(G.Cavezzi - A.Silvestro)

Aspetti della pirateria in Adriatico.
Potere o contropotere marittimo ?


(Acta del Convegno di Storia Militare tenuto a Napoli, in Castel dell'Ovo, dal 27 al29 ottobre 1997)


1. Sull'applicazione dei principi del potere marittimo alla pirateria ed alla guerra di corsa in Mediterraneo ed in Adriatico

Se ripercorriamo la lunga catena di eventi legati all'attività dei corsari e dei pirati, che hanno alternativamente accomunato e contrapposto per secoli le diverse popolazioni mediterranee, possiamo cogliere in essi elementi utili per inquadrarli sia nelle manifestazioni di quello che è comunemente considerato il potere marittimo sia nelle misure volte a contrastarlo e che assumono, quindi, l'aspetto di contropotere marittimo.
Infatti, da una parte si schierano coloro che, forti del predominio in campo militare, marittimo, economico, commerciale e politico, detengono questo primato e cercano d'imporre la propria volontà agli avversari; dall'altra si pongono gli antagonisti, che combattono per non essere sopraffatti e per capovolgere a proprio favore la situazione. NeI loro numero sono compresi anche tutti quelli che lottano per sfruttare vantaggi legati a particolari circostanze, condizione assimilabile a quella che oggi viene definita di "nicchia".
Tale situazione non va intesa strettamente, poiché non è tanto lo specchio di schieramenti permanenti e rigorosamente rispettati quanto il risultato di aggregazioni caratterizzate da estrema mutevolezza, anche in tempi brevi: gli amici di oggi sono i probabili avversari di domani, ma non è detto che sia sempre ed ovunque così.
Sembra lecito, innanzitutto, avanzare dubbi sulla consapevolezza, da parte dei marinai "predominanti", di potersi comportare in una certa maniera, in quanto inclusi in una coalizione detentrice del potere marittimo. Infatti sembra ragionevole ritenere che essi abbiano ignorato di esercitare, in tal modo, un'azione che avrebbe trovato codificazione solo alcuni secoli più tardi, dopo la pubblicazione degli studi di Mahan.(1) Non si può negare, però, che si rendessero perfettamente conto di essere inseriti, o non, nello schieramento allora prevalente. Ce ne da' testimonianzia, indiretta ma validissima, la fortuna raggiunta da spregiudicati avventurieri, che preferirono rinnegare la propria fede.
Si ritiene inutile tornare ancora una volta sulla definizione di corsaro e pirata perché non appare valido insistere nella distinzione di due aspetti diversi dell'attività abituale di certi individui. Interminabili controversie sono sorte per riconoscere il comportamento illegittimo (piratesco) o legittimo (corsaro) di alcuni individui o di una comunità nel complesso della loro attività in una particolare epoca ed in un preciso teatro d'operazioni: per un'analisi del problema si rimanda a quanto ne scrisse, circa vent'anni fa, il prof. Tenenti.(2)
Si preferisce, perciò, ricorrere al termine "predatori", che li accomuna al di là della stretta osservanza delle leggi, in quanto non si guarda allo spirito che ha animato le loro azioni col mutare dei tempi, ma al risultato di queste, soprattutto a giudizio di chi ne ha subito gli effetti. Non v'è dubbio, infatti, che - si tratti di pirati o di corsari - la vittima subisce le stesse conseguenze e può considerarsi ben fortunata se la perdita si limita soltanto ai beni materiali di cui è in possesso. D'altronde, negli Statuti di Spalato, già fin dall'inizio del XIV secolo non si fa distinzione tra chi pratica la corsa e chi la pirateria.(3)
Nella presente ricerca non s'intende esaminare gli avvenimenti solo per cogliere in essi la manifestazione del potere o del contropotere marittimo e per valutare la capacità offensiva di una certa parte, ma anche per riferire, quando possibile, le conseguenze nefaste che le imprese dei predatori, e quindi del potere che essi rappresentano, causano alle vittime ed all'ambiente cui esse appartengono.
In linea di massima si cercherà di limitare l'analisi ad azioni "di contropotere".
Per delineare tali situazioni, non riferibili ad un quadro omogeneo e razionalmente organizzato ma mutevoli da luogo a luogo e da epoca ad epoca, pur se indubbiamente accomunate dal dolore per le perdite umane ed economiche subite, si fa ricorso ad una disamina di ciò che offre la letteratura specifica finora apparsa e si espongono i risultati di ricerche condotte dagli autori in archivi croati, abruzzesi e marchigiani.(4)
Nel tema del convegno sono posti dei limiti cronologici, secoli XII-XVI, l'ultimo dei quali ha un chiaro significato. Infatti, pochi anni dopo la battaglia di Lepanto, assistiamo allo stravolgimento della situazione esistente nel bacino ed al passaggio del potere marittimo effettivo nelle mani degli Olandesi, per breve tempo, e degl'Inglesi, fin quasi ai nostri giorni. Ma le conseguenze delle vicende protrattesi per tanti secoli, e che continuano a sopravvivere con caratteristiche fondamentalmente simili fino al 1800 inoltrato, ci autorizzano a violare occasionalmente tali limiti temporali.
In questo lungo periodo, il predominio in Mediterraneo viene conteso inizialmente soprattutto tra Pisani, Genovesi, Veneziani, Amalfitani e Catalani sino a quando, dopo la conquista di Costantinopoli, i Turchi si volgono al mare e strappano gradualmente il potere marittimo ai Veneziani ed ai Genovesi. Così facendo si pongono in diretto contrasto con gli Spagnoli, reduci da un'importante opera di compattazione dinastica e territoriale e divenuti protagonisti della storia mondiale come detentori di una grande potenza terrestre e navale.
Le conseguenze di questa "conversione" hanno condizionato nei secoli a venire la vita delle popolazioni rivierasche, tanto che, « (...) senza togliere minimamente nulla alle ingenue narrazioni, conviene osservare che per lungo tempo, sino al fallito assedio di Malta, i Turchi erano considerati invincibili figli del demonio, per cui si spiega facilmente come, quando per una causa o per l'altra, sfuggite all'attenzione della massa, gli invasori desistettero dalle loro imprese, tale evento apparisce tanto strano da essere logicamente attribuito a potenza miracolosa».(5)
Nella memoria collettiva sono ancora vive le manifestazioni di allarme e di terrore provocate dalle incursioni dei predatori.(6)
Negli anni successivi al 1600 la declinante Venezia continua a battersi per salvaguardare quel che le rimane dei suoi possedimenti orientali, mentre gli altri stati italiani svolgono solo occasionalmente azioni di contrasto nei confronti dei predatori, che possono considerarsi del tutto marginali. L'iniziativa, comunque, resta in mano ai turchi ed ai barbareschi.
Un elemento di primaria importanza, nella lotta che oppone i Turchi agli Spagnoli, non sempre adeguatamente considerato, è rappresentato dalla comunanza d'interessi e dall'alleanza che si stabiliscono tra Parigi e Costantinopoli.(7)
Sconfitto più volte da Carlo V, incapace di esercitare un'efficace azione diretta di contrasto, Francesco I trova in Solimano I un alleato, qualche volta scomodo, ma certamente prezioso.(8) Grazie alla flotta turca ed alle imbarcazioni dei predoni barbareschi la Francia costringe gli Spagnoli a indirizzare sul mare armate e risorse che avrebbero trovato più vantaggioso impiego in altri teatri, sfruttando in tal modo la potenza degli Ottomani e tentando di strappare, indirettamente, il potere marittimo dalle mani del re di Spagna.
L'esercizio di tale potere non può prescindere dalla disponibilità di risorse finanziarie adeguate al mantenimento di navi ed equipaggi. Ricordiamo che, nel Medioevo, quando i Veneziani sono duramente impegnati per prevalere sui Genovesi e su altri nemici, l'allestimento e l'esercizio di battelli per scopi predatori richiedono somme di denaro che, in genere, l'avventuriero non ha. Ecco allora intervenire i finanziatori che, secondo Morozzo della Rocca, già prima del 1285 assicurano l'erogazione di sussidi finanziari, ricavandone il 50% (de duobus tria).(9)
Non sempre, però, la partecipazione ad imprese del genere viene incoraggiata con l'erogazione di denaro prima dell'ingaggio. Ci sono altre forme di compenso, più consone all'avidità ed alla ferocia di alcuni personaggi come, ad esempio - ma non è certo l'unico - Marceliano Ferrante o de Ancona, che ottiene la facoltà di saccheggiare per cinque giorni l'isola di Santorino.(10)
Lo svolgimento dell'attività predatoria legalizzata comporta una serie di adempimenti e provvedimenti da parte governativa, di non poco conto, stando a quanto ci riferisce Trifone per il Napoletano: «La materia che però diede maggior lavoro ai tribunali del regno ed ai giuristi, che commentarono le loro decisioni, fu quella relativa all'assicurazione, ai naufragi, alle prede.»(11)
L'Adriatico per lungo tempo costituisce un bacino in cui Venezia spadroneggia, forte del possesso della sua imboccatura (Corfù, dal 1386) e di buona parte delle coste che fiancheggiano le rotte abitualmente seguite dai naviganti.(12) Il suo predominio, però, viene intaccato e menomato dall'incremento e dal potenziamento della flotta turca, e delle flottiglie predatrici ad essa collegate, e dalla rivalità con le grandi potenze cristiane.
Parallelamente, già dalla seconda metà del XV secolo, l'attività di preda in Adriatico, di diversa connotazione nazionale e religiosa, va continuamente crescendo.
Ovviamente in tale quadro merita considerazione anche l''impiego di forze navali da parte di un sovrano in guerra con altri, come, ad esempio, nel caso di Alfonso di Aragona che intorno al 1443 s'impegna lungo le coste marchigiane e romagnole direttamente contro Francesco Sforza e, indirettamente, contro Venezia, con azioni che, stando alle cronache dell'epoca, hanno prevalentemente carattere predatorio.(13)

