napoli 1967, cfr. vol. II p. 106, afferma che Camuccini fu il Canova della pittura. - C. FALCONIERI, Vita di Vincenzo Camuccini, Roma 1875, pp. 44-45, fa cenno di manifestazioni di stima di Canova nei riguardi di Camuccini. Nel 1801, quindi molti anni prima di assumere la carica d'ispettore delle pitture, il pittore fu severamente criticato per una vendita di quadri in Inghilterra, cfr. ASR, Camerale II, Antichità e BB. AA., b. 6, fasc. 179.
(2) Per una panoramica su questo ambiente, vedansi tra l'altro: E. OVIDI, T. Minardi e la sua scuola, Roma 1902; M. PALLOTTINO, Belli e l'archeologia, in L. PALLOTTINO e R. VIGHI a c. di, (1791-1863) Miscellanea per il Centenario, Roma 1963, pp. 8-12; K. ANDREWS, I Nazareni, Milano 1967; A. OTTINO DELLA CHIESA, Il neoclassicismo nella pittura italiana, Milano 1967; C. CESCHI, Teoria e storia del restauro, Roma 1970, pp. 38 e ss.; S. BERGEON, Contribution à l'histoire de la restauration des peintures en Italie au XVIIIème siècle et au début du XIXème siècle (fresques et peintures de chevalet), Paris 1975; ACADEMIE DE FRANCE A ROME, Piranèse et les Français, 1740-1790, Roma 1976; R. GRANDI-C. MORIGI GOVI, Pelagio Palagi, artista e collezionista, Bologna 1976; G. PIANTONI DE ANGELIS, cit., 1978; A. OTTANI CAVINA et al., L'età neoclassica a Faenza, Bologna 1979; G. PIANTONI-S. SUSINNO, I Nazareni a Roma, Roma 1981, A. SEROLLAZ et al., David e Roma, Roma 1981; F. ZERI, a c. di, Storia dell'arte italiana, Torino 1982, vol. VI, t. II; S. SUSINNO et al., I disegni di Tommaso Minardi, voll. 2, Roma 1982; G. C. SCICOLONE, Pietro Palmaroli, restauratore a Roma negli anni della Restaurazione, tesi di laurea anno accademico 1981-82, Università degli Studi di Bologna; A. SILVESTRO, Alcuni chiarimenti biografici a proposito di Pietro Palmaroli, Archeopiceno a. I, n° 1, gen.-mar. 1993; A. SILVESTRO, Conclusione di una ricerca. Dove e quando è nato Pietro Palmaroli, Archeopiceno a. I, n° 3, lug.-set. 1993, pp. 17-18; M. G. BARBERINI - C. GASPARRI, a c. di, Bartolomeo Cavaceppi, scultore romano (1717-1799), Catalogo della mostra al Museo del Palazzo di Venezia 25 gennaio - 15 marzo 1994, Roma 1994. Inoltre, per l'ambiente romano dell'epoca, si consulti il già citato testo di Silvagni, in particolare il vol. II pp. 282-284. Non vanno dimenticati i Ricordi di M. D'AZEGLIO, Milano 1966. L'autore, nobile piemontese, trascorse parecchi anni a Roma, vi passò il suo apprendistato artistico e ne ripartì democratico ed italiano. Nel testo citato ricorda che "nelle arti e nelle lettere erano allora a Roma alti e belli ingegni: conobbi Canova, Thorwaldsen (...) Camuccini (...) il poeta Ferretti, autore di molti libretti di Rossini" (p. 175). Ferretti era uno dei più grandi amici di Belli. Più avanti ricorda un suo amico pittore, il marchese Lodovico Venuti, allievo di Tommaso Minardi. In un lavoro di M. VITTORINI, Le "Antichità e Belle Arti" e la loro tutela nel Maceratese dopo la Restaurazione, Studi Maceratesi 13, Macerata 1979, pp. 59-67, si danno notizie sulla struttura che faceva capo al cardinal Camerlengo, giusta le disposizioni impartite con l'Editto del Card. Pacca il 7 aprile 1820, assistito da un Consiglio Permanente e da una Commissione Consultiva Centrale, di cui faceva parte l'ispettore delle pitture pubbliche in Roma, cioè V. Camuccini. Al di là della preminenza più o meno rilevante della carica occupata, riteniamo che si debbano considerare soprattutto la personalità e l'autorità dei vari componenti della Commissione per valutare le prese di posizione e l'operato del consesso.
