Notizie sulle sedi consolari nelle Marche Pontificie
nel secolo XIX
seconda parte
3.2. - Consolati nel primo circondario dell'Adriatico alla destra d'Ancona.
Le informazioni desunte dai documenti consultati permettono di abbozzare il quadro di un settore, dove l'intreccio degl'interessi politici e commerciali di varie nazioni crea spesso situazioni d'attrito difficili da risolvere e rigide prese di posizione dei governanti locali, apparentemente non correlate all'effettiva importanza degli episodi.
Tutto sommato, però, considerando ciò che accadeva in altre sedi, si può affermare che la situazione in questo circondario non presenta particolari caratteristiche di tensione.
Non vi sono elementi di giudizio per attribuire il merito di questa "tranquillità" ai consoli generali di Ancona pro-tempore; ai vice consoli ed agenti insediati nel litorale; alla limitata estensione ed importanza della giurisdizione insistente su un tratto di costa, a proposito del quale Gabriele scrive: "i porti minori sono prevalentemente tutti quelli del primo circondario Adriatico, prevalentemente pescherecci"; alla compresenza di questi elementi; oppure, molto più semplicemente e banalmente, alla dispersione delle carte d'archivio.
Negli anni dal 1821 al 1860 non mancarono tentativi rivoluzionari, che senza dubbio stimolarono l'attenzione dei consoli in Ancona. L'unico segnale d'allarme che è dato percepire nel Piceno è provocato dalla costituzione delle centurie destinate alla repressione dei moti.
La lacuna più grave però, a parere di chi scrive, si riscontra nel campo delle attività specifiche del personale consolare: sono state trovate poche carte relative al disbrigo delle pratiche del naviglio e del commercio marittimo, alla registrazione del movimento navale, ecc., che invece, se pervenute in maggior quantità, ci avrebbero permesso di conoscere quali fossero la consistenza e l'importanza dei traffici che facevano capo a questi porti.
Questa carenza di documentazione può trovare spiegazione se si pone mente alla natura della corrispondenza che, dai consolati esteri, faceva capo agli uffici pontifici e che ora è conservata nell'ASV e nell'ASR: generalmente si tratta di richieste di autorizzazione a nominare qualche funzionario, o di atti relativi a contenziosi aperti.
Si trova conferma di quest'ipotesi nelle numerose lettere di servizio, contenute in due dei tre volumi della Correspondance di Stendhal, già citati, dove s'incontrano moltissimi argomenti - da quelli ufficialmente riconosciuti e consentiti a quelli di carattere confidenziale e formalmente proibiti che, tuttavia, assorbivano gran parte dell'attività del console - assenti invece nelle raccolte di fondi d'archivio da noi prevalentemente consultate.
All'ASR è disponibile uno stato nominativo del gennaio 1827, compilato a cura dell'Ispettore ai Porti e alla Sanità del 1° Circondario, nel quale sono riportate notizie sui vice consoli, agenti consolari e cancellieri esteri operanti lungo il litorale del fermano: saranno riferite in sede opportuna.
Un'ultima considerazione a proposito della sollecitudine con cui veniva sbrigata la corrispondenza: nonostante le limitazioni imposte dalle vie e dai mezzi di comunicazione allora esistenti e la proverbiale lentezza ed inefficienza della burocrazia pontificia, il paragone è sicuramente svantaggioso per l'amministrazione pubblica odierna.
3.2.a - Ascoli, Porto d'Ascoli.
Francia
Poche le indicazioni esistenti sull'insediamento di rappresentanti consolari in queste località, a parte la semplice menzione che ne fa Moroni nel suo dizionario e quelle desumibili da una scarna corrispondenza, intercorsa tra il console francese a Roma, la Segreteria di Stato e la Delegazione Apostolica di Fermo.
Da queste lettere risulta che, nel 1816, venne riconosciuto un agente consolare di Francia sul litorale Adriatico da Ascoli fino alla frontiera col Regno di Napoli.
Senza entrare in maggiori dettagli - il che del resto non è consentito dalla esiguità del carteggio - si tratta del conte Vincenzo de Angelis, patrizio ascolano, il cui nome viene fatto dal console francese in un foglio al cardinal Consalvi del 17 giugno 1816.
Segue la consueta trafila: la Segreteria di Stato richiede alla Delegazione Apostolica competente notizie sul candidato; la delegazione invia le notizie reperite, da cui il de Angelis risulta "esser riguardato uno dei nobili specchiati Signori di quella città, aggregato all'ordine patrizio" pur non essendo conte. La Segreteria approva la nomina e concede l'exequatur. Nell'elenco di distribuzione della circolare con cui Stendhal informa il personale consolare francese della sua nomina a console in Civitavecchia non sono compresi né Porto d'Ascoli né Ascoli: tale agenzia potrebbe quindi essere stata chiusa prima del 1831.
3.2.b - San Benedetto
Svezia e Norvegia
Si è accertato che a San Benedetto nel 1842 fu istituito un viceconsolato del Regno di Svezia e Norvegia, di cui non è fatta menzione nel dizionario di Moroni né altrove. Si può ricostruire la vicenda con opportuni e fedeli stralci dalle lettere che trattano la questione.
Il 7 aprile 1842 il conte de Bernabej, regio console in Ancona, scrive al Segretario di Stato, cardinale Lambruschini, per segnalare "che le premure fattemi (...) mi hanno consigliato ad esempio di varj altri consolati di estere Nazioni di stabilire nel Porto di San Benedetto un vice console nella Persona ornata di tutte qualità civili, e morali quale sarebbe il Sig. Domenico Nocelli."
Il 26 aprile dello stesso anno viene spedita da Roma al mons. Delegato di Fermo una lettera interlocutoria, in cui si chiede di "conoscere (...) in primo luogo se nel tempo decorso vi sia stato un Vice-console Svedese in detto Porto, e se credasi necessaria ivi una tale Rappresentanza, secondariamente se nulla osti alla proposta destinazione per le personali qualità del Nocelli medesimo."
Il 17 giugno successivo il delegato risponde: "nel Porto di San Benedetto non vi è stato in passato Vice-console Svedese. E' quella una spiaggia, ove da molti anni la Popolazione è aumentata ad un numero riflessibile, e forse per questa causa non vi fù tale Agente nei tempi passati, circostanza che avrebbe rilevata la Delegazione stessa di Ascoli, da cui quel Porto ora dipende. Nel littorale adriatico, come ben conosce l'E. V. Rev.a vi sono altri cinque, o sei agenti della stessa Nazione colla qualifica di consoli Generali o di vice consoli. E quindi nell'atto può discernimento ravvisarsi se attualmente per l'accresciuto numero di Abitanti sia espediente l'istituzione del vice consolato di che si tratta nel'accennato Porto di S. Benedetto. Del resto nulla risulta in contrario sulle qualità del Sig. Domenico Nocelli, che gode ancora favorevole opinione presso ogni ceto di Persone."
Accortisi dell'errore commesso nell'inoltro della precedente lettera, il 16 luglio 1842 da Roma scrivono al Delegato di Ascoli per lo sviluppo e la definizione della pratica. La risposta è pronta: già il 23 luglio si fa presente "che sebbene nel Porto di S. Benedetto non vi approdano comunemente che i soli Legni Pescarecci, pur nondimeno capitandovi alcuna volta dentro l'anno qualche legno mercantile non vi vedrei inopportuna la residenza di un vice console svedese, che potrebbe essere nella persona del proposto sig. Domenico Nocelli sul di cui conto personale sono risultate anche a me delle buone informazioni."