2. La situazione in Adriatico
Diamo un breve cenno della normativa mercantile marittima esistente a Fermo ed Ancona e dei rapporti tra Venezia e gli Spagnoli insediati nel viceregno napoletano.
Va tenuto ovviamente conto che, a differenza di Ancona, Venezia, Napoli, Costantinopoli, etc., nel caso di Fermo non si può parlare di ambizione di estendere il proprio potere marittimo al di là del ristretto litorale dal Tronto al Potenza, dove gode di privilegi accanitamente e sanguinosamente difesi. Tale spiaggia, purtroppo, è sprovvista di approdi protetti dalle avversità naturali e replicati tentativi di costruire un porto nei pressi della città non hanno avuto successo, se non in tempi recentissimi.(14)

2.1 Disposizioni emanate da varie città

Accenni a problemi derivanti dall'attività dei predoni di mare si riscontrano nelle norme di varie città che si affacciano sul litorale Adriatico.
Agli Statuti della Città di Fermo, pubblicati negli anni 1507 e 1589, sono allegati gli ordinamenti marittimi delle città di Trani e di Ancona, almeno in parte.(15) Nella versione del 1589 solo due brevi passi degli Ordinamenti di Trani si riferiscono esplicitamente ai predoni.
Altra disposizione appare negli Statuti di Fermo, sempre del 1589: è la rub. 38, intitolata De rebus publice emptis, vel a Pyratis.
Nell'estratto degli Statuti anconetani incluso nelle normative fermane sono contenute regole particolari relative alle operazioni contabili e di ripartizione da eseguire in caso di varea, materia peraltro contemplata anche in quelli di Trani e di Fermo.(16) Nel complesso degli stessi statuti non appaiono direttive particolari che si possano riferire alla pirateria. La rubrica LXXVIII - Dell'arme che se de' portare en mare, per li naviganti - si può senz'altro collegare alle esigenze di difendere la nave, il carico, i mercanti e i marinai dalle depredazioni, ma non vi è nessuna allusione diretta agli scorridori dei mari.(17)
L'unico accenno esplicito ai corsari, nei testi anconitani consultati, appare nella rubr. VIII dei patti con diverse nazioni, in particolare in quelli con il regno di Aragona.(18)
Meriterebbero approfondito esame anche gli statuti emanati da città della costa orientale: Spalato, Ragusa, Zara, Valona, Durazzo, Dulcigno, etc.(19)
In tale contesto va tenuto in debito conto l'importantissimo ruolo svolto da Venezia nel bacino Adriatico, considerato come suo golfo. Tale atteggiamento ha provocato molte contestazioni, nel corso dei secoli, da parte degli altri "utenti" di quel mare, tra cui:
- a) la formazione di una armata navale con forze del papa, del re di Napoli e del duca di Milano, raccoltasi in Ancona nel 1483 per muovere contro i Veneziani;(20)
- b) la lunga contrapposizione tra Venezia e Vienna sul problema degli Uscocchi.
- c) le questioni di carattere giuridico avanzate dal Vicerè di Napoli, secondo le quali:
- guerra perpetua è indetta contro i Turchi. E' perciò consentito ai sudditi napoletani d'impossessarsi dei nemici e dei loro beni, per terra e per mare, senza distinzione di confini;
- in particolare tale azioni sono lecite anche nel mare Adriatico, a torto considerato proprietà dei Veneziani. Infatti i diritti da essi vantati scaturirebbero da accordi con l'imperatore d'Occidente, la cui autorità non si estende ai domini spagnoli. Per di più, se anche fossero legittimi i diritti dei veneziani sul golfo, essi non avrebbero nessuna validità sulle città costiere appartenenti ad altri stati;
- le navi veneziane, che esercitino commercio con i Turchi, non possono invocare alcuna immunità se attaccate da navi spagnole o napoletane.(21)
Dall'esame degli episodi di depredazioni riportati più avanti sembra possibile operare una prima grossolana suddivisione:
A) - azioni collegabili ad uno stato di tensione o di conflitto esistente tra nazioni, tra città dello stesso stato (Ancona e Fermo, ad esempio) o tra città straniere (Venezia e Ancona, Fermo e Termoli, ad esempio). Si tenga presente che, nonostante l'opera di recupero svolta dal cardinale Albornoz, il potere centrale dello Stato Pontificio, almeno fino ai primi decenni del XVI secolo, non ha solide fondamenta;
B) - azioni riferibili ad iniziative di singoli individui o piccole comunità.
Le prime presuppongono l'esistenza di un contrasto d'interessi di vario genere e difficilmente conciliabili per via pacifica, anche a causa dell'interferenza esercitata da fattori esterni. E' il caso dell'ostilità tra Ancona e Fermo, spesso acuita dai frequenti attacchi portati alla città dorica dai Veneziani, in genere alleati con i Fermani. In tal caso è necessario il concorso di vari fattori (finanziari, marittimi, politici, mercantili, militari, giuridici, etc.) per impiantare e sostenere una guerra di corsa. Operazioni di questo genere possono rientrare nell'ambito di azioni di guerra vera e propria, ma non mancano esempi di azioni spiccatamente predatorie, nelle quali l'interesse del singolo prevale su quello generale. A volte vengono conclusi patti tra Venezia e Ancona. (22)
Le seconde, invece, sono assimilabili a depredazioni di briganti di strada, e non sono inquadrabili in una rete ben collegata di finanziatori ed esecutori di trame rivolte a danneggiare uno stato nemico. Infatti spesso si ha a che fare con saccheggiatori di navi naufragate o con comportamenti truffaldini di naviganti e di mercanti, che provocano naturalmente le ritorsioni delle autorità cittadine cui il danneggiato si è rivolto e, di conseguenza, l'eventuale ampliamento del conflitto ad altre sedi.