Per il recupero delle opere d'arte trafugate dai francesi v. tra l'altro, I. BIGNARDI, Ladro di quadri, ladro di cuori, La Repubblica, ed. di Roma, 1989. Nel viavai continuo di artisti e letterati da/verso Roma, incontriamo nomi illustri e non, che stabiliscono relazioni tra di loro: Giordani, Perticari, Leopardi, Missirini, Camuccini, Landi, Falconieri, ecc. Chiunque arrivasse ad occupare una posizione preminente nel genere da lui trattato, non poteva rimanere ignoto al mondo artistico, pur senza giungere ad una conoscenza diretta tra le parti. Per la vita culturale e politica dello Stato Pontificio, in G. G. BELLI, I sonetti, voll. 4, a c. di M. T. LANZA, Milano 1965, v. l'introduzione di C. MUSCETTA e la nota 1 a p. LXXVIII, che fornisce una bibliografia essenziale.
(3) S. SUSINNO et al., cit., vol. I, pp. 10, 79 e ss.
(4) In proposito cfr. G. G. BELLI, I sonetti, a c. di G. VIGOLO, vol. I, p. 6. Per un giudizio su Minardi cfr. S. SUSINNO, cit., vol. I, pp. 178-179) che cita un passo dove Stendhal così descrive il pittore faentino: "Bon dessinateur, jésuite, espion (...) Il s'introduit dans les maisons comme maître de dessin: un de plus grands affidés du C(ardina)l Bernetti et du gouv(erneu)r. Il rend bien de services à ces messieurs: c'est un des principaux employés de la haute police du pays: alta polizia, coquin complet."
(5) "La Marca è la più ignorante ed incolta provincia dell'Italia. Ora per confessione anche di tutti i Recanatesi, la mia città è la più incolta e morta di tutta la Marca; e fuori di qua non s'ha idea della vita che vi si mena" (G. LEOPARDI, A Pietro Brighenti di Bologna, da Recanati il 28 aprile 1820, in Lettere, a c. di F. FLORA, Milano 4^ ed. 1965, p. 262). Sulle condizioni delle Marche in genere v. tra l'altro S. ANSELMI, Le Marche tra sette e ottocento, in Atti e Memorie, DSPM, serie VIII vol. VII, Ancona 1974, pp. 221-248.
(6) J. LUSSU, Storia del Fermano, op. cit., vol. II, p. 211; A. ASOR ROSA, L'analfabeta ci manda a dire ..., La Repubblica, 17 giugno 1989. Per il livello dell'istruzione nello Stato Romano, ed in particolare nel Piceno, cfr. V. CURI, Notizie storiche dell'Università degli Studi di Fermo, Fermo 1880; G. CASTELLI, a c. di, L'istruzione nella provincia di Ascoli Piceno dai tempi più antichi ai nostri giorni, Ascoli Piceno 1899; E. FORMIGGINI SANTAMARIA, L'istruzione popolare nello Stato Pontificio (1824-1870), Bologna-Modena 1909; R. MARIANI, Fatti e figure nella storia dell'istruzione elementare nella provincia di Ascoli Piceno, Ascoli Piceno 1926(?); A. GEMELLI-S. VISMARA, La riforma degli studi universitari negli Stati pontifici, Milano 1933; CONSORZIO PROVINCIALE PER L'ISTRUZIONE TECNICA DI ASCOLI, L'istruzione tecnica nella provincia di Ascoli Piceno, Ascoli Piceno 1950. Dal testo della Formiggini, pervaso da forte spirito anticlericale in chiave risorgimentale, stralciamo alcuni passi significativi: "Si poteva già a priori concepire quanto tristi dovevano essere le condizioni delle Scuole elementari nello Stato della Chiesa durante il tempo che da questa monografia viene illustrato."(p. 14); "Non è di secondaria importanza conoscere le condizioni scolastiche dello Stato Pontificio e sapere se noncuranza o impossibilità, o criteri fondamentali errati, o interessi politici, siano stati causa dell'ignoranza delle classi meno abbienti romane, anche perché ciò può gettar luce su uno dei mezzi con cui i papi conservarono il potere temporale e mostrare quale sia stato il loro concetto educativo." (p. 2); "Staffile e altri castighi corporali erano (...) i mezzi educativi prescelti (...) i maestri si sbizzarrivano davvero nel creare nuovi mezzi di castigo, uno meno educativo dell'altro." (p. 144); "sappiamo che il maestro nello Stato Pontificio non era circondato nè di considerazione nè di Rispetto (...) spogliato il loro ufficio di quanto vi ha di più nobile, del fine cioè di dirigere i fanciulli alla vita sociale, elevandone (…) l'animo, ampliando l'orizzonte intellettuale e morale, resta solo il poco simpatico incarico di tenere a bada per più ore i ragazzi che i genitori vogliono allontanare da casa per non essere infastiditi, e di ripetere fino alla noia alcune definizioni inutili."