La cosa arriva a buon fine, perché a Roma, il 21 settembre 1842, don Nicola Coscia "dichiara di aver ritirato il Diploma di vice Console Svedese al porto di S. Benedetto" per conto del Sig. Domenico Nocelli.
Qui si arresta la corrispondenza, conservata nell'ASV.
Null'altro si può aggiungere sull'ubicazione in paese dell'ufficio, né sullo svolgimento e la cessazione della sua attività.
Per altre notizie sul Nocelli, si rimanda alla parte che tratta del vice consolato napoletano a Porto di Fermo.
Napoli
Per l'agente consolare napoletano Venanzio Mascarini vedi il successivo - 3.2.c.
3.2.c - Grottammare
Generalità
Che Grottammare sia stata sede di rappresentanze consolari nell'800 è cosa nota.
Dopo Moroni, che assegna a Grottammare un vice console del Regno di Napoli ed un agente consolare dell'Impero Austriaco, si trovano altre notizie nella Guida di Grottammare di Giuseppe Speranza, che attribuisce al suo paese uffici consolari di Napoli, Francia, Austria e Svezia e Norvegia.
Un autore postunitario, Amati, riferisce che "in Grottammare risiedono gli agenti consolari d'Austria, di Francia, Spagna e di Svezia e Norvegia".
Non sono state reperite altre notizie su testi a stampa.
Maggior copia d'informazioni sono state tratte invece dalla consultazione delle carte degli Archivi.
Va comunque precisato che, mentre abbiamo trovato traccia dell'epoca dell'insediamento dei funzionari napoletani e austriaci, non abbiamo rintracciato nulla per quanto riguarda i rappresentanti scandinavi, spagnoli e francesi.
Inoltre non sono state individuate disposizioni relative alla chiusura delle sedi dopo il settembre-ottobre 1860.
Regno di Napoli
Dallo stato nominativo dell'anno 1827 già citato, si apprende che il vice console del regno delle Due Sicilie a Grottammare era Marino Laureati, nominato dal console generale in Ancona Giulio Somma, o di Somma, con diploma del 24 novembre 1819, registrato a Roma il 10 marzo 1820 al n. 106 e presentato alla Delegazione di Fermo il 10 aprile 1820.
"Non veste abito di costume nè l'uniforme militare. Si fa vedere a volte colla coccarda Napoletana. Innalza quello stemma e il Pontificio, ha giurisdizione su Marano, Grottammare e S. Benedetto. Suo cancelliere e vicario è Giacomo Ravenna."
Da un elenco dei vice consoli in Adriatico dipendenti dal consolato generale di Napoli in Ancona, trasmesso da questa città alla capitale l'11 giugno 1837, si apprende che il tratto di costa assegnatogli era lungo otto miglia, con giurisdizione come nel precedente riferimento.
Il titolare ci viene descritto nel rapporto con queste parole: "Marino Laureati, età 36; Patria: Grottamare; Fortuna: possidente. Essendo vivente il genitore non può d'ora conoscere quale porzione potrà spettargli; Condizione: Marchese. Se esercita altri impieghi: nessuno (...) Se si trovano presso i V. Consoli impiegati con facoltà di vidimare nell'assenza de' primi: nessuno (...)"
Da altro dispaccio del console apprendiamo che il 27 agosto di un anno non precisato "il R. Vice Console in Grottamare (...) mi chiede per affari urgenti di potersi assentare dal suo posto per una ventina di giorni, lasciando incaricato provvisoriamente delle sue funzioni il di lui genitore Gioacchino Laureati, di cui la firma ho l'onore di trasmettere all'E. V. per la debita intelligenza (...)"
Risulta quindi che l'ufficio di Grottammare era posto alle dipendenze gerarchiche di Ancona; che il Laureati, creato vice console all'età di 18 anni, nel 1837 non aveva alcun sostituto ad eccezione del padre in caso di assenza dalla sede; che si fregiava del titolo di marchese, che verrà riconosciuto alla famiglia dal re d'Italia molti anni dopo l'unità, il 1 febbraio 1925.
Tra gli altri documenti rintracciati si citano solamente i seguenti, che possono fornire un'idea dell'attività di un vice console:
- il 12 giugno 1826 il conte Saverio Maggiori, ispettore della Sanità e dei Porti del I circondario dell'Adriatico alla destra d'Ancona, scrive da Fermo al cardinale Segretario di Stato per segnalare che il console generale del Regno delle Due Sicilie in Ancona lo aveva interessato "perchè abbia a far riconoscere alle Autorità Marittime e Sanitarie dei porti di Marano, Sanbenedetto e Grottamare nelle loro qualifiche gli Agenti Consolari nominati dal Regio V. Console Marino Laureati di Grottammare (...) i prescelti nella indicata qualità di agenti sarebbero Basso Abbadini al porto di Marano, Giacomo Ravenna per quello di Grottamare e Venanzio Mascarini per quello di Sanbenedetto. Senza un'ordine di V.ra Em.za R.ma io non intendo di poter aderire alle premure del suindicato Sig. Console."
- il 20 giugno viene spedita la lettera di risposta del Segretario di Stato, il quale dispone che, se i nominati "sono muniti di Patente registrata negli officj di Camera, ed approvata da me, non avvi difficoltà che siano riconosciuti."
Probabilmente gl'interessati avevano le carte in regola, ma non se ne può essere certi, perché non abbiamo rintracciato altra corrispondenza sull'argomento. Certamente, però, se si deve prestar fede al rapporto dell'11 luglio 1837 prima citato, l'agente consolare Ravenna non aveva la facoltà e l'autorità di sostituire il vice console assentatosi dalla sede oppure non copriva più l'incarico.
Infine un ultimo documento. Il 26 luglio 1832, il vice console d'Ancona, supplente del titolare, scrive a Napoli " (...) nella circostanza che una forza armata va ad organizzarsi nelle provincie di questo Stato limitrofe a quelle dei Reali Dominij dalla parte degli Abruzzi. Da una persona autorevole di questo luogo vengo assicurato che per ordine di Sua Santità nelle campagne soggette alla Delegazione di Fermo si procede all'installazione di alcuni corpi di volontarj sotto il nome di centurie (...) Abbenchè dai RegjVice Consoli in Portofermo e Grottamare nulla siamisi scritto in questo proposito, mi trovo purtuttavia in dovere di umiliare il tutto a Vostra Eccellenza (...) In seguito non ommetterò al certo d'interessare i suddetti Regi Impiegatj affinchè mi facciano conoscere se una tal cosa in realtà sussiste, ed in questo caso me ne diano i più precisi possibili ragguagli, dei quali l'Eccellenza Vostra sarà poi da me esattamente informata."
Le carte a disposizione non consentono di accertare per quale motivo il Laureati abbia omesso allora di svolgere quella attività informativa, ufficialmente interdetta ai consoli, ma molto spesso richiesta e sollecitata dagli esponenti del governo che rappresentavano, se per simpatia nei confronti del movimento liberale o se per trascuratezza.
Rimane però il fatto che la famiglia Laureati, nell'ottobre 1860, ospitò nel proprio palazzo a Grottammare il re Vittorio Emanuele II.
Austria
Sono state rintracciate carte che trattano la nomina di agenti consolari austriaci a Grottammare e in altre sedi.
La pratica ha inizio il 30 dicembre 1817 con la consueta lettera del console generale d'Ancona al cardinale Segretario di Stato per informarlo delle esigenze da soddisfare e chiedere l'autorizzazione ad emanare i provvedimenti attuativi.
