Appunti per una storia della marineria picena dell'800
Disservizi portuali a Grottammare, emigrazione di pescatori a San Benedetto

(bozza preparata per Proposte e Ricerche ma pubblicata in due articoli diversi e indipendenti in Cimbas)

1. Premessa
Il commercio estero dello Stato Pontificio nell'800 si svolge principalmente per via marittima ed è accentrato nei due poli di Ancona e Civitavecchia, collegati ad una rete intercorrelata di scali sussidiari.(1)
In tale quadro anche le spiagge del I Circondario dell'Adriatico, sabbiose ed indifese, assumono una discreta valenza nel ciclo pulsante di introduzioni/estrazioni originato dal traffico di piccolo cabotaggio.
Al mantenimento delle infrastrutture dei porti i governanti, consapevoli che all'efficienza dei terminali è legata l'operatività del sistema, dedicano cure e finanziamenti in misura maggiore che agli uffici portuali e doganali marittimi. Gli interventi, comunque, non sempre tengono conto della globalità dei fattori in gioco e non eliminano i numerosi mali che, viziosamente interconnessi, affliggono la marina mercantile pontificia e non le consentono di partecipare in misura adeguata al movimento commerciale. Perciò gli armatori cercano di disfarsi delle navi, vendendole anche all'estero; il governo proibisce le vendite; le navi si fermano e gli equipaggi vengono messi a terra; i marinai per sopravvivere cercano imbarco fuori della patria; il governo tenta di impedire l'espatrio; i cantieri nazionali non costruiscono navi nuove in sostituzione di quelle disarmate; la pesca langue per la concorrenza esercitata dagli stranieri autorizzati a pescare nelle acque dello Stato Romano.
Tra il 1820 ed il 1830 nel Fermano si verificano due episodi che, seppure di natura diversa, trovano appropriata collocazione nell'accennato stato di profonda crisi della marineria pontificia.

2. Gli abusi commessi a Grottammare dai conduttori delle barche terriere a danno del commercio
2.a - Cronistoria dei fatti

Nei porti del 1° Circondario dell'Adriatico, retti da Luogotenenti di porto di 2^ classe e soggetti anche a funzionari della sanità e della dogana, il carico e lo scarico delle merci dalle navi ai magazzini, e viceversa, avvengono necessariamente mediante natanti – denominati bracciere, terriere o libi - per coprire il tratto di mare tra il bastimento ormeggiato e la riva.(2)
Tale servizio, in uso anche in altre località al di fuori della zona in esame, proprio nel Piceno da' luogo a diversi abusi, tra i quali ricordiamo i più ricorrenti: l'assenteismo e la rissosità dei facchini, la frode nella misurazione dei quantitativi movimentati ed il disservizio creato dall'incertezza delle prestazioni.
Nel marzo 1823 il governatore della dogana di Grottammare, Nicola Fenili, fa presente al Camerlengo che "per la caricazione dei Generi Nostrali sopra le Barche che si presentano alla Spiaggia occorrono le Bracciere per il trasporto delli ridetti generi. Li Uomini che sono addetti alle medeme come Direttori si formano a talento delle Leggi sia col ricusarsi alla Caricazione, sia col mettere a contribuzione li Direttori delle Barche, che approdano alla spiaggia per caricare, sia in fine con mendicati pretesti per non ultimare il trasporto. Cose tutte, che da me non si possono rimuovere perché mancante di Leggi, che sopprimer possano il dispotismo, che cerca di sollevarsi".(3) Per sanare la situazione suggerisce che vengano approvate la costruzione e la gestione di 3 bracciere a carico dello Stato.
L'Ispettore Valentini effettua un sopraluogo e conferma l'esistenza dei disservizi. Per eliminarli propone di:
- stabilire un ruolo delle bracciere e fissarne gli equipaggi (5 marinai ciascuna) e le tariffe;
- istituire un ruolo di facchini, alle dipendenze di un caporale e di un vice-caporale, tutti obbligati a portare una piastrina di riconoscimento e dotati di 3 sacchi di loro proprietà, opportunamente contrassegnati;
- consegnare ad ogni misuratore una coppa di misura esatta, senza alcun "tassello o tappo nel fondo", da bollare ogni anno a Fermo e da conservare nel magazzino doganale al termine dell'operazione;
- punire con l'arresto i facchini e i misuratori infedeli o insubordinati;
- incaricare della sorveglianza del personale addetto alle operazioni le autorità presenti nel settore portuale: governatore doganale, commissario di sanità, luogotenente di porto.