2.2. Predisposizione di mezzi di difesa contro la predoneria sul litorale pontificio

Una rassegna completa dei provvedimenti studiati e adottati lungo le coste pontificie dell'Adriatico impegnerebbe uno spazio eccessivo nel contesto della trattazione generale. E' quindi opportuno ricordare brevemente solo alcuni episodi significativi ma poco o affatto conosciuti.
E' noto che vari Stati italiani, a partire dalla seconda metà del XV secolo, costruiscono una lunga serie di torri costiere, ognuna in vista della successiva e della precedente, con lo scopo di dare tempestivamente l'allarme appena avvistate le barche dei predoni, sia ai centri abitati immediatamente vicini, sia alle torri adiacenti, e di resistere il più possibile ad attacchi diretti, se necessario.(23) In diversi documenti di Ancona, di Fermo e di altre città si trovano riferimenti a situazioni del genere. Tuttavia, nonostante la sollecitudine mostrata nella decisione di approntare difese e rifornimenti, la condizione degli apparati difensivi lungo le coste del Fermano e del Maceratese è spesso precaria. Ciò risulta chiaramente dalle ispezioni alle fortezze ed alle torri che vengono eseguite periodicamente. Sono stati rintracciati vari documenti - purtroppo non completi né in grado di costituire una serie coerente estesa per lunghi periodi - in diversi archivi e biblioteche. Ad esempio, da una relazione del 1640 circa, risulta che le mura a difesa di S. Benedetto, Grottammare, S. Andrea, Marano, Pedaso, Torre di Palme, Porto di Fermo, Porto S. Elpidio, Porto Civitanova, Porto di Montesanto e Porto Recanati possono reggere soltanto ad attacchi portati da aggressori sprovvisti di artiglierie. Nel caso, invece, che l'offesa provenga da galere che riescano a giungere a distanza di tiro utile con il cannone, l'ispettore pronostica il crollo delle mura.(24) La situazione è resa più difficile dalla mancanza di artiglieria adeguata: solo in alcune torri esistono cannoni od altre armi, ma prevalentemente vecchi ed inutilizzabili. Le poche volte che vi sono armi moderne non si è in grado di utilizzarle per la mancanza di munizioni. Altre carte, relative ad ispezioni effettuate tra il 1575 ed il tardo 1600, non si soffermano sulla descrizione dei complessi fortificati in dotazione ad ognuno dei paesi di cui ci occupiamo ma si limitano a riportare la situazione delle armi esistenti, sostanzialmente coincidente con quella del documento anconetano.(25)
L'attuazione di queste predisposizioni richiede adeguati finanziamenti e, spesso, specifiche imposizioni fiscali.(26)
Le carte d'archivio offrono numerosi riferimenti a stati di allarme e di approntamento delle difese sui quali, in questa sede, è impossibile fornire estesi particolari.(27) Ne ricordiamo solamente alcuni:
- il 22 luglio 1478 a Ripatransone: " (...) Super facto armate et navigio magno Turcorum qui dicuntur de proximi debent venire ad parte istas maritimos et providere de omnibus opportunis ad defensionem loci: ferri impiendo bombardas, ciacherbooctanas, et fieri facere scoppittis, corazine et omnia alia emere et facere pro ut eis videlis."(28)
- nel 1480 in Ancona si cominciano a costruire fortificazioni intorno alla città ed al porto;(29)
- il 16 maggio 1487 a Fermo: " (...) Havendo noi de bisogno de preta et calcina per lavoro che faremo ad Acquaviva ... et per che hormai che semptemo che la venuta del turcho non è da sospetar el nostro lavoro non è de tanta importanza quanto quello di Acquaviva."(30)
- il 3 maggio 1519 a Fermo: "Providetur deficentiae panis et farinae. Triremes, sive fustae Turchorum leguntur apud Tremetum";(31)
- il 5 agosto 1529 a Fermo: "Portus custoditur propter suspicionem Turcarum via maris";(32)
- il 3 maggio 1537 a Fermo: "dicit se impetrasse a Pontifice diminutionem unius ducati pro foculari, et reduxisse at 4000 scut.; quibus succurritur periculo gravi Turcharum imminenti. Item reduxisse taxam vastatorum Anconae ad 300 sc. in tota provincia";(33)
- il 26 giugno 1573 "ex litteris D. Montani Maceratae oratoris, Card.lis legatus petit 63 vastatores in Arce Anconae, et 50 sunt pro expeditione Turcarum". Nella stessa data "agitur de vastatoribus mittendis Anconam, et de colocandis militibus in oris maritimis";(34)
- a Fermo il 4 luglio 1537 "Turcharum suspicia annuntiantur";(35)
- il 15 agosto 1537 a Fermo: "Dicuntur castrum versus 400 pedites, quamvis narrentur irruere in castrum S. Viti occupatum ab Orsini significatur castris, ut cum demno suspicio Turcharum habentur, se contineant in armis, et sub Commissariis Firmanis ";(36)
- il 25 gennaio 1538 a Fermo: "Mittendus est orator ad vicelegatum die dominico proximo, ut cum oratoribus Provinciae reperiantur 2000 remigios."(37)
- nel febbraio 1538 a Fermo: "Die 6 fit descriptio hominum ab anno aetatis 18 ad 40, frumenti, et hordei pro bello contra Turcas, Priore Priorum Hieronymo Rosato";(38)
- il 7 marzo 1538 a Fermo: "die 11 Vicelegatus et D. Paulus Justinianius Commissarius Pontificius instantissime petunt 50 remiges, et expediuntur";(39)
- il 16 agosto 1538 a Fermo: "Habentur oblationes civium pro satisfactione remigum";(40)
- il 13 settembre 1538 a Fermo: "Imponuntur 1000 salmae grani pro munitione triremum contra infideles."(41)
- il primo marzo 1564 a Fermo: "Fit bussolum civium, 20 vel 30, quorum tres quotannis vel plures extrahantur commissarii, unus ad maritima, alius ad mediterranea ... providetur suspicione turcharum et bannitorum";(42)
- il 19 luglio 1566 a Fermo: "Habentur litterae Card. Alessandrini de suspicione Turcharum";(43)
- l'11 agosto1564, a Fermo, "dicitur navalis Turcarum; propter quam civitas coegerat 400 milites; et quolibet maritimi. Vocatur ad videndam civitatem, et loca maritima, ut referat Pontifici calamitates firmanas Dominus Paulus Jordanus Ursinus";(44)
- il 16 settembre 1570 il card. Alessandrino scrive da Recanati al Governatore di Fermo: "V. S. non manchi di provedere con ogni diligenza possibile alli danni quali fanno continuamente le fughe de corsari nelle marine della sua giurisdizione, usandovi tutti quelli rimedi che li paranno necessari, et opportuni et perché s'intende che alle volte li corsari si presentano in terra, ad effetto che ogn'uno sia tanto più pronto, non solamente a defendersi ma anche a pigliarli, V. S. farà pubblicare un bando che tutti li corsari li quali capiteranno in mano de cristiani, se intendano esser schiavi de quelli, che li pigliarono et ne possino disporre ad arbitrio loro; nel medesmo anco s'intenda delle robbe".(45)
Tra la primavera del 1576 e l'autunno di quell'anno si instaura una lunga polemica epistolare indiretta, in quanto le missive sono indirizzate all'agente in Roma, tra il Comune di Fermo e la capitale.
La questione riguarda il risarcimento delle mura dei castelli, ma soprattutto della città, in vista dello stato di emergenza dichiarato per i sospetti di peste e dei controlli da effettuarsi su di essa. I reggitori di Fermo si lamentano di dover concorrere da soli alle spese per la vigilanza della costa, solo in parte addebitate ad Ascoli, mentre la loro città aveva dovuto partecipare alla pari con Ascoli alle spese necessarie per debellare i briganti, questione che la riguardava molto meno della contigua e tradizionale concorrente. Ma proteste ancora maggiori vengono avanzate per il fatto che Ancona viene direttamente soccorsa per la ricostruzione delle mura.(46)
Anche nei secoli successivi si trovano tracce di eventi del genere, come a Ripatransone il 22 maggio 1621: "Sono arrivate lettere al nostro Sig. Commissario scrittale dal Vicario delle Grotte a mare sopra i rumori che si sentono alle marine de' Turchi (...) ed anche successivamente è arrivato un'altro ordine al nostro Capitano del sig. Sergente maggiore di Fermo che vedendosi fuoco di notte in mova a quella volta" e, più tardi,"Vedendosi il bisogno che si tiene degli uomini abili a far le guardie per i presenti rumori di Turchi, se che fare." (47)
Sempre dal Registro dei Consigli di Ripatransone risulta che, di alcune lettere pervenute, " (...) la terza scrittaci dalli Signori Tesorieri della Marca in data 22.12 caduto di dover pagare sc. 100 (p. 46) per la rata spettante a questa Comunità per il pagamento delle soldatesche che hanno guardato le spiaggie del mare Adriatico dallo sbarco dei Turchi per l'anno 1672 e 1673 essendo tale ordine di N. S. che in tutti detti pagamenti fanno la somma di scudi 155 bai 12.2 perciò tot. (123)" (48)
Inutile ripeterlo, tutte queste predisposizioni, per essere praticabili, devono essere adeguatamente finanziate, soprattutto con specifiche imposizioni fiscali.(49)