(7) C. BO, La cultura marchigiana nel periodo risorgimentale, in CMCCUI, L'apporto delle Marche al Risorgimento Nazionale, Ancona 1961, pp. 257-270, cfr. pp. 251-258.
(8) S. BALDONCINI, Cultura e letteratura del Settecento nella Marca, Studi Maceratesi 12, Macerata 1978, pp. 15-32, v. pp 17, 19 e 20.
(9) W. ANGELINI, Lineamenti di vita culturale e socioeconomica in Macerata nel primo quarantennio dell'800, Studi Maceratesi 14, Macerata 1980, pp. 33-54, v. pp. 33 e 36.
(10) Sui teatri delle Marche, che tra il 1865 e il 1868 erano ben 113, v. F. BATTISTELLI, Dal Torelli al Poletti. Uomini e vicende dell'architettura teatrale nelle Marche, DSPM, s. VIII, v. II, Ancona 1961, pp. 37-55; A. MORDENTI, I teatri delle Marche: storie e politiche dello spettacolo, Ancona 1989. Sarebbe interessante conoscere quali siano state le manifestazioni tenute nel teatro dell'Arancio ed accertare se vi abbia tenuto concerti il marchese Pietro Laureati, avviato dal padre Gioacchino allo studio della musica fin da tenera età presso insegnanti di Grottammare, Sant'Elpidio, Ripatransone, Ascoli, ecc. L'artista fu anche luogotenente di porto del suo paese e, lasciata la Marina, conseguì successi in tutta Europa e godette buona fama come solista e concertista di violoncello. In proposito cfr. E. MONTAZIO, Sulle peregrinazioni artistiche del Marchese Pietro Laureati. Giudizi e ricordi, Roma 1869; A. SILVESTRO, Una atipica figura di Luogotenente di porto. Pietro Laureati, ufficiale e artista, Rivista Marittima, ott. 1992, pp. 112-123. Il nominativo di un altro strumentista di Grottammare appare in un recentissimo lavoro di G. CROCETTI, Santa Vittoria in Matenano in alcune cronache al tempo dell'occupazione francese (1798-99), sta in QASAF n° 11, pp. 45-66: "il cittadino Allevi di Monte Giorgio si distinse al primo oboe, facendogli da secondo il cittadino Ravenna di Grotte a Mare" (ib. p. 62). Cfr. anche G. C. FALCONI ERIONI, Curiosando in un archivio di famiglia, vol. I, Fermo 1991, pp. 225 e ss.; U. GIRONACCI - M. SALVARANI, Guida al dizionario dei musicisti marchigiani di Giuseppe Radiciotti e Giovanni Spadoni, Urbino 1993.
(11) G. NERONI CANCELLI, Lettera di Eveni Aganippeo ad un suo amico, Ripatransone 1835, p. 6.
(12) V. tra l'altro, F. BRUTI LIBERATI, XIV lettera su Montesanto, Ripatransone 1858; G. BEZZI, Una lettera inedita di Giuseppe Colucci, Picenum, 1921, pp. 188-190; G. SPADONI, Relazione su l'archivio Colucci e provvedimenti per impedirne la dispersione, in Atti e Memorie della RDSPM, serie IV vol. X, Ancona 1935, pp. 133-140; R. GARBUGLIA, L'epistolario di J. A. Vogel, Studi Maceratesi 13, Macerata 1979, pp. 400-408.
(13) G. NERONI CANCELLI, Lettera ... , cit.