Il cardinale, con lettera del 10 gennaio 1818, esprime la sua approvazione di massima, raccomandando di rispettare la prassi abituale. I nominativi degli agenti consolari proposti non appaiono nelle carte dell'ASV ma in quelle dell'ASR.
Infatti, dal già citato stato nominativo dell'anno 1827, risulta che l'agente consolare austriaco a Grottammare è Gaetano Allevi di Offida, con sede e giurisdizione a Grottammare, il quale, però, nel diploma rilasciato dal console de Choch il 6 novembre 1819 e presentato a Fermo il 30 del mese successivo (ma non si sa se sia stato registrato a Roma), ha nome Gio. Battista.
Il vice console non innalza lo stemma né porta la coccarda ed è coadiuvato dal cancelliere (vicario del console) Pasquale Bruni di Grottammare, che invece innalza lo stemma e porta la coccarda, ma non è riconosciuto dalle autorità.
Svezia e Norvegia
Al momento in cui fu pubblicato l'articolo non era stato trovato nessun documento in merito ad agenti di questo regno a Grottammare. In seguito invece, sono emerse delle carte relative a Carlo Fenili, aspirante a ricoprire l'incarico di viceconsole per i sudditi del regno scandinavo.
Il 22 gennaio 1838 mons. Luigi Bonini, Delegato Apostolico di Fermo, scrive alla Segreteria di Stato per gli Affari Interni a proposito di una iniziativa del "Regio Console di Sua Maestà il Re di Svezia, e Norvegia residente in Ancona", che intenderebbe istituire a Grottammare un viceconsolato retto dal sig. Carlo Fenili.
Precisa che "ho stimato bene di procurarmi dalle Autorità locali accurata informazione sulle di lui qualità, e condotta politica, le quali a vero dire mi vengono assicurate senza eccezione sotto ogni rapporto (...) " e rimane in attesa delle superiori decisioni.
La risposta non tarda, e la trascriviamo integralmente: "Da che V. S. I. ritiene scevro di eccezioni il contegno morale e politico del Sig. Carlo Fenili di Grottamare, nulla osterebbe per q.sta parte a riconoscerlo in Vice Console di Svezia e Novegia in patria; al qual posto il Console di q.ste nazioni residente in Ancona lo ha nominato. Se non che potrebbe ostarvi un altro riflesso; quello cioè dell'officio in se stesso; giacchè, se fosse q.sta la p.ma volta che si desgna per Grottamare un Vice Console, si opporrebbe alla di lui ammissione la massima prescritta da qualche tempo di non moltiplicare il numero delle persone privilegiate senza una vera necessità. Ed io le confesso che niuna ne scorgo nello stabilimento d'un Vice Consolato Svedese e Norvegiano in un luogo nel quale o mai, o assai di rado può approdare qualche legno di tali nazioni. Attenderò dunque ulteriori informazioni da V. S. I. su q.sto particolare (...) "
Mons. Bonini, sollecitato dal Console in Ancona che non aveva ancora ricevuto le informazioni su Carlo Fenili, risponde prontamente e negativamente al cardinale sull'esistenza di un consolato scandinavo a Grottammare.
Inevitabile quindi il diniego sulla costituzione del vice consolato svedese-norvegese: "Da che prina d'ora non ha esistito in Grottamare il Vice Consolato Svedese e Norvegiano, deggio con rincrescimento prevenire V. S. I. che non si può annuire alla brama del Sig. Console di tali nazioni resid.e in Ancona tendenti a vedersene ora stabilito umo nella persona del Sig.r Carlo Fenili. Dissi con rincrescimento perchè ho rilevate dal di Lei disp.° 139 le buone qualità del proposto per q.sto nuovo Officio, e la premura ch'Ella in qualche modo aveva concepita di secondarne le brame (…) "
Da quanto esposto sembrerebbe che il volume del traffico navale con legni svedesi e norvegesi a Grottammare nopn fosse sufficiente per crearvi un vice consolato. Eppure, intorno a quegli stessi anni, in S. Benedetto, porto di rilevante importanza per la pesca ma di scarso rilievo per il commercio marittimo a differenza di Grottammare, ne veniva istituito uno nuovo con a capo il commerciante portese Domenico Nocelli.
Il Marchese Bruti Liberati dedicò una delle sue lettere al conte Enrico Garulli, vice console di Svezia e Norvegia. Tenuto conto che la famiglia Garulli non aveva interessi a Grottammare, ma a Monterubbiano, a Marina Palmense e in altri luoghi del Fermano, si è propensi a ritenere che il Garulli avesse sede a Porto di Fermo, dove esisteva un vice console di quel regno.
Spagna
Non è stato trovato nessun documento in merito ad agenti di questo regno a Grottammare.
Francia
E' stata reperita solo una conferma indiretta dell'esistenza della rappresentanza francese nel settembre 1860, grazie ad un episodio narrato da Vigevano: quando Grottammare venne occupata dai Cacciatori del Tronto nell'imminenza dell'arrivo delle truppe sabaude, il tenente di finanza riuscì a sfuggire all'arresto rifugiandosi nella sede del consolato francese.
In passato l'attuale via Cavour aveva il nome di via Francese.
Tale denominazione è forse da porre in relazione all'esistenza in loco del vice consolato francese? Non siamo in grado di rispondere.
3.2.d - Marano
Si rimanda al precedente paragrafo 3.2.c, dove è stato fatto cenno della nomina di agenti consolari austriaci a Grottammare, Marano, Cesenatico e Fermo e di Basso Abbadini come agente consolare napoletano.
3.2.e - Pedaso
Il nome di questa località è citato solo nel caso della nomina di Girolamo Cordella a vice console di S. M. Siciliana in Porto di Fermo, con giurisdizione anche su Pedaso.
3.2.f - Fermo, Porto di Fermo
Generalità
Moroni assegna a Fermo le seguenti rappresentanze: Austria, agenzia consolare; Danimarca, vice consolato; Francia, vice consolato; Russia, vice consolato; Sardegna, vice consolato; Svezia e Norvegia, vice consolato; Toscana, vice consolato.
Non cita invece rappresentanze del Regno napoletano, di cui sono state trovate diverse testimonianze.
Nessuna delle carte esaminate fa riferimento a rappresentanze consolari russe a Fermo.
Napoli
Si premettono alcune righe per dare notizie, non esaustive, sull'epoca in cui venne costituito questo vice consolato.
In merito all'ASV esistono due documenti contrastanti. Infatti in uno di essi si afferma "che ha sempre esistito nella detta spiaggia il vice Console Napoletano. Il vice Console è opportuno ai sudditi del Regno per gli Approdi dei Legni nella Spiaggia, per l'assistenza ai naviganti e per le vidimazioni ai Passaporti dei Regnicoli, che con frequenza transitano per la Provinciale Aprutina, onde recarsi al Santuario di Loreto, od in Ancona per ragioni di Commercio: sono queste le attribuzioni apparenti, che per istituto, e per ordinario incarico, disimpegna il vice console, o che pienamente sono note al governo Pontificio, ed al preside di questa Delegazione. Sembra però, che dopo le vicende del 1820 la Real Corte di Napoli ne abbia fatto un'Agente Straordinario di Polizia. Le investigazioni da ultimo pel confugio per questi stati dei condannati di Penna (?) manifestano ancora al di fuori gli ordini a tal'uopo della Corte medesima.
Verun vantaggio parmi che risultino a sudditi Pontificj dal vice-Console suddetto, se non per la vidimazione di qualche passaporto a Coloro dei Sudditi stessi che si recano al Santuario di S. Domenico di Cuccullo od in qualche altra parte degli Abruzzi per acquisto di Bestiame Bovino."