Il Camerlengo interpella anche la Camera di Commercio ed il Capitano del porto di Ancona e gli Ispettori marittimi con sede a Rimini ed a Civitavecchia, ottenendo risposte che in genere esprimono concordanza con le soluzioni prospettate dal Valentini, non senza suggerimenti integrativi.
Il Valentini nel frattempo riordina le sue proposte ed invia la bozza di un "Regolamento Disciplinare da osservarsi nei Porti Caricatori della Spiaggia Adriatica da Porto Recanati sino a Porto d'Ascoli sulle caricazioni di grano e altri cereali", sottolineando l'opportunità di mantenere alcune usanze locali. Nelle tabelle 1 e 2 se ne forniscono gli elementi più qualificanti.
Prima che il Camerlengo faccia conoscere le sue decisioni il carteggio ha fine.

2.b – Considerazioni
I rapporti inviati a Roma in sintesi rivelano che:
- nei porti da Fermo al Tronto le operazioni di carico/scarico delle granaglie vengono effettuate con procedure diverse da quelle in uso altrove e si prestano a manipolazioni che infirmano la precisione delle misurazioni dei quantitativi movimentati;
- a Grottammare, inoltre, l'ambiente portuale in genere soffre di gravi disfunzioni che interessano sia l'area affidata agli operatori privati sia quella alle autorità pubbliche.
Con sufficiente approssimazione si può ritenere che questi disservizi scaturiscano dall'impostazione irrazionale e dalla conduzione disordinata degli spostamenti delle merci, aggravate dall'intempestivo o addirittura mancato intervento correttivo dei responsabili della dogana e del porto.
Non appare convincente l'inesistenza di specifiche leggi addotta dal Fenili a giustificazione della mancanza di sue iniziative per reprimere gli abusi. Si ritiene invece verosimile che qualsiasi tentativo di punire diecine di facchini scalmanati e rimasti a lungo impuniti, per di più correndo il rischio di ledere gl'interessi dei proprietari delle bracciere, gelosi custodi del loro piccolo capitale, avrebbe potuto aggravare notevolmente una situazione già di per sé ingovernabile.
La bozza del regolamento presentata dal Valentini prevede la formazione d'un ruolo di facchini, obbligati a portare una piastrina di sicuro riconoscimento; la dislocazione di un numero minimo di bracciere in ogni porto; l'imposizione di tariffe ufficiali, che tengano conto delle diversità naturali esistenti nei vari luoghi; l'introduzione in tutti i sorgitori dell'uso della pala (o palone) per riempire le coppe; la revisione delle coppe usate dai misuratori, sottraendole al loro arbitrio per quanto riguarda la verifica della capacità e la loro conservazione; l'introduzione di pene severe a carico dei violatori del regolamento.
Si ritiene lecito esprimere dubbi sulla possibilità di successo di queste misure: infatti esse non modificano incisivamente la gestione del potere, sottratta all'autorità governativa periferica, stravolta e passata ormai nelle mani dei privati.
I dubbi sono giustificati anche dal fatto che l'unico deterrente introdotto per scoraggiare il protrarsi di simili, anomali comportamenti è il carcere ma, proprio in quegli anni e in quelle località, a minacce solenni e clamorose di punire severamente i marinai colpevoli di emigrazione clandestina fanno seguito provvedimenti improntati a cristiana clemenza.
Appare impensabile che in quella società, in mancanza della presenza attiva, vigilante e autoritaria di funzionari governativi in grado di far rispettare leggi e regolamenti e di prendere decisioni autonome, potesse avere valore cogente una qualunque normativa. D'altro canto quello proposto non è certo il miglior regolamento possibile, perché sembra trascurare il motivo di fondo della vertenza, rintracciabile nell'insufficiente remunerazione dei prestatori d'opera.
Per risanare radicalmente l'ambiente si sarebbe dovuto affrontare in primo luogo, e risolvere, il problema della sussistenza dei portuali e delle loro famiglie, male che peraltro affliggeva la maggior parte dei sudditi pontifici e pertanto era praticamente insolubile, per poi eliminare le rivalità e le interferenze esistenti nel settore burocratico, che mettevano in contrasto funzionari delle varie amministrazioni e favorivano l'insorgere di situazioni incontrollabili dalle autorità.(4) A questo punto la memoria corre istintivamente agli episodi d'intolleranza e di conflitto scatenatisi alcuni anni fa nei porti italiani, e a Genova in modo particolare, alla ricerca di eventuali proponibili analogie.