(14) G. SPERANZA, Guida di Grottammare, Ripatransone 1889, p. 70; CURIA ARCIVESCOVILE DI ANCONA, Atti della conversione e morte del D. L. R. Marchetti, Fermo 1799. L'accademia grottese non è citata in G. M. MAYLENDER, Storia delle Accademie in Italia, voll. 5, Bologna 1926-30, che tuttavia ricorda istituti di Acquaviva, Montalto Marche, Ripatransone, Fermo, ecc, di cui è noto solamente il nome. Cfr. anche V. LAUDADIO, Le Accademie a Fermo nel '700: un'ipotesi di ricerca, QASAF n° 11, pp. 35-44.
(15) S. ANSELMI, Un vescovo agronomo: Bartolomeo Bacher, Quaderni Storici delle Marche n° 5, Maggio-Agosto 1967, pp. 238-287; L. CERASI MANDRELLI, Intellettuali innovatori ed agricoltura nelle Marche nella seconda metà del Settecento, La Riviera delle palme, a. VII, n. 3/4, mag.-giu. 1992, pp. IV-V; L. ROSSI, Il difficile mestiere di Vescovo: la "Storia dei Vescovi di Ripatransone" di Mons. Bacher, QASAF n. 14, 1992, pp. 40-52.
(16) V. COMI, Opere complete, a c. di G. PANNELLA, Napoli 1908; G. PANNELLA, Vincenzo Comi e le sue opere, Napoli 1886.
(17) G. MORONI, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica ... , vol. LX pp. 83-84; vol. LXVII s. v. Sisto V; G. SPERANZA, cit., p. 54. Per gli altri imprenditori citati cfr. A. SILVESTRO, Lo zuccherificio di Grottammare (in corso di stampa); A. SILVESTRO, La fabbrica del succo di liquerizia a Grottammare (inedito). Sull'importanza del porto di Grottammare nel contesto del I Circondario dell'Adriatico v. A. SILVESTRO - S. SILVESTRO, Da Ancona a Napoli, via Grottammare, con Raffaele Pontremoli pittore di battaglie. E qualcos'altro ancora, Grottammare 1991, pp. 131-141; A. SILVESTRO, Cartografia ed iconografia di Grottammare, 1780-1830, in V. RIVOSECCHI, a c. di, Grottammare. Percorsi della memoria, Grottammare 1994, pp. 199-202.
(18) G. di GIACOMO, Recensioni: Giuseppe Gioacchino Belli e le Marche, Picenum, 1919, pp. 22-23; E. LIBURDI, Il Belli e le Marche. L'infelice matrimonio dell'anconitano conte Giulio Cesare Pichi, DSPM, Atti e Memorie, serie VIII, v. II, Ancona 1961, pp. 81-96; A. ROSSI, A due secoli dalla nascita di G. G. Belli (1791-1863). Il poeta romanesco e Giuseppe Neroni Cancelli, ripano (1784-1853), La Riviera delle palme, a. VII, n. 10-11-12, ott.-nov. 1991, p. 6.
(19) F. BRUTI LIBERATI, I^ lettera sopra il castello di S. Benedetto, Ripatransone 1845, pp. 4-5; G. CAVEZZI, Appunti per una storia dell'arte dispersa, La Riviera delle palme, n. 7/8, nov.-dic. 1989, p. III.
(20) F. BRUTI LIBERATI, III memoria sulla città di Macerata, Ripatransone 1849, pp. 3-4.
(21) G. ORIOLI, G. G. Belli, lettere, giornali, zibaldone, Torino 1962, pp. 120-137.
(22) F. NOBILI BENEDETTI, Studio araldico-genealogico su alcune famiglie dell'antico Stato Pontificio, La Rivista Araldica, nn. 837-838 pp. 24-31, 839 pp. 169-177, e s., Roma 1988-89.
(23) Per Pietro Palmaroli cfr. G. C. SCICOLONE, Pietro Palmaroli ... cit.; A. SILVESTRO, Alcuni chiarimenti..., cit.; S. SILVESTRO - A. SILVESTRO, Conclusione ..., cit.