Queste parole del Delegato, oltre a stabilire l'anzianità dell'ufficio consolare napoletano a Fermo, costituiscono anche una conferma dell'attività informativa affidata ai consoli
napoletani, come è stato già rilevato per il console Zuccari a Roma e il vice console Laureati a Grottammare.
Per quanto dall'esame delle carte riguardanti la nomina a vice console di Antonio Mora possano sorgere dubbi sull'anzianità dell'insediamento, in particolare da una lettera del 1817 del Delegato al cardinal Consalvi in cui si nega che in passato fosse esistito "un simile incaricato" e ci si rammarica che "d'ordinario simili patenti non servono, che per rendere più baldanzosi i patentati", tuttavia si può affermare che già nel 1810 esisteva un funzionario napoletano a Fermo. Infatti il 22 maggio di quell'anno il console di S. M. il Re delle due Sicilie, S. Maggiori, scrive al Prefetto in merito alla vendita di una barchetta, minacciando di rivolgersi a Napoli se non gli si darà ascolto.
La pratica ha inizio nel giugno 1817, con la segnalazione al Segretario di Stato di una richiesta d'informazioni su Antonio Mora, candidato alla carica di vice Console napoletano a Fermo, avanzata dal Console di Ancona al Delegato di Fermo, il quale, dopo aver formulato l'osservazione sopra riportata, aggiunge che "sulla persona del d. Sig. Mora non ho altro, che ridire, se non che egli si è accomodato in addietro ad ogni partito di governo".
A Roma la questione è vista con altro occhio. Infatti gli scrivono "qualora non vi sia (vice console), può Ella senza difficoltà somministrare la richiesta informazione, non potendo ricusarsi, quantunque sien pur troppo veri gli abusi di siffatti patentati, cui Ella saviamente riflette. Se poi già vi esiste il vice-console, la cosa cambia affatto."
Non esistono tutte le carte relative alla trattazione del problema, ma solo una lettera con cui il Delegato informa il cardinale di aver inviato al console napoletano le informazioni richieste e, inoltre, un breve appunto riepilogativo della pratica.
Dal 1817 si passa al 1825.
Si è già parlato di Domenico Nocelli, vice console di Svezia e Norvegia a San Benedetto.
Si può dire qualcosa di più su questo personaggio, presumendo che sia lo stesso che pochi anni prima era stato vice console napoletano a Porto di Fermo: vi sono infatti notizie che lo riguardano in una lettera anonima del 4 marzo 1825, che si trascrive integralmente rispettando il testo scritto con buona grafia, ma con qualche scorrettezza e pleonasma.
"Eminentissimo e Reverendissimo Principe
un fedele Suddito del più grande e del più pio de Sovrani fa presente a V. E. R.ma che questo Domenico Nocelli Vice Console Napoletano tiene ancora inalzato lo Stemma del Rè di Napoli fuori della sua Casa, ed oltre li mustacci di cui ne fà gran pompa, porta anche li Ranchi da Generale contro ogni Legge.
Questo condegno nell'attuale situazione di cose, incita a sdegno tutti i buoni, si perchè ad Esso non compete; Si perchè il Sovrano di Napoli non è stato dalla Santità di Nostro Signore riconosciuto.
Affinchè non nasca un inconveniente, l'Ora.re viene a supplicare V. E. R.ma affinchè prenda un sollecito provvedimento col disporre, che il Nocelli abbassi lo Stemma, e si astenghi di portare quei Ranchi, che ad Esso non compete, anche per il tratto avvenire nel caso, che il Sovrano di Napoli venisse venisse (sic) legittimamente riconosciuto dalla Santa Sede che etca.
Porto di Fermo li 4 Marzo 1825."
Sembra che la denuncia non abbia avuto alcun effetto, poiché l'8 agosto 1826 il conte Maggiori così scrive al Segretario di Stato: "Aggiungo poi che i medesimi vice consoli, che sono sparsi anche in qualche paese vicino ai Porti del Circondario, e che sono sudditi Pontificj, tengono innalzato all'esterno della loro abitazione lo stemma del Sovrano a cui appartengono, a riserva del Laureati che innalza anche lo stemma Pontificio, ciocchè sembrami più regolare. Più, che qualcuno di essi si permette d'indossare l'uniforme, ed anche le spalline da generale senza che sia rivestito di Patente o ranco alcuno militare." Senza dubbio si tratta del Nocelli, di cui nello stato nominativo è detto che "veste abito di costume e uniforme con spalline da generale."
Il vice console Nocelli qualche anno dopo è ancora in carica.
Infatti l'8 luglio 1830 il Delegato di Fermo richiede al Segretario di Stato la sanzione della nomina a cancelliere del vice consolato napoletano a Porto di Fermo nella persona di Angelo Nocelli, disposta dallo zio, il vice console Domenico. La nomina viene approvata con lettera del 14 luglio.
Altri documenti del 1839-40 riguardano la nomina del vice console a Porto di Fermo nella persona del cav. Gerolamo Cordella, di Fermo, con giurisdizione su Porto di Fermo, Pedaso, Porto S. Elpidio, Civitanova, Montesanto e sue dipendenze.
Alla richiesta della diplomazia napoletana d'insediare il Cordella, seguita dalla lettera della Segreteria di Stato al Delegato Apostolico già citata, nella quale si chiedono notizie sull'esistenza di uffici consolari in quella località e sulle qualità del Cordella, segue la risposta doppiamente positiva del Delegato e quindi si giunge all'approvazione della nomina in questione.
Sardegna.
Per quanto riguarda l'origine del vice consolato di questo regno, si deve risalire a Carlo Emanuele Re di Sardegna che, nell'anno 1751, "desiderando di stabilire un Console di Marina nella città e nel porto di Fermo, acciocchè i popoli a lui soggetti e coloro che sotto la sua regal bandiera navigavano nelle acque dell'Adriatico, trovassero quella protezione ed assistenza, di che potevano ne' varii casi aver mestier, ed essendo stato precisamente informato sulla onoratezza e sui talenti del conte Giovanni Simone Vinci (...) lui prescelse a tal carico, e gliene spedì amplo ed onorevole diploma da Torino a' 25 Novembre del menzionato anno."
Nel 1822 il console generale sardo G. B. Rasi intende nominare dei vice consoli nelle sedi di Fermo, Volano e Ferrara.
Mentre il candidato per Fermo, il marchese Alessandro Trevisani, ottiene l'exequatur, uno solo degli altri aspiranti l'ottiene. Il Trevisani è anche autorizzato ad innalzare le armi di S. M. Sarda sulla sua abitazione ma non è solito indossare l'uniforme e fa uso solo della coccarda.
Esistono diversi fogli relativi a questa pratica, dai quali si stralcia solo un parere espresso al Segretario di Stato dal cardinale Legato di Ferrara, per un precedente, analogo caso: "Parmi poi inutile ricordare a V. E. a quali dannose conseguenze si esporrebbe il Governo col moltiplicare questi esteri Agenti, che tante le volte si procurano degli indebiti profitti con danno delle Finanze dello Stato: e per riparare al disordine convien pur troppo superare dei disgusti e contestazioni, confondendo essi bene spesso le private loro speculazioni colla pretesa volontà, ed interesse delle loro Corti."
Nel 1827 a Fermo esisteva, già da almeno il 20 luglio 1824 data della relativa comunicazione, anche un vice console sardo onorario, nella persona del conte Eufemio Vinci, autorizzato ad indossare l'uniforme ma non ad alzare lo stemma.
Francia.