3. L'emigrazione di marinai sambenedettesi nel Regno di Napoli
3.a - Provvedimenti contro l'emigrazione clandestina.

Nell'aprile del 1823 l'ispettore dei porti del III circondario dell'Adriatico, il cavalier Belmonte, segnala al Camerlengo che molti armatori romagnoli hanno dovuto disarmare le navi perché i marinai della zona preferiscono imbarcare su unità di stati stranieri che, in concomitanza con la guerra in corso tra Francia e Spagna, intendono rafforzare con propri sudditi la marina nazionale ed armare quella mercantile con cittadini stranieri, in particolare pontifici.(5)
Di conseguenza il Cardinale Segretario di Stato emana una circolare in data 7 maggio dove, "fra i molti articoli prescritti a garanzia del sistema neutrale del governo Pontificio, vi fu anche inserito quello del divieto ai Marinaj sudditi Pontifici di potersi arruolare al servizio di qualsivoglia Potenza, ed è stato per tal modo provveduto all'oggetto della neutralità, ed all'incremento della nostra marineria pescareccia".(6)
Il Camerlengato trasmette copia della lettera del Belmonte ai delegati apostolici con giurisdizione sul mare ed agli ispettori marittimi e chiede di conoscere il loro parere.
Le risposte attestano che, mentre ad Ancona e Civitavecchia non si nutrono preoccupazioni, a Fermo la situazione è allarmante perla vicinanza della frontiera con il Regno di Napoli e la conseguente maggiore facilità di contatti con stranieri, che agevolano la diffusione di notizie atte ad alimentare l'insoddisfazione dei pescatori ed a favorire i propositi di abbandonare il paese. A San Benedetto corre voce di una prossima massiccia emigrazione, che tiene in ansia il luogotenente Boccabianca, gli armatori locali e lo stesso Ispettore.
A causa dello stato di crisi della marina la gente di mare per sopravvivere tenta di emigrare, anche se "tutt'ora i legni nazionali mercantili e da pesca sono equipaggiati a stento da un numero di marinai sufficiente a condurli con salvezza, a causa della quantità dei marinai perita ne' decorsi naufragi, la cui vita non può rimpiazzarsi come quella dei legni".(7)
Nonostante i tentativi del Valentini di dissuadere i pescatori dal mettere in atto i loro propositi, il 5 ottobre 1823 ventitre di essi varcano il confine senza autorizzazione.
L'ispettore informa il Segretario di Stato dell'accaduto; da' l'elenco dei fuggiaschi, dove "non sono compresi quelli che prepotentemente hanno tolto dalle casse dei Paroni i permessi d'imbarco, ma solo quelli che ho desunto dai Permessi stessi che mi è riuscito ritirare (...) e dalle notizie raccolte"; esprime preoccupazioni per ciò che potrebbe accadere alle paranze che "esposte alle intemperie, ed al sole diverranno in ben curto tempo inatte all'ulteriore esercizio"; chiede "che col mezzo dell'alta polizia, la Santità di N. S. facesse ripatriare l'indicati Marinari, e far seguire una punizione ai due capi seduttori Andrea Guidotti qm. Nicola e Nicola Balloni".(8)
Interviene anche il Camerlengo che ordina al delegato di Fermo l'arresto immediato dei due sobillatori e dei fuorusciti; segnala il fatto all'ispettore Belmonte perché, come esperto, "proponga un regolamento che concilii la permanenza dei Marinai nello Stato col loro interesse"; chiede alla Segreteria di Stato di rivedere ed inasprire la normativa.(9)
Il Valentini suggerisce al Camerlengo d'istituire una tassa a carico dei contravventori degli artt. 157, 158 e 159 della legge del 31 gennaio 1820, non dimenticando che "al caso presente, conviene avere considerazione al danno che ne deriverebbe alle innocenti famiglie da un severo castigo dei marinari emigrati, tanto più che alcuni come dissi ripatriarono esperti del cattivo effetto della loro sconsigliata risoluzione".(10)
lntanto le autorità interessate si affrettano a mettere in atto le direttive ricevute, non senza confusione ed affanno, come dimostra l'arresto, avvenuto il 10 marzo a Senigallia, di Michele Paci rimpatriato da tempo e regolarmente imbarcato su un bragozzo del paròn Giuseppe Neroni.
A fronte dell'ostentata severità, nei confronti degli arrestati vengono adottati provvedimenti punitivi non gravosi.
