Si riferiscono alcune notizie sommarie, desunte da vari testi, a proposito degli abitanti del Fermano e dell'Ascolano che hanno dovuto regolare i conti con la giustizia nel XIX secolo.
Si ritiene utile premettere degli stralci dal volume "Mastro Titta, le memorie del boia di Roma", che c'intrattengono sulla duplice ferocia di certe pene, come lo squartamento dopo l'impiccagione, e sull'interesse morboso della folla che assisteva ai supplizi.
- «Il 30 Marzo del 1805 dovetti recarmi a Fermo, l'antica capitale delle Marche, per impiccarvi un giovane di buona famiglia che aveva commesso un assassinio e uno stupro: l'assassinio in persona del padre dell'ex sua promessa sposa, lo stupro in persona di lei medesima. Luigi Masi era il suo nome.»;
- «Una mattina di dicembre fredda ma bella, entrava in una osteria di Porto Recanati un uomo (...) L'esecuzione fu una delle più famose che io abbia operato. Accorsero per assistervi una folla immensa da tutti i paesi delle Marche, non solo, ma anco da Roma, attratti dalla fama del brigante, dai particolari dell'audacissima grassazione e dal fatto che ne era stato vittima un corriere del papa, il quale accompagnava un personaggio di qualità ed importanza, come il conte di Lavello.» (si tratta di Paolo Salvati, impiccato e squartato a Macerata l'11.12.1805);
- «L'anno 1817 lo inaugurai, il 20 gennaio, decapitando per la prima volta in provincia con la ghigliottina, a Macerata, l'uxoricida Saverio Gattofoni. Da Pusolo, da Recanati, da Civitanova e da tutti i paesi circonvicini era accorsa una folla immensa, per assistere al nuovo spettacolo, intorno al quale si sono diffuse le più strane dicerie.» D'ora in avanti, per procedere più velocemente, riporteremo solo le notizie essenziali relative al condannato ed al suo delitto, tratte dal medesimo volume:
- «n. 39 - Domenico Zeri, mazzolato e scannato in Fermo, lì 3.4.1802, per avere ucciso il padre (...)
- n. 78 - Luigi Masi (già citato), impiccato a Fermo lì 30.3.1805, per avere sverginata una zitella, datole diversi colpi ed ucciso il padre della suddetta (...)
- n. 218 - Gio. Batta Clementi di Giuseppe, da Rotella nella delegazione di Ascoli, decapitato al Popolo per omicidio e ferite qualificate lì 27.1.1821 (...)
- n. 237 - Antonio Capriotti, decapitato a Fermo per omicidio volontario e grassazione, lì 10.7.1826 (...)
- n. 284 - Antonio Ascolani, reo di omicidio nella persona del zio, decapitato in San Benedetto, diocesi di Fermo, lì 23.10.1830 (…, maggiori notizie su questo delitto sono fornite dal Liburdi)
- n. 311 - Geltrude Pellegrini di Monteguidone per parricidio in persona del proprio marito, decapitata in via dei Cerchi lì 9.1.1838 (...)
- n. 367 - Luigi Soragna di anni 24 da Fermo, reo per avere ucciso un prete, decapitato infermo (...)
- n. 394 - Nicola Ciarrocca di Massignano di anni 27, reo di omicidio deliberato in persona di una zitella da lui incinta prima di matrimonio, decapitato in Massignano su li 30.10.1845 (...)
- Gaetano Pettinelli - del fu Giovanni di Monteleone di Fermo, di anni 34, muratore, per omicidio per spirito di parte, decapitato in via dei Cerchi lì 27.9.2852 (...) - nn. 419, 420, 421(... omissis ...) Ignazio Mancini, di anni 30 di Ascoli, ex finanziere, tutti e tre per omicidio(...) commessi per ordine del crudelissimo Zambianchi capitano dei finanzieri (...) condannati al taglio della testa lì 24.1.1854 a Cerchi e morti impenitenti recando scandalo con bestemmie continuate.»