Joyce Lussu ricorda un suo antenato, Luigi Salvadori, che rappresentò la Francia di Luigi XVI dal 1777 e poi quella uscita dalla rivoluzione. Nel 1806 venne sostituito dal figlio Melchiorre.
Di questo vice consolato fa menzione Stendhal al momento dell'assunzione dell'incarico a Civitavecchia il 18 aprile 1831, in quanto la già citata circolare inviata ai titolari delle altre sedi francesi in Italia reca anche l'indirizzo di Félix Matteucci, Fermo, vice console.
Svezia e Norvegia
Oltre al cenno già fatto sulla probabile identificazione di Enrico Garulli come vice console svedese a Fermo, vedi precedente para 3.2.c, si è trovata altra documentazione del 1830, relativa alla sede di questo ufficio nella città del Girfalco.
Si tratta della nomina di Andrea Andreani a cancelliere del locale vice consolato di Svezia e Norvegia, a proposito della quale il vice console svolge la pratica per ottenere l'approvazione delle autorità pontificie.
E' così possibile conoscere anche il nome del funzionario promotore della nomina: Francesco Cordella.
Austria
Al paragrafo 3.2.c è stata citata la pratica con cui, nel dicembre 1817, viene richiesta l'approvazione della nomina di agenti consolari imperiali a Fermo, Grottammare e Marano.
Pochi anni dopo, nel 1823, l'ambasciatore austriaco nomina vice console a Porto di Fermo l'avvocato Raffaele de Minicis e richiede l'exequatur.
La pratica non riesce a giungere a favorevole conclusione.
Infatti il Delegato Apostolico segnala al Segretario di Stato che il de Minicis «trovasi inscritto nell'elenco delle persone sospette di pertinenza alle Segrete Società proscritte. Ciò risultava dalle molte spontanee avute dalla stessa Polizia dopo l'epoca delle sediziose macchinazioni di queste provincie, nelle quali egli venne sempre denunciato per tale dai Rivelanti. La condotta da lui tenuta in allora convalidava ognor più la presunzione, essendo stato uno dei fanatici sotto l'occupazione Napoletana, e nel tempo dell'Indipendenza riportò da Murat le due decorazioni. Si crede però che facesse la spontanea avanti l'Autorità Ecclesiastica, e si può dire con certezza, che nel tratto successivo fino al presente non ha Egli dato ulteriori motivi né di politica, né di morale censura, essendosi sempre regolato con la massima prudenza e circospezione.»
Messo al corrente della situazione, l'Ambasciatore non può far altro che prenderne atto ed esprimere il proprio rammarico per aver espresso una scelta poco felice.
Se in questa occasione la diplomazia austriaca si era avventatamente rivolta ad un esponente in odore di liberalismo, si può affermare che, in seguito, la scelta venne orientata verso personalità sicuramente conservatrici e reazionarie, come risulterà chiaramente da un episodio relativo all'agente consolare austriaco Luigi Pacifico Fiori, che aveva assunto l'incarico il 18 agosto 1826.
Il 3 marzo 1829 il Fiori invia una sua circolare ufficiale a tutti gli albergatori e locandieri, chiedendo «che qualunque viaggiatore di qualsivoglia condizione e grado, o direttamente austriaco, o colà domiciliato, o che diretto fosse ad occupare li Stati di Sua Maestà Altezza Reale Francesco I Imperador d'Austria (...) giungesse ad aver alloggio nella vostra Locanda, dovrete entro lo spazio di ore 24 dal Suo arrivo dare formale denuncia del Nome, e Cognome, e tutt'altro relativo al Suo viaggio a quest'Agenzia Imperiale Austriaca posta nella contrada di Campolege, via S. Lucia al civ. N° 1315. Ciò siavi di norma per non incorrere in quelle pene sì afflittive, che pecuniarie, che di concerto coll'Autorità locale si prenderanno.»
Ma le autorità locali non apprezzano questa "invasione di campo", e informano il Segretario di Stato, che così risponde al delegato Apostolico: «Non si può immaginare una condotta più assurda di quella che ha tenuto l'Agente consolare di Austria coll'ordine da esso spedito a tutti gli Albergatori e Locandieri in termini veramente li più riprovevoli (...) Egli si è arrogato quella autorità che il solo Principe territoriale suol delegare ai Suoi Magistrati legittimi (...) Se non lo scusasse una crassa ignoranza quando non fosse una criminosa presunzione (...) sarebbe un misfatto sfrontato alla Sovranità della S. Sede (...) Niuno ha mai osato tanto, e non può soffrire che si osi da un suddito pontificio.»
Seguono le istruzioni sul comportamento da tenere e sull'annullamento della circolare.
Anche l'Ambasciatore austriaco viene informato e gli viene inviata copia della famigerata circolare: «Ella non potrà certamente nella Sua saviezza non leggerne il tenore, senza riconoscervi il grave attentato commesso da quell'Agente consolare.»
Il diplomatico non può non essere d'accordo: «Il Sottoscritto (...) ha rilevato col massimo suo dispiacere (...) la condotta irregolare degl'agenti consolari Austriaci in Cervia e Fermo e non ha tardato a disapprovarla altamente, eccitando senza ritardo il loro superiore (...) di disporre l'opportuno onde ritenerli ne' limiti delle loro attribuzioni.»
Il Fiori si trova così costretto a far marcia indietro.
Umilmente si rivolge al Delegato, che inoltra la sua "lettera di scusa, e di ricusazione" alla Segreteria di Stato: «quale e quanto cordoglio abbia recato nell'animo mio l'avvenuto in seguito dell'invito, che io feci il 3 corrente (...) non mi è dato esprimerlo sì facilmente. Se uno slancio di zelo ha potuto sorpassare le mie attribuzioni, non fu ciò mai di mia intenzione (...) a quello fui tratto per l'immaturo desiderio di far colpire un delinquente ricercato dalla Giustizia punitiva del Governo Austriaco (...) Vengo ad assicurare l'Ecc.za V.ra R.ma di aver ritirato la lettera.»
Le sue scuse riescono a placare gli animi, come risulta da una lettera del Segretario di Stato al Delegato Apostolico: «Non poteva non amareggiare il S. Collegio un tratto di autorità che si era attribuito contro tutti i principj del dritto politico l'Agente Consolare Austriaco nel Porto di Fermo (...) confortante non poco è stata la di Lui confessione di aver errato, il pentimento che mostra di aver offeso incautamente il Pontificio Governo del quale è suddito originario, ed il perdono che ne dimanda (...) E siccome l'errare è proprio degli Uomini, ed il pentimento è figlio della virtù, così V. S. Ill.ma lo rassicuri che nulla serba il Governo contro di lui, anzi da questo incauto di lui procedere, e da questa sollecita ricredenza ha tratto motivo d'acquistare un buon concetto della di Lui persona.»
Tanto buon concetto di sé deve aver suscitato allora il reazionario Fiori che, poco dopo, viene riconosciuto vice Console toscano.
Si ha notizia che nel 1827, a Porto di Fermo, è insediato l'agente consolare austriaco Giovanni Tuda, la cui autorizzazione non era però pervenuta alle autorità locali.
Toscana
Le rappresentanze consolari toscane generalmente sono strettamente legate a quelle austriache, tanto da avere in comune il console in Ancona e in altre località.
Nel marzo 1830, appena un anno dopo i fatti sopra ricordati, il console generale toscano in Ancona nomina vice console a Porto di Fermo Luigi Pacifico Fiori.
Pur non avendone trovato traccia nella documentazione consultata, si è inclini a ritenere che qualche ostacolo si sia frapposto al riconoscimento del Fiori il quale, ottenuta l'approvazione provvisoria il 4 marzo di quell'anno avendo presentato la richiesta a gennaio, riesce a conseguire quella definitiva il 20 agosto 1835, mentre la pratica è chiusa solo nel dicembre 1836.