Nel maggio 1824, quando si conclude l'incartamento relativo al primo esodo, solo quattro marinai sono riusciti a sfuggire alla cattura, ma le cause del malcontento non sono state ancora eliminate. Negli anni successivi infatti i marinai, in prevalenza sambenedettesi, continuano a varcare illegalmente il confine: 16 nel dicembre 1826, dei quali risultano rientrati solo 7; 1 nel maggio 1828; 1 nel marzo 1829; 23 nell'autunno 1834. Si tratta di cifre largamente approssimate, come ammettono gli stessi funzionari governativi, che non sono in grado di determinare il numero esatto degli espatriati.
Il richiamo di là del Tronto è così forte che, nel 1834, per armare tutti i pescherecci di San Benedetto si deve far ricorso ai marittimi di altre località, con la conseguenza inevitabile di dover disarmare alcune barche a Porto di Fermo.
Si ritiene superfluo descrivere minutamente gli avvenimenti, che ricalcano molto da vicino quelli del primo esodo, e ci si limita a segnalare alcune proposte avanzate dalla periferia:
- rafforzare la vigilanza al confine. Come riconosce il conte Maggiori, succeduto al Valentini, senza un'adeguata forza "l'Ispettore di Polizia difficilmente potrà impedire la determinazione di coloro che vogliono clandestinamente introdursi nel Regno, e lo possono senza incontrare ostacolo";
- venire ad un accordo con i Napoletani: "sarebbe anche regolare che quel governo li facesse arrestare e quindi respingere se sforniti di ogni legale permesso come lo sono appunto i marinari (...) Questa infatti è la pratica che in questa Provincia si tiene con i Regnicoli, ma scorgesi invece che addiviene all'opposto non facendosi luogo per parte di quelle autorità pubbliche a tale corrispondenza".(11)
Il delegato di Fermo sostiene tale tesi, perché "l'impedire questo disordine con mezzi ordinari non è possibile (.. ) Il solo governo di Napoli potrebbe essere di ostacolo se le autorità di Polizia non li facessero entrare e li respingessero come privi dei necessari recapiti, e come per effetto di reciprocanza si pratica nello Stato Pontificio".(12)
Ma "nella difficoltà di conseguire lo scopo ch'erasi egli prefisso dal Governo di Napoli troppo interessato a promuovere di quello che a raffrenare l'emigrazione de Marinaj Sudditi Pontifici per provvederne la sua moltiplicata Marina", a Roma pensano che sia meglio limitarsi solo a rafforzare la vigilanza al confine.(13)

3.b – Considerazioni
I fatti esposti si prestano a varie considerazioni, alcune delle quali immediate, altre invece cui bisogna dedicare maggiore attenzione per collocare appropriatamente gli eventi nel contesto della vita dello Stato della Chiesa dell'800 e, in particolare, della sua burocrazia. Ciò al fine di individuare meglio le ragioni profonde della fuga e della repressione.
Se si scorre l'elenco dei ricercati, colpisce l'età di alcuni di essi: ci sono ragazzi di 7, 10, 11, 12, 15 e 16 anni, a testimonianza della precarietà e della inadeguatezza dei mezzi di sostentamento che assillano le famiglie dei pescatori e che, peraltro, permangono ancora a fine secolo e oltre.
Non è certo sorprendente che dei giovanetti possano essere facilmente allettati dalle promesse di "seduttori", ammesso che l'opera venga svolta al di fuori dell'ambito familiare, mentre meriterebbe indagini più approfondite il fatto che uomini di 30-40 anni e anche 50 si facciano illudere dal miraggio di una vita migliore.
Per alcuni marinai promossi paroni potrebbero essere stati fattori scatenanti l'ambizione e l'orgoglio ma, generalmente, la spinta decisiva all'espatrio viene dal bisogno: "i Regnicoli Proprietari di Barche fanno ricerca d'uomini addestrati nella Marineria, e promuovono la seduzione con una specie d'ingaggio, mentre spediscono persone a bella posta incaricate in S. Benedetto con danari alla mano, offrendo a questi, ed a quello una certa somma, che gli pagano sull'istante. Se i nostri Marinari migliorino, o no condizione, è cosa incerta, ma in vista del danaro, che viene ad essi offerto, si lasciano facilmente sedurre".(14)
Non appare realistico pensare che essi, intascato il premio d'ingaggio nel Regno, rientrino prima del termine concordato per mettere a frutto il piccolo peculio, perché ciò non giustificherebbe il persistere del fenomeno dell'emigrazione clandestina e la ripetuta recidività di alcuni individui. Si potrebbe invece supporre che, con un'azione in anticipo sulle lotte sindacali che seguiranno di lì a pochi decenni, i pescatori vogliano costringere con la loro fuga gli armatori e le autorità a prendere conoscenza della disperata condizione in cui si trovano affinché siano adottati gli opportuni provvedimenti correttivi.