Le sentenze eseguite dal Bugatti (Mastro Titta) assommano a 516, quelle dal successore Balducci a 13. Sul totale di 529 condannati sono soltanto 10 gli abitanti della "nostra" zona caduti per mano del carnefice, a meno di omissioni dovute a mancanza d'indicazioni relative a qualcuno dei giustiziati. A parte qualche imprecisione e qualche strafalcione, le crude note del boia (o di chi scrive per lui) vanno additate e considerate per il distaccato tono professionale adottato nel riferire i delitti commessi e le pene comminate, contrastanti con le annotazioni dell'uomo timorato di Dio, scandalizzato dalle bestemmie del Mancini e dei suoi compagni.
Si passa ora ad una pubblicazione dell'Istituto per la Storia del Risorgimento, relativa agli inquisiti per la rivoluzione del 1849. Qui sono citati i nominativi di alcuni grottammaresi e precisamente:
«- Giuseppe Marconi (anni 41). Pasticcere, arrestato il 3.5.1850 per estorsione di denaro con minacciate ed eseguite violente requisizioni di carrozze del card. della Genga per la somma di lire 3150, condannato il 18.8.1851, per un anno all'opera pubblica (...) - Carlo Fabbi (anni 28) ex finanziere, arrestato il 21.8.1849 per massacro in San Calisto, rilasciato il 7.2.1851 (...). - Giuseppe Lausdei (anni 35) ex finanziere arrestato il 7.7.1849 per massacro in San Calisto, rilasciato il 15.11.1810 (...). - Salvatore Brandi (anni 24) arrestato il 10.7.1850 per massacro in San Calisto - ex finanziere - e per sottrazione di effetti e carte scritte. Il processo alla difesa.»
Va rilevato che tre dei quattro inquisiti appartengono al corpo dei finanzieri. Inoltre anche Ignazio Mancini, giustiziato da mastro Titta e bestemmiatore in punto di morte, era un ex finanziere. In proposito vale la pena di ricordare quanto Giuliano Innamorati scrive nella prefazione alla "Storia di Perugia dalle origini al 1860" di Luigi Bonazzi. «l giovane (Bonazzi) (...) più si compromise in Ascoli nel seguente 1831, col prendere parte alle agitazioni rivoluzionarie - ecco il 1831, ecco il mio sonetto a Sercognani (...) ed ecco la mia fuga per la montagna dell'Ascensione -(...)
Abbandonato l'insegnamento, si illuse di fare più rapida carriera accettando l'offerta d'entrare nel corpo dei finanzieri (...) nel '33 (...) gli fu promosso contro un processo politico.
Protetto dai mazziniani che avevano molti adepti nella finanza pontificia fu trasferito ad Ancona, dove fu accolto dalle autorità come pericoloso rivoluzionario.»
Viene inoltre citata una lettera anonima spedita il 26.7.1857 da "un amico dell'ordine" al Sig. Maggiore Austriaco, dove è scritto: «il 15.8 p.v. è designato dalla Fazione per tentare l'ultimo colpo alla società tremebonda (...) Niuna fede sulle milizie papaline, chi assevera altrimenti è imbecille è e fazioso (...) Sorvegliate i gendarmi avanzo dei garibaldesi, onta dell'Arma, obbrobrio dell'Istituto. Non perdete di vista la sempre infame Finanza.»
Tra gl'imputati registrati nel libro compaiono diversi marchigiani: di Civitanova Guglielmo Granacci (a. 36), milite; di Marano, Domenico Bagalini (a. 28), fabbricante di barche; di Porto S. Giorgio, Filippo Trevisani (a. 59) possidente; di S. Benedetto Salvatore Palestrini; di Montedinove, Vincenzo e Felice Celi; di Montalto Aldebrando Mattei e Luigi Sacconi (a. 34); di S. Elpidio, Antonio Offidani (a. 28) dragone, e Gio. Battista Pupilli (a. 44); di Porto di Fermo, Erasmo Verdinelli (a. 38) calzolaio, e Gennaro Mandolini (a. 33) sarto; di Force, quattro membri della famiglia Teodori e Melchiorre Carretti (a.26).