2.3. Attacchi di predoni

L'esistenza di attività mercatorie marittime di una certa rilevanza è indubbiamente una delle condizioni che stimolano l'iniziativa dei predoni.
L'esame della situazione complessiva richiede tempi e spazi non consoni alla circostanza, anche perché la costa adriatica occidentale è prevalentemente interessata da intensi traffici di piccolo cabotaggio e da attività piscatorie. Ci si limita perciò a ricordare solo alcune azioni, tutte classificabili nella categoria B), svolte non solo da privati ma anche da comunità rette da un despota, sotto molto versi assimilabile ad un bandito (50):
- un episodio, che sembra rientrare più nel campo militare che in quello predatorio, avviene a Grottammare nel 1389: "die VIII junii, Biordus de Perusio cum II mille quingentis equitibus intravit Marchiam causa redimendi. Provincia vero Marchie, primo, conduxit ad stipendium dominum comitem de Carrario, cum tercentis lanceis cum Mostarda et Luca de Canali; et promiserunt nos defendere a qualibet societate ... Lucas de Canali fuit percussus quodam verettono in gula; dicta de causa recessit, et intravit quandam barcam, cum quodam Rubeo de Sancto Ginesio et pluribus aliis armigeris, causa veniendi ad terram Civitanove per mare, causa redeundi ad terram Montis Granarii. Homines vero de castro Gruptarum ad Mare, die martis XXII junii, videntes hec, armaverunt certas barcas, et ceperunt Lucam et omnes supradictos socios. Die XXIIII junii, Rubeus de Sancto Ginesio et consocii fuerunt ducti ad civitatem Firmi. Die XXV junii, Lucas de Canali fuit ductus ad civitatem Firmi in quadam barca; et dicta die Smeductius de Sancto Severino cum certis suis sociis, qui erant de brigata Biordi, venit Firmum cum salvaconducto, pro evadendo Lucam et in eius servitium." (51)
Alle lotte per il potere nella Marca a seguito dell'invasione di Francesco Sforza è collegabile un episodio avvenuto nel 1443. "El conte Francesco desideroso quocumque modo havere Ancona in sua balia, tutto di mandava suoi homini ad provedere la città et ad considerare le intrate ed ussite de quella. Per questo li cittadini feceno barigello con alquanti provisionati un ser Francesco in quel tempo officiale al danno dato, el quale per la commissione ad sè data caute piglava questi tali venivano ad prevedere li muri, et de nocte tempo li annegava in mare. Unde tra li sforxeschi era nato questo proverbio: Li Anconitani danno da bevere et non da mangiare. El dicto barigello ne annegò forsi docento ad longo andare, como poi fo manifestato al conte per uno de quelli del barigello menato pregione allui ne la città de Fermo. Preterea stando la excellentia del dicto conte ne la città de Exi, una sua fusta armata ad Pesaro persequitava uno navilio de Pugla, el quale venuto in porto de Ancona, el patrone se racomandava. Verum quelli de la fusta, non havendo respecto at alcuna admonitione li fosse facta per essi Anconitani, havendo grande animo, per che el conte era signore de la provincia, et così facevano preda del dicto navilio troncando lo remegio de esso, et in preda tirandolo con essi per forza de remi. El per che li Anconitani, quantunqua vedeseno la potentia del conte essere grande, et havere lo exercito preparato in mano, tamen non volendo patere el suo porto perdesse el nome de la antiqua franchisia, piglorono dicta fusta ad furorem populi facendo immediate apichare a li cantoni de la torre del fanò el patrone, el comito et sotocomito. Remandonno poi la dicta fusta al conte per demonstrare non haver facto tal cosa o per odio, o per cupidità de guadagno, ma solum per preservare la antiqua franchisia del suo porto". (52)
Al maggio del 1477 risale la cattura di una nave anconitana a Cesenatico, ad opera di "Brancadoria capitano et Morde patrone de una nave bene armata de portata cinquecento vel quasi, ne la quale erano homini cento vinti, secondo consuetudine di alcuni Genovesi dati a la rapina, insultonno una nave anconitana".(53)
Nel 1478 "una fusta che è stata armata a Anchona (...) allato al pedaso nostro ha rubbato una barca da Orthona carcha et in quella (...) che conducevano una sposa loro de Lanzano";(54)
Sempre ad opera di predoni Genovesi, un'altra nave anconitana viene assalita nell'agosto 1493 nel porto della città dorica e portata via con le merci di mercanti perugini.(55)
Nel 1502 il tiranno di Fermo, Oliverotto Euffreducci, "fece fare una Fusta in mare per corseggiare".(56)
Per evitare tali atti predatori si cerca di stabilire patti tra varie comunità. Alcuni esempi di accordi del genere sono riportati nel testo di G. de Minicis.(57)
Veri e propri atti di pirateria si legittimano attraverso quelle che vengono definite come "represalie", ossia rappresaglia di questa o quella città di mare contro altra per presunti torti subiti.
Uno di questi episodi, che avrà una lunga trattazione nei documenti dell'Archivio di Fermo, è la cattura di barche anconitane in rivalsa di analoghe prede fatte su barche dello stato fermano. Uno dei tanti documenti in proposito, datato al tempo di Pio II, anno del Signore 1467, ci fa sapere che " (...) die VII februarij (...) cum pro anconitanos ad instantiam Antonij Ser Massii de Ancona occasione certoris bobij commisse fuerunt represalie per nostros firmanos ... per debitum iurisque ... fuerunt arestate et detencte due barche hominum nostrorum de Marano honuste melaranciorum et lini. Et pro restauratione dictarum barcharum arestatarum in Ancona per nos etiam in riviera et in littore nostro firmano et apud portum et apud pedasium, apud Maranum et apud catrum Gructarum ad mare sequestrate fuerunt octo barcas hominum de Ancona: si honuste erant grano et frumento. Quibus quinque Ser Baldassarris de Francavilla de Aprutio et tre Ser Bactista de Civitanova ..."(58)
Al 1486 risale una controversia con Venezia. Marco Barbarigo, Doge della Serenissima, credendo che Grottammare sia sotto la giurisdizione di Ascoli, o comunque ritenendo più funzionale indirizzare la missiva a questa città piuttosto che a Fermo da cui Grottammare in effetti dipende, scrive alle autorità ascolane denunciando il saccheggio da parte di grottesi di una nave carica di pesci salati (probabilmente si tratta di prodotto dalmato), trasportati su una barca che è naufragata nelle acque del comune rivierasco.(59)