In effetti il loro stato di bisogno è tanto acuto da costringerli ad accettare quelle somme per evitare di contrarre debiti onerosissimi, pur sapendo di essere chiamati a praticare la stessa attività, nello stesso mare, a poche miglia di distanza da casa e su barche del tutto simili. Per di più esposti agli stessi pericoli che, pochi anni prima, avevano causato tanti naufragi e tanti lutti, non si sa se per l'eccezionale severità dei fenomeni atmosferici o per la scarsa sicurezza del naviglio peschereccio o per entrambe queste cause od altre ancora.(15)
E' ben noto che le condizioni di vita dei pescatori sono disagiate, come risulta dagli scritti di varie autorità locali. Purtroppo alle promesse di miglioramenti non seguono i fatti: in Ancona un quinto degli iscritti nei ruoli prende abitualmente servizio all'estero e le ragioni di tale esodo sembrano da ricercarsi soprattutto nella mancanza di occupazione o nella insufficiente remuneratività del lavoro svolto in patria. Ma gli armatori si preoccupano dei danni che subiscono le unità ferme ed esposte alle intemperie e lo stato non interviene a favore della gente di mare, soggetta alle razzie dei pirati ed alle malversazioni dei padroni.(16)
Merita un breve cenno anche la proposta di riarmare una forte marina militare, se è lecito interpretare in tal senso quanto afferma il capitano del porto di Ancona ricordando i fasti dell'epoca napoleonica. Ma oltre al disinteresse del governo per una soluzione del genere, da alcune carte risalenti a pochi anni prima si trae l'impressione che mancasse del tutto la propensione popolare per un servizio del genere.(17)
Rifacendoci alle ricerche scatenate nel dicembre 1823, si ha l'impressione che il sistema burocratico periferico sia rivolto quasi costantemente al centro per ottenere direttive, istruzioni e approvazioni, anche in affari di poco conto, da una amministrazione centrale che non concede lauti stipendi ai propri dipendenti, che con riluttanza mette a loro disposizione i modesti mobili d'ufficio necessari per svolgere le loro funzioni e che tuttavia sperpera ingenti risorse nel tentativo di far rientrare in patria una ventina di disperati, creando intralci al già confuso e stentato lavoro di routine.(18)
Quest'apparato ansimante catena una vera e propria caccia all'uomo. Ma per quale ragione ci si accanisce nel ricercare prima 20 e poi altre decine di poveri marinai ? Per scongiurare eventuali future fughe, grazie all'esempio di una punizione severa, e non perdere manodopera preziosa ? Per migliorare le condizioni di vita della gente di mare e così porre rimedio ai disagi dell'emigrazione ? Per affermare il prestigio dello stato, anche nei confronti delle nazioni straniere ? O per l'insieme di questi e di altri motivi ? Non è facile dare una risposta a tali quesiti.
Dall'esame delle carte relative al primo esodo parrebbe che la preoccupazione principale delle autorità fosse quella di evitare controversie con potenze estere.
Ipotesi che trova conferma quando, negli anni seguenti, in tempi cioè di pace e senza alcuna preoccupazione di coinvolgimento in conflitti di più vasta portata, vengono respinte le proposte dei funzionari periferici che suggeriscono di stabilire rapporti di reciprocità con il Regno di Napoli sul problema dell'espatrio.
Per rafforzare le misure preventive, associandole a forme intimidatorie, si giunge a proporre l'istituzione d’una tassa a carico dei contravventori alle norme sull'espatrio ma, contemporaneamente, ci si preoccupa che le famiglie dei pescatori non abbiano a soffrire per le pene inflitte ai trasgressori, senza spiegare come ciò sia possibile.
Non si vuole risalire all'essenza del problema: l'insoddisfazione causata dalla mancanza di lavoro o dall'insufficienza della retribuzione. E la gente di mare che tenta di reagire alle imposizioni che l'opprimono viene tacciata d'improperi: " Dall'esame delle carte relative ai fatti del1823 si sarebbe tentati di individuare il motivo principale di questa ricerca anche nell'affermazione del prestigio statale, in considerazione della minaccia d'infliggere pene severe ai colpevoli e, in particolare, a Nicola Balloni e Andrea Guidotti.