(24) La toponomastica conserva ancora tracce di questa dominazione. Ricordiamo i nomi di alcuni paesi a cavallo della Salaria nel Lazio e negli Abruzzi: Borbona, Montereale, Cittareale. Per i viaggi nelle Marche, effettuati da autori di una certa fama, vedi panoramica con ricca bibliografia in N. CECINI, Le Marche: una metafora per i viaggiatori, in S. ANSELMI a c. di, Marche, Torino 1987, pp. 681-696. V. anche G. PODALIRI, Marchigiani dell'Ottocento a Roma, Macerata 1959, pp. 113-117. A titolo di curiosità, da M. PRUNETTI, Viaggio pittorico-antiquario d'Italia e Sicilia ..., tomi 4, Roma 1820, cfr. t. 4°, pp. 3-5, riportiamo le poste relative al percorso Roma-Milano:
(25) R. VIGHI, a c. di, Belli italiano, Roma 1975: v. Epistola a Messer Francesco Spada, vol. I, pp. 445 e ss.; G. ORIOLI, cit., ci dà una succinta biografia di G. Neroni Cancelli: le lettere sono a pp. 122-137, a p. 134 cita "In morte del cav. Pietro Neroni" Lettera ed elegia di G. G. B. Romano, Ripatransone 1844.
(26) G. ORIOLI, cit., p. 128 .
(27) G. ORIOLI, cit., pp. 142-144.
(28) G. ORIOLI, cit., pp. 514-515.
(29) G. ORIOLI, cit., pp 21-23 e 31.
(30) Anche G. VIGOLO, cit., passim, ci offre spunti interessanti per quanto riguarda l'attività socio-culturale, se cosìsi può dire, di Belli, dove quel socio deve essere riferito ad una società e ad un ceto medio-alti. Sull'argomento v. anche E. LIBURDI, Belli e le Marche, Atti e Memorie della DSPM, serie VIII, vol. II, Ancona 1961, pp. 81-96. Per i rapporti di Belli con Missirini e con altri esponenti del mondo culturale romano, vedansi M. VERDONE, Belli e Missirini, Studi Belliani, cit., pp. 590-610; G. ORIOLI, ibid., vol. I pp. 5-7 e passim. In proposito, riteniamo che nell'ordinamento dell'indice onomastico di questo volume il curatore sia incorso in una svista. Infatti il Minardi di cui si parla nelle pagine sopra citate è il pittore Tommaso Minardi, non Raffaele Minardi, marito di Amalia Bettini, né Pasquale Minardi, di cui non esiste altra traccia nel testo di Vigolo e che non è menzionato da M. T. LANZA nella sua edizione dei sonetti di Belli in 4 volumi. L'opera di Vincenzo Camuccini era nota a Belli, come risulta da L. FELICI, La storia e gli storici nella formazione culturale del Belli, Studi Belliani, cit., pp. 387-404. Nei sonetti belliani troviamo citati, dal poeta o dal curatore, anche alcuni personaggi marchigiani, non sempre in termini lusinghieri: Mons. Giovanni Augustoni, fermano (son. 1432); il card. Tommaso Bernetti (sonn. 207, 260, 872, 1279, 1691, 1761, 2258 e 2269); Pompeo Compagnoni (son. 194); Giuseppe Neroni Cancelli, ripano (son. 1525); G. Lecconi (son. 194); A. Cerquetti (son. 194), ecc. Ovviamente non poteva mancare Sisto V, il papa grottese (sonn. 319, 702, 1183, 1270, 1278, 1279, 1519, 1529). Tra i contributi più recenti si ricorda AA. VV., 996 Giuseppe Gioachino Belli nel bicentenario della nascita (1791-1991), catalogo della mostra di Roma, Roma 1991.
(31) G. ORIOLI, cit., p 123. Santofasone è riportato in corsivo. Va rilevato che Giuseppe Moretti, figlio di Secondo, nel 1812 sposò Camilla Palmaroli, figlia di G. Battista e nipote di Pietro. Belli potrebbe aver frequentato a San Benedetto questa esponente, e forse anche altri, della nobile famiglia grottese.
(32) M. MAZZOCCHI ALEMANNI, cit., vol. I, pp. 17-20 e 57.
(33) R. VIGHI, a c. di, Studi... , cit., vol. II, p. VIII.
(34) R. VIGHI, ibid. vol. II, p. VIII.