Inoltre, 20 individui di Fermo; 5 di Ascoli, tra cui Ignazio Mancini; 6 di Arquata; 1 di Acquasanta; 1 di Montegallo; 2 di Amandola; 1 di Monte Fortino; 1 di Falerone; 2 di Monte Rubbiano. In totale 59 persone del Fermano e dell'Ascolano su un totale di 3223 inquisiti, una percentuale irrisoria.
E' opportuno ricordare che, in passato, Grottammare aveva le sue prigioni dove venivano rinchiusi anche i condannati della vicina San Benedetto, sprovvista di carceri adeguate. Inizialmente erano poste nel vecchio incasato, al disotto del teatro dell'Arancio. Nel XIX secolo venne eretto un carcere in via S. Pio V (ora via Cairoli) dove, tra l'altro, fu ospitata parte dei papalini catturati a Marano dai Cacciatori del Tronto dopo la battaglia di Castelfidardo. Il fabbricato è stato demolito alcuni decenni fa.
In due decreti emessi il 10 gennaio 1861 dal commissario governativo Lorenzo Valerio, contraddistinti dai numeri 784 e 785, si trova una labile traccia delle prigioni grottesi: «annullandosi la nomina di Semessi Matteo a custode delle carceri di Gubbio, viene il medesimo nominato custode di quelle di Pesaro e Bertolla Giosuè f.f. di custode delle carceri di Grottammare è nominato secondo effettivo a Fermo.»
La prigione di Grottammare viene anche citata in un libretto (o libercolo?) apparso nel lontano 1872 a Torino, opera di autore ignoto, forse appartenente alla cerchia dei sostenitori del cessato potere ecclesiastico, dato che vi compaiono più volte lodi dell'amministrazione pontificia della giustizia. S'intitola "Storia dei ladri del Regno d'Italia" ed è stato ripubblicato nel 1993 a Genzano da Giovanni Ventucci, libraio-editore.
In questo volume, tra l'altro, si fa cenno degli ammanchi di cassa in Italia dal giugno 1862 al 10 dicembre 1865, che non risparmiano le province marchigiane (Ancona, Macerata, Camerino, Pesaro e Urbino, Fermo e Ascoli Piceno); della popolazione del Regno d'Italia in prigione od in galera, e spese relative; dei reati comuni commessi tra il 1860 ed il 1870.
In particolare si ricorda che «nel 1862-63-64-65 i prigionieri fuggirono dalle carceri giudiziarie di Salerno (omissis) Grottamare d'Ascoli. (omissis). Il totale degli evasi dalle sole carceri giudiziarie nei quattro anni suddetti fu di 890! Ed inoltre quasi trecento galeotti in pochi anni tornarono a respirare le libere aure del liberatissimo Regno d'Italia, e fuggirono dalla galera 67 nel 1861, 41 nel 1862, 53 nel 1863, 62 nel 1864, 60 nel 1865.»
Lo scrittore è sdegnato soprattutto per la discordanza tra le parole del sovrano e la realtà. Muovendo alla conquista Vittorio Emanuele II aveva esclamato: «Soldati! voi entrate nelle Marche e nell'Umbria per ristaurare l'ordine civile nelle desolate città. Sì, ho un'ambizione, ed è quella di ristaurare i principii dell'ordine morale in Italia». Ma l'autore osserva che «i soldati entrarono, sì, nelle Marche e nell'Umbria, entrarono in Napoli, entrarono perfino nella Venezia, ciò che parea follia lo sperar, però quanto ai principii dell'ordine morale restarono come prima e peggio di prima. Si continuò a rubare, si progredì rubando e peggio di prima.»
Parole ancor oggi degne di considerazione!
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