Tanto più che si cerca di configurare l'abbandono delle barche patrie come ingratitudine nei confronti dello stato, elargitore della grazia rappresentata dalla concessione di un posto di lavoro e della possibilità di sfamare le famiglie. Quindi una sorta di lesa maestà. In tal senso parrebbe lecito ricondurre il sistema repressivo a strumento di affermazione del prestigio nazionale.
Tuttavia, forse in relazione alla particolare figura dello stato teocratico, la conclusione scaturisce grazie all'applicazione di principi evangelici ispirati al perdono ed all'amore del prossimo: sembra di essere nell'ambito della parabola del figliol prodigo e dell'esortazione "sinite parvulos venire ad me", che negano qualunque volontà di sostenere indiscriminatamente il prestigio statale.
Sono principi cristiani di valore universale, senza dubbio, ma di difficile applicazione nel mondo del lavoro e nella politica oggi come allora e che nel caso particolare non hanno dato gran risultato se non, forse, quello di evitare immediati coinvolgimenti rivoluzionari.(19) La situazione dei pescatori comunque non migliora.
A fronte dell'esasperazione delle già dure condizioni di vita degli strati sociali più umili, che spingono molti sventurati a non prestare la loro opera a favore di uno stato poco generoso, i burocrati non colgono il significato degli avvenimenti e tra esitazioni, incertezze e ripensamenti portano avanti l'opera di ricostituzione dell'ordine ricorrendo a logori rimedi conciliativi senza affrontare il gravoso impegno delle riforme.
Probabilmente proprio all'incapacità/impossibilità dei rappresentanti dello Stato di interpretare il loro ruolo vanno imputati il disordine, la frammentarietà e l'inconsistenza delle azioni per arginare il fenomeno dell'emigrazione dei pescatori nel Regno di Napoli protrattosi per oltre dieci anni.

4) – Conclusione
I fatti esposti illustrano alcuni aspetti particolari della crisi in cui si dibatte la marineria pontificia dell'800.
La vertenza a proposito dei servizi offerti dai porti piceni, oltre alla inconsistenza della macchina burocratica pontificia, mette in luce l'insoddisfazione dei commercianti e dei lavoratori.
I primi lamentano i danni loro inflitti, i secondi esprimono il proprio malcontento con forme di boicottaggio e di danneggiamento rivolte soprattutto contro i mercanti ed i vettori navali ma che, per lo stretto rapporto che lega clienti ed operatori, in definitiva si ritorcono su di essi.
L'emigrazione clandestina dei pescatori è uno dei tanti mali che travagliano la vita dei marittimi adriatici nell'800.
Se molte e gravi sono le preoccupazioni che agitano i governanti chiamati a sanare la ferita apertasi con la fuga dei pescatori sambenedettesi, tuttavia maggiori sono i dolori e i disagi cui vanno incontro i fuggiaschi e le loro famiglie.
L'intervento delle autorità appare diretto a modificare aspetti non essenziali del problema senza approfondire i motivi reali della conflittualità.
Le carte di cui ci si è avvalsi costituiscono una chiara testimonianza delle sofferenze della gente di mare che, oltre all'inclemenza degli elementi, ha spesso dovuto far fronte all'altrui incomprensione ed egoismo.

NOTE
(1) - Per la storiografia sulla marineria e sul commercio pontifici non si può fare a meno di consultare, negli Atti del Seminario di Storia Marittima su Tendenze e orientamenti nella storiografia marittima contemporanea: gli Stati italiani e la Repubblica di Ragusa (sec. XIV-XIX), a c. di A. DI VITTORIO, Napoli 1986, i saggi di S. ANSELMI, Il piccolo cabotaggio nell'Adriatico Centrale: bilancio di studi, problemi, metodi, programmi, pp.125-150 e di C. MANCA, La Storiografia marittima sullo Stato della Chiesa, pp. 95-124, con ricchissima bibliografia.
(2) - Tali barconi di portata compresa tra 4 e 6 tonnellate, mossi a remi, con equipaggio composto di 4 o 5 marinai-scaricatori, uno dei quali con funzioni di conduttore o direttore e gli altri di facchino, venivano classificati nel 5° gruppo dello "Stato dei legni marittimi": nel 1838, sul totale di 498 terriere, 237 erano ascritte al I circondario adriatico, 123 al II, 114 al III e solo 24 a quello mediterraneo.