(35) Cfr. nota 3. Alcune opere di Camuccini e di Minardi sono possedute dal museo ascolano, cfr. C. CARDARELLI-V. ERCOLANI, Civica Pinacoteca di Ascoli Piceno, Ascoli Piceno 1954, p. 116. Su F. Duranti v. tra l'altro E. BELTRAME QUATTROCCHI, Disegni dell'800, Roma 1969, passim.
(36) Tale dipinto, che per quanto ci risulta è ancora inedito, v. fig. 6, nel 1991 faceva ancora parte della collezione del nob. Anton Maria Aloysi insieme ad alcuni disegni sempre di Camuccini, riprodotti in figg. 7, 8, 9 e 10. Va rilevata una imprecisione che appare nella scritta sul retro del ritratto, riprodotta in fig. 11. Ammesso che si tratti effettivamente del conte (?) Ambrogio Maria Aloysi, nato nel 1786 (non nel 1784), morto nel 1877 e che sposò la contessa Teresa d'Anatò, secondo quanto affermato da A. M. Aloysi, ultimo rappresentante maschile della linea, l'età del raffigurato all'epoca dichiarata dal dipinto (1825) sarebbe di 39 e non di 35 anni.
(37) P. ZAMPETTI, Carlo Crivelli, Firenze, 1976, pp. 303-304.
(38) S. DI PROVVIDO, La pittura di Vittore Crivelli, L'Aquila 1972. Tra gli allievi di T. Minardi a Roma si ricorda il fermano Gaetano Palmaroli. In proposito cfr. A. SILVESTRO, Un pittore marchigiano dell'Ottocento: Gaetano (Cayetano) Palmaroli, L'Arancio n° 8, Grottammare Pasqua 1993, pp. 10-13; A. SILVESTRO, Vicente Palmaroli Gonzalez, un pittore italo-spagnolo, L'Arancio n° 9, Grottammare estate 1993.
(39) S. SUSINNO, cit., vol. I, pp. 4 e segg.
(40) S. SUSINNO, cit., vol II, p. 19.
(41) S. SUSINNO, cit., vol I, p. 268. Per la fortuna della pittura a fresco, v. anche ibid. pp. XX-XXI.
(42) Per Fortunato Duranti, vedi L. DANIA, Fortunato Duranti, Milano 1984; AA. VV., Tenebre e luci. L'arte del Duranti, Milano.
(43) C. GALANTI, Elogio funebre del canonico G. B. Mascaretti, Ripatransone 1869.
(44) D. BERTONI JOVINO, I periodici popolari del Risorgimento, voll. 3, Milano 1959-60: v. vol. III p. 67 e vol. I pp. 727-731.
ti archivistiche
Vicariato di Roma, Stati delle anime di varie parrocchie in epoche diverse
Archivio di Stato di Roma, Camerale II, Antichità e belle Arti, b. 5, fasc. 225
Archivio Storico dell'Accademia di S. Luca
Archivio Storico Arcivescovile di Fermo, Registro battesimi, parrocchia S. Lucia
Abbreviazioni
ASR = Archivio di Stato di Roma
CMCCUI = Comitato marchigiano per le celebrazioni del centenario dell'Unità d'Italia
CMSNSRN = Comitato di Macerata della Società Nazionale per la Storia del Risorgimento Italiano
DSPM = Deputazione di Storia Patria per le Marche
QASAF = Quaderni dell'Archivio storico Arcivescovile di Fermo
RDSPM = Regia Deputazione di Storia patria per le Marche
SM = Atti e Memorie del Centro Studi Maceratesi
APPENDICE
Curiosando negli stati delle anime di alcune parrocchie romane
A Roma, nell'archivio storico del Vicariato, sono conservati numerosi stati delle anime delle parrocchie cittadine.
Nel corso di ricerche svolte a proposito di Pietro Palmaroli sono emerse notizie relative a personaggi che compaiono nel presente studio o collegati all'ambiente piceno, dalla fine del '700 all'800 inoltrato. Si ritiene utile darne uno stralcio, sia pure succinto.
Abbreviazioni
Bart. = Bartolomeo
Filippo S. Tanursi = Filippo Sassi Tanursi
Franc. = Francesco
G. = Giuseppe
Giov. = Giovanni
Mass. = Massimiliano
SS. V. e A. a T. = Santi Vincenzo ed Anastasio a Trevi
St. = Stanislao
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