Dal Giudice Gregorio di Segna (Dalmazia) i Fermani hanno saputo che erano state commesse "( ..). represaglie contra nostri firmani per denari quali decete esser ad voi debitore Luca de Marino cittadino nostro per cose havute da voi quando lui habitava ad Civitanova". Ritengono che, trattandosi di un equivoco, i propri cittadini possano "liberamente pratticare in Signa como hanno facto nel passato (...)" (60)
Il Sig. Baccalario Zeno e Ser Anthonio di Ser Luciani di Monterubbiano protestano perché, in occasione dell'ultima guerra "(...) contra asculani ribelli circha al fine di septembre al porto de Sancto Elpidio in terra forono da certi barcharoli alcuni del nostro porto, et alcuni forestieri, tolte alcune robe de uno de Montelparo habitante in Asculo e spetiale et anche de uno, Martino Merendino stato de Bergamo che multi anni è stato in Asculo dove andavano le dicte robbe (...) intendo che contro i ribelli la guerra era licita et justa (...) et occorre punire non solo questi ma anche i suoi complici (...) e chi ci portava robba (...)"(61)
Anche sulla sponda orientale si verificano situazioni analoghe. Il Duca di Croazia e Dalmazia e Conte Spalatino "cunctisque spalatensibus ingiungit ut navibus suis omnibus auxilium ipsi contra Domaldum piratam afferant . Dei Gratia dux Croatiae et Dalmatiae comiti Spalatini nec non et omnibus populis eiusdem civitatis salutem et gratiam fidelitatis vestre que regie tenemine dignitati finiter principientes mandamus ut cum omnibus navibus vestris tam parvis quam et magnis decenter aparati dum nuncium ad vos misenijs contra Domaldum inimicum regis protinus in auxilium nostrum ocurandi. Et de rebus eiusdem Domaldi inibit in vestram custodiam recipere presummatis". (62)
A volte talune circostanze portano alla cattura ed alla condanna di predoni.
Nell'autunno del 1528 presso il Tribunale di Fermo vengono celebrati due processi, ad opera del giudice Galeazzo Crispini di Forlì, relativi ad uno stesso episodio contro " (...) duo Piratos et derobatores ac homines conditiones vitii et famam quos processimus modu et via inquisitionis (...) Matthia et Joannettu di Arbe," (imputati nel primo procedimento) e "Petrum Radicchium et Antonium Jo. Secchij de Segna", (inquisiti nel secondo), i quali eran stati sorpresi armati "varijs generibus armorum ac et grippo armato varijs cum tormentis bumbarda et archibusijs et scupettis et igni artificiati intraverunt in mare et per mare navigando (...) infrascriptorum maledictum robbaria et excessum faciendi et dirobandi (...) ". Essi avevano assalito il grippo di Gregorio da Sebenico carico di tre carri di grano di tal Petri Beffani di Lanciano sostenendo un duro combattimento. Vengono tutti condannati alla forca, però i primi due si salvano perché contumaci, mentre la pena viene eseguita per Pietro ed Antonio di Segna "eundem furcis langueo suspendi facias ita que omnino moriat et eis anima a corpore separet (...)", nel solito luogo deputato alla giustizia dentro la città di Fermo.(63)
Il 15 agosto 1538 "Tres Turcae Iustitiae Firmanae traditi necati sunt."(64)
Nel 1552, a Grottammare, Fatio Puri e Apollonio Blaxii vengono condannati alla decapitazione per aver partecipato, con un brigantino armato, all'assalto e al derubamento di alcuni barconi di mercanti che si stavano recando al porto.(65)
Anche Baptista di Domenico e Ippolito Pierangeli, entrambi di Grottammare, vengono condannati a morte per reati del genere.(66)
Filippo Mattei, invece, viene condannato all'impiccagione per aver rubato una corona di corallo durante un atto di pirateria.(67)
Nel 1528 un processo è intentato ad un tal "Petrus Nicolo de Sancto Benedicto (...) quem processimus (…) per furto subtraxit cuidam Mercatori Veneto certam quantitatem piscium (...) che poi ha rivenduto facendovi guadagno. Ora è prigioniero presso l'ospizio in riva al mare di Martino Cavedali di Fermo ad istanza dei detti mercanti".(68) Viene condannato all'impiccagione.
Una trattazione molto lunga riguarda un episodio avvenuto a Grottammare: "Mi avvisa Mons. governatore di Ancona d'aver dato ordine a VS Ill.ma di ricevere Pasquale e Marc'Antonio Trionfi, che furono tempo fa arrestati alle Grotte, dove hanno scontata la contumacia. Su tale notizia ho ordinato al Sig. Deputato delle Grotte che faccia colla dovuta custodia seguire il trasporto costì dell'indicate due persone; onde supplico VS Ill.ma non meno di farlo avanti di Posto in Posto fino in Ancona, dove dovranno essere consegnate ai Ministri ed esecutori del Tribunale di Mons. Governatore unitamente col Battello ed altre robe spettanti agl'indicati Trionfi (...) Ascoli 20 Agosto 1764."(69)
La liberazione dei rapiti può scaturire da azioni intimidatorie (bombardamenti di città, scontri navali, etc.), accordi politici o trattative di vario genere. Va ricordato l'impegno per la liberazione di grandi masse di rapiti messo in atto da particolari Confraternite ed Ordini religiosi, quali la confraternita del Gonfalone, i Mercedari, etc. Tale argomento meriterebbe molta attenzione, che qui non è possibile dedicargli.(70)
Se si dispone di beni sufficienti ad affrontare il riscatto di pochi individui, si può ricorrere all'intermediazione di personaggi, in genere mercanti, in rapporto con i principali centri di raccolta degli schiavi (Algeri, Tunisi, Tripoli, etc.). Ad esempio:
- una citazione risalente al 2 agosto 1539: "Turcus manentis et Vincentio Massutius se obligaverunt pro 100 fl. solvendis D. Bernardo Machiavello"; (71)
- una mediazione per riscatto da schiavitù, effettuata da un raguseo presente alla fiera di Senigallia, che si conclude dopo circa 30 anni con una transazione tra gli eredi dell'ex schiavo e gli eredi del raguseo in quanto, all'anticipazione della somma eseguita dal mediatore, non ha fatto seguito il regolare pagamento a riscatto avvenuto.
Per gl'indigenti infine, si fa ricorso alla beneficenza papale mediante litterae hortatoriae, che si conservano in gran numero nei fondi dell'Archivio Segreto Vaticano.(72)
Numerose sono le segnalazioni, che provengono dall'archivistica notarile e che non sono tutte menzionabili per la massa delle conseguenze di carattere privato sul nucleo familiare dei rapiti: si fa riferimento a congiunti assenti per schiavitù ed alla conseguente esigenza di nominare da parte dei Giudici Comunali (Vicari) persone autorizzate a compiere atti patrimoniali in loro vece per l'assegnazione di dote a figlie o sorelle che vanno spose o in convento; per l'alienazione d'immobili; per decisioni su assi ereditari e su transazioni da compiere; infine, sulla necessità di vendere beni per procedere al pagamento del riscatto con il ricavato della vendita.