(3) - Lettera del 6.3.1823 indirizzata a E.za R.ma (il Camerlengo).
(4) - Come attesta il passo di una lettera del vice rassegnatore dei grani di Grottammare, Giosafat Ravenna, che afferma di essere "così esausto di denaro, che ha obbligato il sopradetto a ricorrere dall'esattore il suo onorario. Se la carica di Rassegnatore mi facesse avere le giuste mie propine, che mi si negano da Negozianti favoriti dalli Ministri Doganali, che permettono gl'imbarchi de generi a me appartenenti". Queste parole sollevano appena il velo sulle relazioni tra funzionari di amministrazioni diverse, facendoci intravedere una realtà dove gelosie ed inganni giocano ruoli importanti. (ASR, Camerl. p. I, Tit. XII, b. 96, fasc. 11)
(5) - ASR, Camerl. p. I, tit. IX, b. 82, fasc. 4, lett. del 30.4.1823.
(6) - ASR, Camerl. p. I, tit. IX, b. 82, fasc. 4.
(7) - ASR, Camerl. p. I, tit. IX, b. 82, fasc. 5/4, lett. del 18.6.1823.
(8) - ASR, Camerl. p. I, tit. IX, b. 82, fasc. 5/4 lett. 426 del 23.10.1823.
(9) - ASR, Camerl. p. I, tit. IX, b. 82, fasc. 5/4, appunto del 4.11.1823 e lett. dell'8.11.1823.
(10) - ASR, Camerl. p. I, tit. IX, b. 82, fasc. 5/4, lett. 455 del 9.11.1823 e 484 del 30.11.1823.
(11) - ASR, Camerl. p. II,tit. IX, b. 576, fasc. 1811, lett. 350/340 del 4.3.1827.
(12) - ASR, Camerl. p. II, tit. IX, b. 576, fasc. 1811, lett. 733 del 9.3.1827.
(13) - ASR, Camerl. p. II, tit. IX, b. 576, fasc. 1811, app. del 23.2.1827.
(14) - ASR, Camerl. p. II, tit. IX, b. 576, fasc. 1811, lett. 733 del 9.3.1827.
(15) - Il ricovero delle barche era un problema che assillava proprietari, padroni e marinai. Ne troviamo un'eco nella motivazione addotta da Giuseppe Vagnozzi per esercitare la pesca in Dalmazia, nella corrispondenza del Valentini nonché nel progetto di un canale-rifugio a Porto di Fermo avanzato in quegli anni da Domenico Nocelli, v. ASR, Camerl., p. I, tit. IX, b 552, fasc. 640; b. 560, fasc. 903; etc. e p. I. Tit. IX,b. 87, fascc. 25 e 25/3.
(16) - Sulla liberazione dei marinai schiavi in Algeria dal 1815 v. un memoriale, probabilmente del maggio 1817, conservato all'ASR, Camerl. p. I, Tit. IX, b. 85, fasc. 19/1, dove si legge: "le dolenti Famiglie dei poveri Pescatori rammentano (...) la loro desolazione (...) per avere la maggior parte di Esse perduti i loro capi di casa per le Piraterie di Mare (...) Eransi i restanti Pescatori volontariamente sottoposti al Dazio di un quattrino e mezzo per ogni libra di pesce, che si pesca in quel littorale, affinchè si fosse dall'Appaltatore data una somma anticipata, con cui incominciare a redimere dalla schiavitù (...) infelici schiavi (...) restando eziandio aperto l'adito ad altro ogetto utilissimo, qual'è quello di armare in qualche guisa quel Littorale per impedire così in futuro le frequenti ed ormai troppo libere Piraterie". Sulla camicia è riportata la seguente osservazione, burocraticamente cinica e spietata: "essendo stati peraltro gli schiavi liberati dalla generosa Nazione inglese in Algeri, mancò l'oggetto (...) Nulla ostante si è portato al Camerlengato per attivare questo dazio onde impiegarlo per altri aggi interessanti il Litorale". Per i maltrattamenti da parte padronale, v. ASR, Camerl. p. II, Tit. IX, b. 556, fasc. 734.
(17) - ASF, Prefettura del Tronto, Marina 1808-1815, b. 58.
(18) - ASR, Camerl. p. I, Tit. IX, b. 82, fasc. 6/11, b. 84, fasc. 14/15 e b. 87, fasc.25; M. GABRIELE, a c. di, L'industria armatoriale nei territori dello Stato Pontificio dal 1815 al 1880, Roma 1961, passim e, per cenni all'emigrazione dei pescatori, p. 21 nota 2, pp. 27, 28, 62 e ss., per la miseria dei facchini p. 11 nota 2.
