Robert MERLE, L’Idole, Editions de Fallois 1994

(testo in francese)
RECENSIONE
(Cimbas 27/2004)


E’ un romanzo che potrebbe definirsi storico, perché ispirato a un famoso fatto di cronaca del secolo XVI, oggetto dell’attenzione di molti autori, in parte ricordati da Domenico Gnoli nella sua Vittoria Accoramboni ormai datata: è del 1890. Ovviamente la storia e la fantasia in questi casi sono sempre mescolati a piacere di chi scrive: cercheremo di mettere un po’ d’ordine alla ricostruzione che ne fa Merle.
Tuttavia è privo delle specifiche caratteristiche di opere analoghe, perché il filo della narrazione è affidato alle esternazioni di 20 dei personaggi della vicenda che, a turno, raccontano i loro ricordi in ordine cronologico e permettono così di ricostruire il susseguirsi dei fatti.
L’argomento, trattato da molti storici, biografi di Sisto V, drammaturghi e romanzieri, è noto. Vittoria Accoramboni sposa Francesco Peretti, nipote di Sisto V ma, dopo sei-sette anni dalla data del matrimonio, incontra il duca Paolo Giordano Orsini e se ne innamora follemente, ricambiata. Ne seguono l’uccisione di Francesco, la caduta in disgrazia del duca, il matrimonio tra i due, il loro esilio d’opportunismo nei domini veneti, la morte naturale di Paolo Giordano e quella violenta di Vittoria, con conseguenze tragiche per amici e parenti di Vittoria, del duca e dei banditi assoldati da Ludovico e Virginio Orsini.
Gli aspetti sui quali Merle insiste maggiormente sono l’ambizione e la mancanza di scrupoli di Tarquinia, madre di Vittoria, che cerca di mettere a frutto la bellezza della figlia per combinare un matrimonio prestigioso; la moderazione del padre di Vittoria che, inutilmente, cerca di frenare la moglie; la discrezione di Sisto V che non si abbandona alla vendetta e fino all’ultimo nutre rispettoso affetto per Vittoria; la tracotanza del duca di Bracciano; l’equivoco ed infame comportamento di Marcello, fratello di Vittoria; la precarietà e l’insicurezza della vita quotidiana a Roma e in tutto lo stato pontificio sotto Gregorio XIII per le prepotenze ed i delitti commessi impunemente dai banditi e dai patrizi che li proteggevano. Nella narrazione l’autore, che si sofferma a lungo a frugare nella personalità e nella psicologia delle sue creature, ci presenta una Vittoria dotata d’ogni pregio e d’ogni perfezione: è un’eroina bellissima, coltissima, onestissima. E’ un idolo da ammirare e venerare. Purtroppo s’innamora di Paolo Giordano e viene portata alla rovina dal suo amore.
Ricordiamo solo alcune delle “libertà” prese dall’autore:
- il padre di Vittoria è Bernardo, un fabbricante di maioliche eugubino, senza alcun titolo di nobiltà, portato alla rovina dalla dissipazione della moglie, mentre quello reale era Claudio, studioso di leggi, uomo d’armi e funzionario dello stato. Egli, o un suo omonimo, nel 1571 era imbarcato sulla galera capitana del Papa. In realtà la famiglia Accoramboni, proveniente da Tolentino aveva una nobiltà, anche se non bene accertata alle origini;
- Vittoria e Marcello non erano gemelli;
- nel romanzo Marcello, dopo il delitto, si ravvede e depone le armi. Sposatosi con l’attempata amante, si stabilisce a Padova, collabora con Sisto V, che lo grazia, e apre una fabbrica di maioliche. Tutto diverso da ciò che avvenne: fu decapitato due anni dopo la strage di Padova.
- Caterina, la cameriera di Vittoria, i realtà è bolognese, non ha il cognome Acquaviva e non è figlia di un pescatore di Grottammare né, tanto meno, sorella del bandito “il Mancino”;
- dopo l’assassinio di Francesco Vittoria viene imprigionata a Castel S. Angelo. Nel romanzo, invece, soggiorna forzatamente in un castello a S. Maria, posto su una costa rocciosa. In una notte di tempesta viene raggiunta da Paolo Giordano e da Marcello, arrivati con la galea ducale, imbarcatisi su una barchetta e naufragati sugli scogli;
- nella realtà Paolo Giordano, quando incontra Vittoria, ha cinquant’anni ed è obeso. Nel romanzo, invece, sembra ancora giovane e di bell’aspetto: solo più tardi decadrà fisicamente;
- Grottammare viene ricordata più volte come patria di Sisto V e anche della famiglia di Caterina Acquaviva; come paese attaccato alle tradizioni ed ostile alle novità: Caterina, belloccia, elegante e sfrontata per il suo comportamento di persona abituata a vivere nella capitale, a stretto contatto dell’aristocrazia, viene considerata una donna di dubbia moralità;
- spesso viene ricordato il glorioso passato di Paolo Giordano come marinaio, comandante di galere e generalissimo al servizio di Venezia. Ai suoi successi sui pirati si attribuisce l’origine di buona parte delle sue ricchezze. Combatté a Lepanto e fu ferito ad una coscia da una freccia. In punto di morte si lascia andare a tristi considerazioni: «La gloria, che vano rumore! Ah, Vittoria, io non dovrei dirtelo ma, tra dieci anni, chi si ricorderà che il principe ha combattuto tanto valorosamente alla battaglia di Lepanto? E tra cent’anni, chi si ricorderà di Lepanto?» (trad. del recensore)

Ovviamente l’autore in questo caso è stato un po’ troppo pessimista, perché di Lepanto, e non solo qui, ce se n’occupa ancora. Basti pensare che proprio l’Orsini è uno dei protagonisti di questo libro che, sebbene ricco di situazioni non rispondenti alla realtà, è avvincente e di piacevole lettura. Per di più, tra Musone e Tronto molti ricercatori si danno da fare per trovare notizie sulla partecipazione di marinai e fanti marchigiani alla famosa battaglia.
Due parole, infine sull’autore, deceduto il 27 marzo 2004 a Parigi, all’età di 95 anni. E’ stato un autore prolifico – animato sempre da uno spiccato pacifismo - che ha avuto successo nel 1949, dopo la contrastata pubblicazione di un libro sulla disfatta di Dunkerque (Week-end à Zuydcoote), che vinse il prestigioso premio Goncourt e da cui fu ricavato un film con protagonista l’allora giovanissimo Jean-Paul Belmondo. Ha scritto molti romanzi e molti saggi storici, ricavandone buoni guadagni. Nel 2003 gli fu assegnato il premio Jean Giono.

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