3. Conclusioni
Da quanto abbiamo esposto risulta che le scelte politiche dei sovrani e dei loro ministri spingono sul mare avventurieri di ogni genere, che sottraggono agli avversari forze umane e beni materiali per trarne vantaggio diretto, con l'impiego dei rapiti come manodopera, o mediato, tramite riscatto. Non sempre, però, i predatori appartengono allo schieramento che detiene il potere marittimo, in quanto situazioni contingenti ed opportunità particolari consentono, non solo agli oppositori ma anche a predoni spregiudicati, d'impadronirsi di quanto incontrano per mare, sulle coste di tutto il Mediterraneo e, talvolta, anche ben dentro il territorio "nemico". Ci auguriamo che, quanto esposto, possa rispondere almeno in parte ad un quesito del prof. Gabriele a proposito dell'esistenza della corsa nella Marca pontificia.(73)

NOTE

(1) Cfr. A. T. MAHAN, L'influenza del potere marittimo sulla storia (1660-1783), Roma 1994. Tale situazione trova adeguata espressione nelle parole con cui Cesare Pascarella descrive la scoperta dell'America secondo l'interpretazione di un popolano:
Che dite? - fece lui, - de dove sêmo?
Sêmo de qui; ma come so' chiamati
'sti posti, - fece, - noi nu' lo sapemo. -
Ma vedi si in che modo procedeveno!
Te basta a di' che lì c'ereno nati
ne l'America, e manco lo sapeveno.
»
(Cfr C. PASCARELLA, I sonetti - Storia nostra - Le prose, Milano 1955, sonetto XXX, p. 120. Merita di essere ricordato anche il sonetto V, ib., p. 95). Gli ultimi due versi del poeta romano possono ben rappresentare la condizione dei corsari/pirati che hanno battuto per secoli le acque del Mediterraneo e navigato, predato, violato, ucciso per assicurare un futuro migliore ai propri figli, o per far prevalere il sovrano o la religione cui aderivano, o per calcolati scopi mercantili, o per puro spirito di avventura. Possiamo perciò affermare che, pur coscienti di far parte del gruppo che, allora, deteneva il predominio marittimo e li "delegava" a compiere gli atti necessariamente conseguenti, essi ignorassero il reale significato di tale potere.
(2) La letteratura in materia è imponente, ci asteniamo dal citarla. Ben note le calorose prese di posizione di A. Guglielmotti a favore delle marinerie italiche e contro quelle straniere. Basterà, in proposito, ricordare le parole di un nostro studioso del recente passato per renderci conto che, spesso, il torto viene indiscriminatamente attribuito a chi è schierato dall'altra parte: «E questi corsari che fanno buona guerra contro i nemici della Repubblica non sono da confondersi, come spesso si fece, con i pirati, che perpetravano le loro ruberie nelle solitudini dei mari. Sono piuttosto uno dei tanti aspetti di quello spirito d'avventura e di volontariato di cui va gloriosa la Storia Italiana. L'aver trovate tutte queste notizie nei protocolli notarili basterebbe a dimostrare, se pur ce ne fosse bisogno, che i corsari non furono a Venezia - dove pure la marineria fu sempre più fortemente che altrove legata allo Stato - un fenomeno extra-legale; nel silenzio degli Statuti si organizzarono e combatterono secondo le loro consuetudini mediterranee.» (cfr. R. MOROZZO DELLA ROCCA, Consuetudini di corsari veneziani del sec. XIV, in AA. VV., Atti ..., cit., vol. II, p. 337). Sensazioni analoghe, anche se meno corpose, si provano scorrendo il libro, per altri versi veramente pregevole, di M. MAFRICI, Mezzogiorno e pirateria nell'età moderna (secoli XVI-XVIII), Napoli 1995, del quale ci siamo avvalsi ed al quale rimandiamo per ciò che concerne bibliografia, arruolamento dei giannizzeri, organizzazione delle Reggenze per la guerra di corsa e loro dipendenza dall'impero ottomano, composizione delle flotte corsare, il potere marittimo in Turchia, Spagna, Francia ed Austria, guerra di corsa, schiavitù, ribellione del mezzogiorno contro gli Spagnoli, assillo delle popolazioni a causa delle incursioni barbaresche. Cfr. anche R. MOROZZO DELLA ROCCA, Consuetudini ..., in AA. VV., Atti ... , cit., vol. II, pp. 329-337. Più recentemente se n'è occupato A. TENENTI, Venezia e la pirateria nel Levante: 1300 c. - 1400 c., in A. PERTUSI, a c. di, Venezia e il Levante fino al secolo XV, voll. 2, Firenze 1973, pp. 705-771, in particolare pp. 708-713.
(3) Cfr. Statut Grada Splita (Statutum Civitatis Spalati - Lo Statuto della Città di Spalato), Knjizevni Krug, Spalato 1987, pag. 179: "Cap. XCVII. QUOD NULLUS EMAT RES DE CURSU, NEC VADAT IN CURSUM. Item statutum et ordinatum est, quod nullus civis vel forensis audeat vel presumat in civitate Spalati vel in suo distritu emere ab aliqua persona aliquas res, que fuerint derobate, vel accepte per Almisanos vel piratas, qui exercent cursum, nec illas exportare ad civitatem Spalati. Qui vero contrafacerit, solvat communi pro banno quinquaginta libras et res emptas perdat et veniant in commune. Et si quis civis seu etiam habitator civitatis Spalati iret in cursum, sit in perpetuum exul de civitate predicta et omnia bona sua deveniant in commune et si in fortiam communis pervenerit, manus sibi dextra debeat amputari". Almissa era patria di molti predoni.
(4) Per la letteratura sull'argomento v. nota (2).
(5) G. PO, Corsari barbareschi nelle memorie e nelle leggende popolari, in AA.VV., Atti del IV Congresso Nazionale di arti e tradizioni popolari, voll. 2, Roma 1942, vol. I pp. 141-149.
(6) G. PO, Corsari ..., cit., pp. 147-148. Da rammentare la clausola inserita in moltissimi atti notarili riguardanti trasporti per via marittima, stipulati nel Fermano e nell'Ascolano, sulla validità dei patti in assenza di turbamenti dovuti ad incendi, tempeste e predoni.
(7) In tale contesto merita considerazione il tentativo operato da Boccolino di Osimo di allearsi con gli Ottomani, cfr. Annali di Fermo d'autore anonimo dall'anno 1445 sino al 1557, in G. DE MINICIS, a c. di, Cronache della Città di Fermo, Firenze 1780, pp. 217-218: "1487 (...) Nel principio di primavera fu posto l'assedio del Papa ad Osimo contro Boccolino (...) Difendendosi valentemente Boccolino e non trovando aiuto da nessuno, mandò al Gran Turco e fu uno da Monteleone nostro castello che ci andò, ma il soccorso non venne mai". Ovviamente, il peso politico del ribelle Boccolino non è confrontabile con quello del re di Francia, ma un insediamento Turco nello Stato della Chiesa, proprio vicino al santuario di Loreto, avrebbe potuto assumere un significato di rilevante importanza politica e religiosa.
(8) M. MAFRICI, Mezzogiorno ... , cit., p. 84. V. anche pp. 204, 205, 222, 274, 314 e 315. R. MOROZZO DELLA ROCCA, Consuetudini ... , cit., p. 329.
(9) R. MOROZZO DELLA ROCCA, Consuetudini ... , cit., p. 334; a p. 336 ricorda: uno ligno armato contra imperatorem Grecorum, a p. 337: cursu contra Turcos.
(10) A lui si riferiscono diversi atti intorno al 1301, cfr. G. PO, Corsari ... , cit., p. 148.
(11) R. TRIFONE, Ricerche sugli usi marittimi del Regno di Napoli nella pratica degli antichi tribunali, in AA.VV., Atti ..., cit., vol. II. pp. 338-348, in particolare p. 342.
(12) F. BRAUDEL, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, voll. 2, Torino IV/1976, in particolare vol. I pp. 118-125.
(13) L'intervento di Alfonso nella Marca fu voluto dal pontefice, come risulta da Annotazioni ... , op. cit., p. 161. Per le azioni condotte dal re catalano cfr. ANTONIO DI NICCOLO', Cronaca ... , cit., in G. DE MINICIS, a c. di, Cronache ... , cit., pp. 4, 83, 88-89. Sembra che, nel corso del conflitto per la supremazia nella Marca, Francesco Sforza abbia tenuto a sua disposizione alcuni legni a Grottammare, paese natale del suo figlio illegittimo Sforza Secondo Sforza che, molti anni dopo, sarà messo a capo della flotta ducale milanese, di stanza a Genova. In proposito cfr. A. SILVESTRO-S. SILVESTRO, Sforza Secondo Sforza, un condottiero del '400 nato a Grottammare, Piceno, a. XIII, giu. 1989, n° 1, pp. 63-78.
(14) Per le ostilità tra Fermo e Civitanova cfr. Annotazioni e giunte alla Cronaca Fermana di Antonio di Niccolò, in G. DE MINICIS, a c. di, Cronache ... , cit., pp. 107-108. e G. P. MONTANI, Annali della Città di Fermo dall'anno 1446 sino al 1557, in G. DE MINICIS, a c. di, Cronche ... , cit., p. 184: tale concessione, ritenuta dai Fermani lesiva dei loro privilegi, fu da essi aspramente contrastata a Roma, in trattative con esponenti della Curia, e sul campo a Civitanova. Per la costruzione, o meglio il miglioramento di una struttura portuale già esistente, cfr. Regesta Firmana, in G. DE MINICIS, a c. di, Cronache ... , cit. p. 528 e i documenti dell'ASR citati da A. SILVESTRO in un lavoro di prossima pubblicazione su Cimbas.