(19) - La partecipazione del popolo ai moti del 1831 fu modesta. La provincia di Fermo rimase abbastanza tranquilla, (v. ASR, Camerl. p. II, Tit. IX, b. 618, fasc. 3807.

BIBLIOGRAFIA
- W. ANGELINI, La questione per la franchigia del porto di Ancona, sta in DSPM, Atti e Memorie, s. VIII v. III, 1962/63, Ancona 1964, pp 1-9.
- S. ANSELMI, Trieste e altre piazze mercantili nella fiera di Senigallia ai primi dell'Ottocento (1802-1815), Quaderni Storici n. 13, pp. 189-233.
- S. ANSELMI, Commerci, porti e marine mediterranee fra medio evo ed età moderna, Quaderni Storici n. 22, pp. 222-237.
- S. ANSELMI, Pescatori e trabaccolanti in S. ANSELMI, a c. di, Le Marche, Torino 1987, pp. 525-528.
- S. ANSELMI, Pesca e piccolo cabotaggio nelle acque adriatiche tra otto e novecento, in P. IZZO, a c. di, Le Marinerie adriatiche tra '800 e '900, Roma 1989, pp. 143-148.
- S. ANSELMI-P. SORCINELLI, Epidemie e rivalità commerciali nelle piazze marittime marchigiane, sec. XVI-XIX, Economia e storia, n. 3-1977, pp. 293-310.
- G. BELLEZZA, San Benedetto del Tronto. Studio di geografia urbana, Estr. dal Bollettino della Società Geografica Italiana 1966, n. 4-6.
- A. BIAGINI-E. FERRARO, Per una storia delle relazioni marittime della città di Ragusa e dell'Adriatico nella seconda metà dell'ottocento, in DI VITTORIO A., a c. di, Ragusa e il Mediterraneo: ruolo e funzioni di una repubblica marinara tra medioevo ed età moderna, Bari 1991, pp. 305-314.
- F. BONELLI, a c. di, Il commercio estero dello Stato Pontificio nel secolo XIX, Roma 1961.
- M. GABRIELE, a c. di, L'industria delle costruzioni navali nei territori dello Stato Pontificio dal 1815 al 1880, Roma 1963.
- M. GABRIELE, a c. di, I porti dello Stato Pontificio dal 1815 al 1860, Roma 1963.
- J. LUETEC, Marittimi marchigiani arruolati nella marina mercantile ragusea (1792-1807), DSPM, Atti e Memorie 1982 n. s. a. 82° (1977), Le Marche e l'Adriatico orientale: economia, società, cultura dal XIII secolo al primo Ottocento, Ancona 1978, pp. 323-330.
- U. MARINANGELI, San Benedetto del Tronto da borgo marinaro a centro di primaria importanza, in G. NEPI, a c. di, San Benedetto del Tronto, Ascoli Piceno 1989, pp. 273-338.
- U. MARINANGELI, La giurisdizione marittima nel territorio marchigiano, Il Gazzettino della Pesca, nn. 6-7, Giu.-Lug. 1988, pp. 30-32, 28-32.
- G. OTTAVIANI, a c. di, La costa nel Piceno. Ambiente, uomini e lavoro, Ascoli Piceno 1981.

Fonti archivistiche
- ASR, Camerlengato-Marina, p. I, tit. IX: b. 82, fasc. 4,5/4,6/11; b. 84, fasc. 14/15,14/28; b. 86, fasc. 21,22; b. 87, fasc. 25/3;
- ASR, Camerlengato-Marina, p. II, tit. IX, b. 535, fasc. 42; b. 556, fasc. 734; b. 576, fasc. 1811; b. 584, fasc. 2101; b. 589, fasc. 2393/5; b. 615, fasc. 1825; b. 616, fasc. 3716; b. 618, fasc. 3807; b. 621, fasc. 3907;
- ASR, Camerlengato-Annona e grascia, p. I, tit. XII, b. 96, fasc. 11/5,11/10,11/12.
- ASF, Pref. Tronto, Marina 1808-1815, b. 58.

ABBREVIAZIONI
- ASR Archivio di Stato di Roma
- ASF Sezione staccata dell'Archivio di Stato di Fermo
- DSPM Deputazione di Storia Patria per le Marche

Torna alla pagina precedente