Portogallo
Si è a conoscenza soltanto di un paio di lettere dell'estate del 1826, relative all'estensione da Pesaro al Tronto della giurisdizione del vice Console portoghese in Ancona, conte Vincenzo Gallo, ed inoltrate per approvazione alla Segreteria di Stato.
Danimarca
All'ASV è stato rintracciato soltanto un foglio, relativo alle informazioni concernenti Luigi Palmaroli, designato vice Console danese a Porto di Fermo.
Il Delegato Apostolico informa il Segretario di Stato che «appartiene esso ad una civile famiglia, e vive con quel poco che possiede.»
All'ASR si trova il decreto di nomina del Palmaroli, firmato dal console generale conte Giovanni Cisterni il 28 agosto 1829, registrato a Roma l'11 settembre successivo.
3.2.h - Civitanova, Potenza Picena
Nulla dice Moroni in proposito e nulla è stato rintracciato, tranne che, nel 1813, Domenico Paci viene proposto come agente consolare austriaco a Civitanova, ma la candidatura in un primo momento non è accettata, come risulta dalla corrispondenza citata al successivo 3.2.i.
Successivamente però il Paci deve aver ottenuto l'exequatur, perché il suo nominativo è compreso nello stato nominativo del 1827, come vice console nominato nel febbraio 1819 che aveva esibito la patente l'anno seguente. Risultache veste l'abito costume e porta la coccarda.
3.2.i - Recanati, Porto Recanati
Moroni assegna a queste località un vice Console napoletano (nel 1839 era Antonio Pintucci, cfr. nota 27) ed uno spagnolo,(che nel 1813 era il non residente Luigi Borghi, lauretano), ed un agente consolare toscano con giurisdizione anche su Loreto, che nel 1823 è Cesare Marinangeli e nel 1846 Antonio Quarantotti dei quali parleremo al para 3.2.l.
Sono stati individuati un vice console (nel 1811 era Gaetano Mambelli) ed un agente consolare austriaco, Carlo Sabbatini. La nomina di quest'ultimo viene trattata dall'ambasciata austriaca, la Segreteria di Stato e la Delegazione apostolica di Macerata dal 28.6.1823 al 24.7.1823. Dallo stato nominativo del 1827 risulta anche che il locale medico condotto, Bellini, ricopre gli incarichi di cancelliere e vicario sia per il Sabbatini sia per il Pintucci.
3.2.l - Loreto
Secondo Moroni a Loreto risiedevano un agente consolare della Toscana ed un rappresentante francese non definito, ma si è anche riscontrata l'esistenza di rappresentanti austriaci.
Del Marinangeli si è già detto. Inoltre all'ASR è conservata la documentazione relativa alla vidimazione del diploma di vice console toscano a Loreto e Porto Recanati, rilasciata al marchese Antonio Quarantotti da Leopoldo II il 19 gennaio 1846.
Francia
Grazie alla già citata corrispondenza di Stendhal è stato possibile individuare il vice console in carica nel 1831, Giacomo Borghi - il cui nome peraltro risulta anche nelle carte qui citate per Marinangeli - ed il cancelliere in carica nel 1833, Hepessein.
Austria
Il console austriaco in Ancona, nel 1823, nomina agente consolare a Loreto per la sua nazione Cesare Marinangeli, ma dalla pratica consultata risulta che la nomina non ottiene l'exequatur poiché «dagli atti di questo Tribunal Criminale si conosce, che il Marinangeli è Persona immorale avendo in tale materia somministrato anche motivo di grave scandalo all'intera città di Loreto. Nè veramente potrei dire, che il suo tenore di vita sia in oggi cambiato gran cosa.»
Perché allora quest'individuo era stato accettato come agente consolare toscano a Recanati ?
Nelle stesse carte si tratta anche della nomina di Giuseppe Tassoni a vice console austriaco a Loreto il quale, pur godendo di buone referenze, incontra difficoltà nell'ottenimento dell'exequatur.
3.2.m - Macerata
Si trascrive un brano da una lettera dell'11 marzo 1817, diretta al Segretario di Stato, in cui si afferma che «in Macerata, come città Terrestre, e non marittima non ha mai esistito alcun Console, o Agente consolare, come non vi esistono neppure al presente.»
Tutto ciò in merito alla richiesta di un certo Michele Breton di essere accreditato vice console di Francia a Macerata e di poter indossare l'uniforme di "Luogotenente delle truppe di SM il Rè di Sardegna".
3.3 - Consolati nel terzo Circondario dell'Adriatico alla sinistra d'Ancona
Per questo circondario, che pure assorbe traffici e movimenti mercantili notevolmente superiori a quelli del primo, si dispone di un modesto corredo di documenti relativi ad insediamenti consolari.
3.3.a - Senigallia
Secondo Moroni, Senigallia ospita numerose sedi consolari: un vice consolato per il Belgio, uno per l'Inghilterra, uno per Napoli, uno per la Sardegna e uno per la Toscana; un'agenzia consolare per la Francia; una rappresentanza imprecisata per Austria, Prussia e Svezia-Norvegia.
Sono state trovate tracce di quattro di queste rappresentanze e, inoltre, dei vice consolati del Portogallo e della Danimarca, non citati da Moroni.
Francia
Dalla corrispondenza di Stendhal si apprende che, negli anni dal 1831 al 1834, l'agente consolare è Claudio Tranquilli - coadiuvato dal figlio Paolino - cui il console di Civitavecchia si rivolge alcune volte per avere notizie, resoconti e bilanci della Fiera di Senigallia.
Portogallo
E' stata rintracciata una lettera del console generale portoghese a Roma, Camillo Luigi de Rossi, il quale segnala al di Stato che, poiché il conte Pier Francesco Bonafede, vice console della sua nazione a Senigallia, «si rendeva indegno dell'Incarico affidatogli, servendogli questo di scudo per iscansare esecuzioni Personali e Reali, non ho tardato un momento a destituirlo dall'impiego (...) col motivo, che dimorando egli a Jesi, non credevo di poterlo conservare in incarico da esercitarsi in Sinigaglia.»
Inoltre, d'accordo col Delegato Apostolico d'Ancona, ha fatto abbassare dalla casa del Bonafede a Jesi, come pure da quella di Giorgio Savelli a Senigallia, lo stemma che vi era stato apposto.
Quest'ultimo individuo si spacciava abusivamente per vice console ed esibiva una falsa patente.
Fa anche presente che è prevedibile che il Bonafede avanzi ricorso alle corti portoghese e russa.
Napoli
Presso l'ASV è conservata la pratica relativa alla nomina di Gaetano Giorgini a cancelliere del vice consolato napoletano, conclusa favorevolmente nonostante che nella trattazione siano insorte alcune difficoltà.
All'ASR si trova il diploma di nomina del vice console napoletano Natale Salvatori, nominato il 21 marzo 1827 dal console generale Saverio di Martino.
Inoltre, dalla già citata memoria dell'ASN (cfr. nota 24), risulta che il vice console nel 1839 era Francesco Gaudenzi.
Inghilterra
Il console generale J. Parke il 16 marzo 1826 nomina vice console inglese a Senigallia il sig. Domenico de Condei, che risulta ancora in carica nel 1836, quando chiede che, nel Cracas del 1838, venga pubblicata un'inserzione che dia conto della sua qualifica e dei suoi titoli.