(15) Sull'originalità e datazione di questi documenti, sulle analogie con similari norme di Venezia ed altre città marinare, sulla loro adozione a Fermo si è molto discusso: cfr. G. CAVEZZI, Le due geniture, Cimbas 1-2/1991-1992, pp. 2-22, in particolare p.8; Id., Gli Statuti di Trani, Cimbas n° 3/1992, pp. 1-6. Cfr. pure: L. VOLPICELLA, Gli antichi ordinamenti marittimi della città di Trani, Potenza 1852; J. M. PARDESSUS, Collection de lois maritimes antérieurs au XVIII siècle, voll. 6, Paris 1828-1845; S. LA SORSA, "La consuetudo maris di Trani", in Atti del IV congresso nazionale di arti e tradizioni popolari, Venezia sett. 1940, voll. 2, Roma 1941-1942; M. MURINO, Andar per mare nel Medioevo. Le antiche consuetudini marittime italiane, Chieti 1988, da cui stralciamo un passo a p. 56: degli ordinamenti di Trani "esistono oggi due edizioni, la prima del 1507 e la seconda del 1589 entrambe edite in aggiunta agli Statuti della Città di Fermo con il titolo: "Ordinamenti et consuetudo maris edita per consules civitatis Trani". Come mai gli ordinamenti marittimi pugliesi furon pubblicati in uno con gli statuti della città di Fermo, è ancora tutto da spiegare."
(16) Cfr. Statuti di Fermo, rubr. 86 - De la varea in che modo se debia fare; C. CIAVARINI, a c. di, Statuti della Dogana, rubb. I-XII, in Statuti Anconitani del mare, del terzenale e della dogana e patti con diverse Nazioni, vol. I, Ancona 1896, pp. 109-114.
(17) Cfr. C. CIAVARINI, a c. di, Statuti ... , cit., p.61: "Ciascuna nave che se partirà d'Ancona per andare fuora dal golfo se è da secento meste en su debia portare doi bombarde overo scoppi et dogiento verectoni per le dicte bombarde overo scoppi et diece balestre da staffa et doi migiara de boni verectoni, cinquecento lance, diece para de coraze, tre barcate de pietra et trenta pavesi. Et omni mercante sia tenuto de portare uno paro de armadure fornite et una balestra et uno pavese con cento verectoni, et omni marnaro d'Ancona sia tenuto de portare coraza goczale barbuta o cervelliera pavese spada o coltello. Et la menore nave porte armadura per rata de meste a la pena de vinticinque livere per ciascuno patrone et diece livere per ciascuno mercante, cento soldi per ciascuno marnaro che contrafacesse".
(18) Cfr. C. CIAVARINI, Statuti ... , cit., Pacti di Catalani col Comune de Ancona (1399), pp. 263-266.
(19) V. LAUDADIO, Gli Statuti di Spalato, Cimbas 4/1993, pp. 14-16. Si tratta di norme di vario genere, contenute nel volume citato a n. 3, a c. di A. CVITANIC, che raccoglie lo Statutum vetus del 1312, gli Statuta nova del 1333, le Reformationes del 1332-1384 e gli Additamenta del 1320, del 1491 e del 1507. A. PERTUSI, Per la storia di Dulcigno nei secoli XIV-XV e dei suoi statuti cittadini, in FONDAZIONE GIORGIO CINI, a c. di, Studi Veneziani XV-1973, Firenze 1975, pp. 213-272. Cfr. anche: H. ULQINI, Aspetti della pirateria nel litorale albanese dell'Adriatico (1096-1821), Cimbas 8/1995, pp. 4-20.
(20) Cfr. L. BERNABEI, Cronache anconitane, in C. CIAVARINI, a c. di, Collezione di documenti storici antichi inediti ed editi rari delle città e terre marchigiane, voll. 5, Ancona 1870-1884, in particolare vol. I, pp. 198-200. (21) Come risulta da un testo conservato nella biblioteca comunale di Ripatransone, (Io. Francisci de Pont. de Potest. Proreg.).
(22) In genere i rapporti tra Ancona e Fermo sono ostili. Non mancano però testimonianze su episodi di collaborazione tra i rispettivi cittadini, cfr. L. BERNABEI, Cronache anconitane, in C. CIAVARINI, a c. di, Collezione ... , cit., cfr. vol. I, p. 111; ANTONIO DI NICCOLO', Cronaca ... , in G. DE MINICIS, a c. di, Cronache ... pp. 6, 10, 44, 45 e 123. Da ricordare, in particolare, il patto di Polverigi, riportato nell'Appendice del testo curato da G. De Minicis, più volte citato, pp. 536-538 ("1202 - Concordia stipulata in Polverigi fra il comune di Fermo con vari castelli del suo contado, Osimo, e Iesi da una; gli Anconitani con i loro collegati, ed i Pesaresi dall'altra"). Un accordo del 1505 è invece reperibile in C. CIAVARINI, Statuti ... , cit., rubr. XII - Ordine per le Mercantie de' Marchigiani (1505) , p. 276. Per le ostilità tra Recanatesi e Fermani contro gli Anconitani che, nel 1496, misero in pericolo l'apertura della fiera di Ancona, v. L. BERNABEI, Cronache ... , cit., in C. CIAVARINI, a c. di, Collezione ... , cit., pp 214-216. Nel volume curato da G. de Minicis abbiamo un'altra testimonianza, a p. 212: "1472 ... Ancona ottenne la fiera dal Papa del mese d'agosto, e la città vedendo che la voleva fare, fece lega con Recanati, con Conte d'Urbino signor di Pesaro e messe gente per impedirla, ma il Legato con le pene fece restare, per Roma fu procurata". Per le ostilità tra Ancona e Venezia cfr.: AA.VV, Ancona Repubblica marinara. Federico Barbarossa e le Marche, Atti del convegno di studi storici, Ancona 19-20 aprile 1969, a cura della Deputazione di Storia Patria per le Marche; AA. VV., Ancona e le Marche nel Cinquecento, Ancona 1982, passim e pp. 121 e 150-151. Saltuariamente, tra Ancona e Venezia vengono firmati dei patti come, ad esempio, quelli riportati a pp. 233-238 del testo sugli Statuti curato da Ciavarini. Per le relazioni intercorse tra Venezia e le comunità marchigiane è sempre di utile consultazione G. LUZZATTO, I più antichi trattati tra Venezia e le città marchigiane, Nuovo Archivio Veneto, nuova serie XI, Venezia 1906, pp. 1-95.
(23) Cfr. Annali di Fermo d'autore anonimo dall'anno 1445 sino al 1557, in G. DE MINICIS, Cronache ... , cit., pp. 214 e 241: "1479 Maometto Gran Turco fece un'armata e la messe ad infestare nel mare Adriatico, mentre lui per terra cacciava di stato li Signori de Macedonia ed Albania, che la città bisognò mettesse presidio in tutte le terre della marina; e il Papa ci mandò cinquanta cavalli che per tutto lo stato si lasciò sempre vedere e anco a predare per la riviera della Marca (...) 1480 (...) Cominciò poi l'armata turchesca come l'anno passato, ma peggio fu del mese d'Agosto che tragettò gran numero di gente ed assediò Otranto nel Regno di Napoli e la prese. Nel detto mese ci mise tanto spavento in tutta Italia che tutti pensavano al scampo loro. Il Papa fece generale il conte d'Urbino e lo mandò nelle nostre marine con cavalleria e fanteria (...) 1481 La presa de Otranto, sì fattamente spaventò Italia che tutti si misero a fortificare li loro lochi, e la città fece diversi consigli di volere redificare il Girone, e risolse dimandare licenza al Papa; fecero diverse provesione che misero nella città e porto, e soldati levati dalle castelle de Menzina e Montagna (...)" ; "1504 (...) La città tenne soldati alla marina per guardia de' Turchi che con grossa armata era entrata nel golfo contro Veneziani, e anco per guardia della peste che in assai luoghi della Marca se faceva sentire".
(24) Va tenuto presente che, con le artiglierie navali dell'epoca fissate alla coperta e non brandeggiabili, era impossibile sparare contro obiettivi posti in alto. Quindi le fortificazioni a rischio erano solo quelle poste sul litorale, a meno che gli assalitori non disponessero di cannoni da sbarco.
(25) Cfr.: ASR, Commissariato soldatesche e galere, bb. 3-9; ASAN, Manoscritto Ferretti LI (verrà trascritto in uno dei prossimi numeri di Cimbas). Per altra documentazione v. la relazione di Giulio Cesare Grillo, conservata a Roma presso la biblioteca dell'Istituto di cultura del Genio, e la relazione di Mons. d'Aste presso la Biblioteca Casanatense.
(26) In proposito cfr. G. P. MONTANI, Annali ... , in G. DE MINICIS, a c. di, Cronache ... , cit., pp. 182, 183, 185, 186, 243, 259, 263 e 268. Va ricordato che i reggitori di Fermo ricordano con orgoglio di aver spesso partecipato a guerre contro i Turchi ed offerto saldo sostegno a Roma in circostanze difficili (cfr. ASR, Commissariato generale R.C.A., b. 527, Firmana Concessionum, Veneris 12 Januarii 1770).
(27) Ci si riferisce ai Registri dei Consigli di Ripatransone; alle Lettere Spedite, ai Libri dei Malefici ed ai Libri delle Cernite del Marini di Fermo.
(28) Arch. Com. Ripatransone, Registri dei Consigli, vol. 8, p. 103.
(29) Cfr. L. BERNABEI, Croniche ... , in C. CIAVARINI, a c. di, Collezione ... , cit. p. 195.
(30) SASF, Lettere spedite c. 166v.
(31) SASF, Libro Cernite Marini, c. 414r.
(32) SASF, Libro Cernite Marini, c. 415r.
(33) SASF, Libro Cernite Marini, c. 103v.
(34) SASF, Libro Cernite Marini, cc. 104r, 105r.
(35) SASF, Libro Cernite Marini, c. 104v.
(36) SASF, Libro Cernite Marini, c. 106v.
(37) SASF, Libro Cernite Marini, c. 108r.
(38) SASF, Libro Cernite Marini, c. 108v.
(39) SASF, Libro Cernite Marini, c. 108v.
(40) SASF, Libro Cernite Marini, c. 111r.
(41) SASF, Libro Cernite Marini, c. 110v.
(42) SASF, Libro Cernite Marini, c. 246v.
(43) SASF, Libro Cernite Marini, c. 257r.
(44) SASF, Libro Cernite Marini, cc. 257r e v.
(45) SASF, Regestum Litterarum 1570/1573 cc. 1r e v, cfr. G. CAVEZZI, L'estrazione delle granaglie dai porti adriatici della Marca meridionale alla fine del XVI secolo, Cimbas 11/1996, p. 6.
(46) SASF, Lettere spedite 1576.
(47) Arch. Com. Ripatransone, Registri dei Consigli, pp. 136 e 280.
(48) Arch. Com. Ripatransone, alla data del 6.6.1675.
(49) In proposito cfr. G. P. MONTANI, Cronache ... , cit., in G. DE MINICIS, a c. di, Cronache ... , cit., pp. 182, 183, 185 e 186
. (50) Per cenni ad azioni di predatori, in Adriatico ed in varie epoche, si rimanda al volume dell'ISTITUTO DI RICERCA DELLE FONTI PER LA STORIA DELLA CIVILTA' MARINARA PICENA, Atti del 1° Seminario sulle Fonti per la Storia della Civiltà Marinara Picena, Ripatransone 1997 e, in particolare a p. 302 (G. RONGONI, Porto San Giorgio 1729: il tumulto per l'imbarco dei grani, pp. 301-310), a pp. 328, 329 e 333 (L. CIOTTI, Fonti per la marineria picena nei documenti dell'Archivio di Stato di Ascoli, pp. 321-339), a pp. 355-367 (A. ELEUTERI, Un episodio di cattura da parte dei "Corsari Turchi" in uno "Stato d'anime" del 1685 dell'Archivio storico parrocchiale di Civitanova Marche (Macerata), pp. 355-364), che si può collegare a quanto esposto, a proposito di analoga incursione effettuata l'anno prima a San Benedetto del Tronto, da G. CAVEZZI-U. MARINANGELI, Il secolo XVIII, ovvero della rivoluzione nella pesca picena, Cimbas 9/1995.
(51) ANTONIO DI NICCOLO', Cronaca ... , in G. DE MINICIS, a c. di, Cronache, cit. p. 21.
(52) L. BERNABEI, Cronache ... , in C. CIAVARINI, a c. di, ollezione ... , cit., pp. 165-166.
(53) L. BERNABEI, Cronache ... , in C. CIAVARINI, a c. di, Collezione ... , cit., pp. 192-193.
(54) SASF, Lettere Spedite, xxvii aprile 1487, c. 142.
(55) L. BERNABEI, Cronache ... , in C. CIAVARINI, a c. di, Collezione ... , cit., pp. 208-210.
(56) G. P. MONTANI, Annali ... , cit., p. 189.
(57) Regesta Firmana, in G. DE MINICIS, a c. di, Cronache ... , op. cit.: "1262. 281. IADRA Instrumentum mandati procurae, facti per universitatem et communa Iadrae, in personam Iohannis de Cernuco (sic) civis dicti loci ad, nomine ipsius communis, ratificandam et ratificari faciendam pacem eidem communi Firmi per dominum Micham sindicum dicti communis Iadrae, sindico et communi civitatis Firmanae factam, occasione cuiusdam combustionis navis Mathei Buiae, et aliorum damnorum receptorum ab hominibus communis Firmi; sub anno Domini 1262; rogato Marco Pistello notario" (p. 425);
"1263. 289 IADRA ET FIRMUM Instrumentum ratificationis et approbationis pacis et concordiae, olim factae per dominum Micham sindicum et ambasciatorem communis Iadrae, de combustione navis Matthei Buge, ac de damnis habitis et receptis ab eodem, ac etiam de morte secuta quondam Andreae civis Iadrae, sindico commuis Firmi, nomine et vice dicti commnis, ac demum rattificatae per dominum Iohannem de Carnico (sic), civem Iadrae et procuratorem dictae civitatis, ac etiam domini Friderici Iustiniani; prout de ratificatione huiusmodi latius constat in supradicto instrumento, facto sub anno Domini 1263; rogato Nicolicto Benvenuti" (p. 427);
"1264. 292 FIRMUM Privilegium exemptionis, factae per Manfredum Sicilia Regem hominibus et mercatoribus civitatis Firmanae, ut possint intrare regnum cum rebus et mercimoniis suis et exercere mercaturam, et ab inde, per mare et per terram, redire ad civitatem cum dictis rebus absque nullo onere, datio et gabella; datum sub anno Domini 1264, regni eius anno septimo" (p. 428);
"1265. 297. Firmum, seu Ancona Instrumentum mandati procurae, facti per universitatem, commune et homines civitatis Anconae, in personam Lucae laurentii de Ancona ad, dicti communis nomine, faciendo sindico communis Firmi, et pro eo hominibus dictae civitatis Firmi finem, qiuetationem et pactum de ulterius non petendo librarum DC, quas dictum commune Firmi tenebatur dare hominibus et civitati Anconae, pro restauratione quarundam bestiarum, mercatoribus Anconitanis prope Portum Sancti Georgii, in riva et districtu Firmi, ablatarum; prout latius in dicto quietationis instrumento; factum sub anno Domini 1265; rogato Iohanne de Capitellis notario" (p. 429);
(58) SASF, Libro dei Malefici., c. 79r.
(60) ASAP, Archivio anzianale, pergamena.
(61) SASF, Lettere spedite, VIII Luglio 1491, c. senza numero.
(62) SASF, Lettere spedite 2.7.1492, c. 163v e ss. In altra lettera indirizzata a Venezia, che ha fatto delle rimostranze, si legge: "(...) havete informatione come in lo estremo di septembre fo presso al porto de San Lepidio de nostra è presa una barcha dove erano armi et alcune altre robbe de mercantia e spetiaria da alcuni del nostro castel del Porto li quali in numero circha venti si la hanno in fra loro partite et trablazate. Queste erano di uno merciario lombardo che sta continuo in Ascoli e di un Niccolò de Ser Marino di Montelparo il quale ha tolto donna di Asculo, lì fa la spetiaria et habita. La preda è stata iusta et de comessione generale de Mons. el Locotenente ..."(cfr. SASF, Lettere spedite post c. 163v).
(60) Arch. arcivescovile di Spalato, Inventario del 13.10.1841 Ignatius L. B. de Reinhart, IV 124 (ante 1230), n° Inventario 671 n° 8 (Pirati di Almissa), segnalazione del prof. Slavko Kovacic a proposito della persistenza fino al '700 della tradizione di effettuare processioni di ringraziamento per il cessato pericolo, in occasione della ricorrenza dell'evento citato.
(63) SASF, Lettere spedite, cc. 104v-107r.
(64) SASF, Libro Cernite Marini, c. 106v.
(65) SASF, Cernite e bastardelli, vol. 45 (1551-1552), c. 1090v ss.
(66) SASF, Cernite e bastardelli, vol. 46 (1532-153), c. 306.
(67) SASF, ib., c. 108.
(68) SASF, Libri dei malefici, c. 121v-122r.
(69) Bibl. Com. di Jesi, fondo Azzolino, b. 235.
(70) Si citano soltanto: S. PAGANO, L'Archivio dell'Arciconfraternita del Gonfalone. Cenni storici e inventario, Città del Vaticano 1990, testo di grande utilità per indirizzare ricerche in tale settore; V. PAGLIA, "La Pietà dei Carcerati". Confraternite e società a Roma nei secoli XVI-XVIII, Roma 1980. Grosse somme venivano impiegate per il riscatto degli schiavi, come risulta da un carteggio conservato all'ASR, Commissariato R.C.A., b. 472, cc. 965-970: il Vicario Generale della Provincia d'Italia e Sicilia del Real Ordine della Madonna della Mercede, a fine '600, fa presente di avere a disposizione 40.000-50.000 scudi e chiede che gli si concedano anche i fondi giacenti presso la SS.ma Trinità dei Pellegrini di Roma (20.000 scudi circa) e presso l'Arciconfraternita del Gonfalone (3213 scudi).
(71) SASF, Libro Cernite Marini, c. 115r.
(72) Cfr. in merito: W.H. RUDT DE COLLEMBERG, Esclavage et rançons des chrétiens en Méditerranée (1570-1600), Paris 1987, ricco di notizie interessantissime. L'autore rivendica a sé il vanto di avere per primo studiato tali carte, ma già quarant'anni prima altro studioso (M. Mercati) aveva trattato la materia. A seguito della consultazione diretta di una piccola parte dei fondi citati da questi autori è emerso che, purtroppo, poche notizie particolareggiate sulle modalità della cattura di individui provenienti dal Piceno sono desumibili da tali incartamenti.
(73) M. GABRIELE, Presentazione del Seminario, in ISTITUTO DI RICERCA DELLE FONTI PER LA STORIA DELLA MARINERIA PICENA, Atti ... , cit., p. 26.


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