Danimarca
Il console generale, conte Cisterni, il 13 maggio 1830, nomina vice console danese a Senigallia il sig. Anselmo Rossi, la cui patente solo nell'agosto del 1834 viene vidimata dal Camerlengato, pur essendo stata registrata presso la Segreteria di Stato quattro anni prima.
Austria
Della presenza di un console austriaco a Senigallia fa menzione un carteggio relativo al reclamo presentato da questo funzionario al Delegato di Ancona per non aver ottenuto dal direttore dell'ufficio postale di Senigallia un attestato delle spese postali sostenute per motivi di servizio.
Moroni inoltre riferisce che «nel t. 19, p. 135 de l’Album di Roma si legge una bella necrologia scrita da d. Alessandro Atti pel cav. Salvatore Bernardini valoroso milite al servizio dell’Austria massime di Marina, e poi suo console in diversi porti e per ultimo di Sinigaglia.»
Anche G. Speranza riporta notizia della carica consolare tenuta da Salvatore Bernardini, vissuto dal 1778 al 1852 e annoverato tra i cittadini illustri di Grottammare.
3.3.b - Fano
Anche a Fano, secondo Moroni, si trova un discreto numero di rappresentanze consolari: un'agenzia consolare francese; un vice consolato napoletano, uno con cancelliere per la Svezia e Norvegia; una rappresentanza imprecisata per Danimarca e Prussia. Nulla è stato rintracciato in proposito
3.3.c - Pesaro
Secondo Moroni, Pesaro ospita un vice consolato austriaco, uno francese, uno inglese, uno sardo e uno svedese-norvegese; una rappresentanza imprecisata per Danimarca, e Napoli.
Francia
A fine 700 il vice console era Dominique Billy, dimessosi nel 1793 con tutti i suoi colleghi per non prestare servizio sotto il regime repubblicano. Verrà più tardi sostituito dal figlio Ange. La loro è «una famiglia che non riesce a italianizzarsi (...) che non smette quasi mai l'uso del francese, che compie viaggi a Parigi, in Toscana, in Lombardia, che ha una parte molto più precisa di quanto non si pensi nell'infiltrazione del pensiero e della cultura enciclopedica francese in genere nelle Marche.»
Sardegna
Si dispone del carteggio relativo alla nomina del vice console nel 1818. Il console sardo di Ancona, Fabio Baccarini, designa a tale posto Giovan Battista Tubino che, secondo gl'investigatori, «si ritiene in qualche sospetto, per cui da questa Polizia viene sorvegliato allorquando fa ritorno a questa città (...) Sarei del subordinato parere non essere conveniente che al medesimo venga conferita la succitata carica giacchè così non li si potrebe impedire la dimora in questa città nel caso vi concorressero motivi di allontanarvelo.»
Precedentemente la carica era stata affidata al marchese Petrucci.
Non è noto l'esito della pratica.
Napoli
Nel 1839 il vice console napoletano è il conte Giordano Perticari, cfr. nota 24, il cui diploma di nomina da parte del console generale Saverio di Martino, in data 6 novembre 1827, è conservato all'ASR.
Austria
Con diploma imperiale del 6 luglio 1832 Salvatore Bernardini viene nominato vice console austriaco in Pesaro.
A seguito di ricerche successive alla presente sono state rintracciate notizie sul Bernardini, che qui si trascrivono.
«Nello stato delle anime il capo famiglia è la mamma, Bernardini Sig.ra Lucia Catarina qm Nicola Ravenna, ved. rel. di Giovanni Battista, nata il 17 aprile 1751. Il figlio Salvatore è un militare, ha prestato servizio con gli Austriaci ed è giunto al grado di capitano, uno di più del defunto padre, il prepotente Giovanni Battista tenente in luogo dei Corsi ed incaricato, fra l'altro, delle manutenzioni e riparazioni alla via Lauretana. Se lasciassimo trascorrere un po' di anni, una ragione per l'assenza di Salvatore dallo stato delle anime la potremmo anche trovare, visto che a un certo punto egli si trasferisce a Senigallia come console austriaco. Finalmente! Ciò che suo padre aveva tentato senza successo (diventare console pontificio, a Trieste) - a lui è riuscito. La città di S. Giusto nell'800 ha il porto più importante dell'Adriatico, il che fa sì che un bel po' di onorari vada a finire nelle tasche del console. Ma anche il reddito conseguibile a Senigallia non è trascurabile: la cittadina è la seconda piazza mercantile dello stato romano in Adriatico, con una Fiera che richiama migliaia di commercianti e naviganti e mette in angustie gli anconetani preoccupati della concorrenza. In quegli anni Trieste e la marina mercantile austriaca prevalgono nettamente su tutti nell'antico golfo di Venezia. Il capitano Salvatore certamente raggiunge una discreta notorietà poiché Gaetanino Moroni ci ha tramandato che "nel tomo 19, p. 135 dell'Album di Roma si legge una bella necrologia scritta da d. Alessandro Atti pel cav. Salvatore Bernardini valoroso milite al servizio dell'Austria massime di marina, e poi suo console in diversi porti e per ultimo di Sinigaglia". Tuttavia egli non è il primo grottammarese che sia riuscito a diventare console. Prima di lui c'è stato il vecchio Francesco Saverio Giammarini a Fiume e anche i suoi proventi non dovevano esser da poco se la più che nonagenaria vedova Carlotta (o Carolina) Rastelli continua a percepire una specie di pensione di 40 scudi, che è riuscita a strappare con replicate insistenze al cardinal Camerlengo Rezzonico pochi anni dopo la morte del marito. Il fatto aveva certamente suscitato molta sensazione in paese se Mascaretti e G. Speranza lo menzionano nelle loro opere e ne attribuiscono il merito alle conclamate virtù del defunto. Certo, il successore di questi, il fermano Giacinto Cordella imparentato tra l'altro con Giosafat Ravenna jr., non aveva gradito molto la decurtazione di un quinto del suo onorario e si era battuto a fondo, insultando e maltrattando più volte la povera - si fa per dire - donna. Ma alla fine la vedova aveva prevalso. Non va dimenticato che in quegli stessi anni altri grottammaresi innalzano il vessillo dello stato estero che rappresentano proprio nel paese natale: ricordiamo solo Marino Laureati per l'Austria e Luigi Palmaroli per la Toscana. Carlo Fenili, invece, inutilmente aveva tentato di divenire console di Svezia e Norvegia. Molte famiglie Bernardini, più o meno legate tra loro da vincoli di parentela, sono presenti in quegli anni a Grottammare e si dedicano ad attività marittime.»
Toscana
Il conte Giuseppe de Choc, console generale di Toscana in Ancona, il 25 luglio 828 nomina vice console toscano a Pesaro Costantino Onesti.
4. Considerazioni
Molteplici, differenziati e mutevoli nel tempo sono gli aspetti caratteristici della materia esposta precedentemente: volendo condurne un esame critico completo ed approfondito, si dovrebbe spaziare in svariati campi disciplinari: diritto internazionale, economia, politica, finanza, istituzioni, tributi, trasporti marittimi, infrastrutture, igiene e sanità, commercio, agricoltura, ecc.
Si è pertanto ritenuto opportuno limitare le considerazioni soltanto a quegli elementi che emergono con evidenza alla prima lettura del testo.
A tal fine è utile porre una premessa di carattere storico, sia pure molto schematica e superficiale, che può contribuire a chiarire ed illuminare il significato di buona parte dei documenti.
Dalle ceneri dell'impero napoleonico risorgono gli stati del vecchio regime, ivi compreso quello pontificio che, nel primo quindicennio dalla restaurazione, deve affrontare e superare tre prove di una certa difficoltà:
- la ricostituzione dell'integrità del territorio nazionale, con l'aggregazione delle province di seconda recupera dopo la conclusione del Congresso di Vienna;
- i moti rivoluzionari del 1820-21 nel Napoletano, con riflessi anche nello stato romano;
- i moti rivoluzionari del 1831, che coinvolgono un maggior numero di oppositori.
Nel primo e nel terzo caso la S. Sede fa ricorso ad aiuti esterni, perché i mezzi a sua disposizione non le consentono di risolvere i problemi, mentre nel 1821 deve concedere il permesso di transito ad un esercito austriaco di circa 60.000 uomini.
In tutte e tre le occasioni l'Austria fornisce il suo appoggio, ma la Francia torna a recitare un ruolo di patrona-padrona dopo la fallita rivoluzione del 1831, installandosi ad Ancona dal 1832 al 1837, in contrapposizione all'impero absburgico, che aveva occupato le Legazioni. Il regno di Napoli, costretto a restituire gli ambiti territori occupati dopo la caduta di Napoleone, tenta di attribuirsi un carattere di protettore del Papato.
Nell'intreccio di relazioni che si viene così a stabilire tra queste quattro nazioni sovrane, il ruolo di Cenerentola spetta sempre allo Stato Pontificio: ne consegue che i rapporti tra i rappresentanti diplomatici e consolari delle tre potenze con i corrispondenti colleghi romani non sono immuni dallo squilibrio che naturalmente ed inevitabilmente ne deriva.
Inoltre l'Austria ha i suoi satelliti in Italia, la Toscana e Modena, che a loro volta si avvantaggiano indirettamente di questa sproporzione di forze. Anche il regno di Sardegna, quando se ne presenta l'opportunità, non perde occasione per esercitare pressioni e cercare di prevaricare lo stato del Papa.
E' questa la prima chiave di lettura a disposizione per interpretare i tanti episodi di "lesa maestà" o "tentata lesa maestà", commessi a danno del paese che li ospita dai rappresentanti consolari esteri, che spesso sono sudditi pontifici.
Alcuni conflitti sono già stati citati - qui li ricordiamo solo con i nomi dei protagonisti, Pacca-Zuccari, Gazzoli-Parke - ma altri se ne possono citare, anche se esterni al territorio in esame:
- nel 1816 il console napoletano a Civitavecchia, Accarisi, fa partire un capitano mercantile napoletano, nonostante questi fosse in libertà "dietro sicurtà" per non aver pagato un debito. Il console viene accusato di voler "riunire a se i poteri dell'autorità Territoriale";
- nel medesimo anno lo stesso Accarisi sostiene una vivace polemica con il Delegato di Civitavecchia, a proposito del rilascio dei passaporti. Il prelato si lamenta con il Segretario di Stato: «V.ra Em.za già sà per quante vie siasi tentato dai Consoli di arrogarsi delle attribuzioni giusdizionali, e ciò particolarmente per aumentare i loro profitti. Mi costa di poi che i rispettivi Nazionali sono da taluni di Essi soverchiamente gravati»;
- nel 1818 a Ponte Lagoscuro il vice console austriaco, Spiridione Tuda, giunge addirittura a far smontare il timone di una barca che non ha ancora terminato lo scarico. Ne scaturisce una accesa vertenza che, morto improvvisamente il Tuda, viene protratta ed esasperata ad opera di un presunto cancelliere del vice consolato, certo Galli, che pretende di sostituirsi al defunto pur non avendo né i requisiti né le prescritte autorizzazioni;
- anche il console sardo a Civitavecchia crea problemi: la reazione da parte pontificia è dura. Ricordata la solita distinzione tra personale diplomatico e consolare, si afferma che «la sola consuetudine (...) ha accordato ai Consoli dei riguardi personali, ma niuno peraltro reale (...) Le proprietà però dei Consoli, comprese le loro abitazioni, e gli effetti esistenti dentro le medesime, sono sottoposte ad un libero ed assoluto esercizio della giustizia. Se non fosse così, i Consoli che son possessori di Fondi o rustici, o Urbani, potrebbero impunemente eludere i loro creditori, creando una massa enorme di debiti nella Sicurezza della intangibilità ed immunità delle loro abitazioni. E' questo un abuso che nemmeno può immaginarsi (...) Non si sa dunque comprendere qual ragione abbia il Sig. Rasi, ch'è finalmente un Suddito Pontificio, di querelarsi, se la forza esecutrice del Governo ha eseguito un mandato reale nella di lui abitazione»;
- nel 1822, a Ravenna, il cardinal Legato Rusconi e le autorità locali devono penare a lungo prima di acquietare il vice console austriaco Mambelli, che protesta violentemente perché il padrone di una barca di bandiera austriaca era partito senza presentarsi preventivamente a lui.
Non si può negare né minimizzare il fatto che i funzionari consolari, a prescindere dal loro grado, siano proclivi ad esorbitare dalle loro naturali attribuzioni, maltrattando ed insolentendo poliziotti, giudici e governanti pontifici. In questo modo si comportano non solo coloro che curano gl'interessi delle nazioni sopra ricordate, fortemente sensibili a ciò che succede in Italia, ma anche i rappresentanti di stati apparentemente non coinvolti in questioni di supremazia in Italia.
Inevitabili le repliche e le prese di posizione dei burocrati, una volta tanto oppressi ed umiliati: l'accusa che più spesso muovono nei confronti dei loro "persecutori" è che, dietro la copertura della salvaguardia degli interessi e dei beni dei sudditi di nazioni straniere, essi perseguano solo fini personali.
Riteniamo che questa sia un'altra chiave di lettura, complementare ed integrativa rispetto alla prima.
Non si può dar loro completamente torto, senza arrivare a riconoscere in ciò una specie di nemesi per il comportamento abitualmente prevaricatore da essi tenuto nei confronti del normale suddito pontificio. Ma, mentre nella polemica Pacca-Zuccari e in quella tra rappresentanti austriaci e pontifici si può sospettare l'esistenza di motivi politici più o meno dissimulati, nelle vertenze per il sale (Bernabej-fisco) e per lo schooner La Pace (Parke-Gazzoli), o nelle malversazioni di Bonafede non sono percepibili particolari interessi del Portogallo, della Svezia o dell'Inghilterra, che giustifichino l'accanimento con cui il console difende i suoi diritti, veri o presunti che siano.
Non si deve comunque generalizzare, perché‚ non si dispone di tutta la documentazione e perché non mancano eccezioni: per convincersene basta leggere le lettere di Stendhal, dove entrambi gli aspetti vengono magistralmente illuminati.
Una conferma, in via presuntiva, che i privilegi conseguibili e tanto ostinatamente difesi dai consoli fossero sostanziosi ed appetibili, si può desumere da diverse circostanze:
- in numerosi casi esistono legami di parentela tra funzionari dello stesso ufficio: padre e figlio, Bernabej, Billy, Tranquilli; fratelli, Belgiovane; zio e nipote, Nocelli; non precisato, Schelini, de Choch;
- l'interesse di accedere alla carica e di moltiplicare gl'incarichi dimostrato da molti dei nominati: Fiori, Nocelli, Benincasa, Neuron;
- i casi di ricusazione dovuti a condotta infedele o a reati commessi: De Berto, de Choch, Bonafede, Quilliet.
Si può anche aggiungere a tutto ciò la vanagloria e l'ostentazione di qualcuno di questi esponenti, che scatenano le rimostranze di cittadini invidiosi che ricorrono all'arma infame della lettera anonima.
E' stata già trascritta quella dedicata a Domenico Nocelli; ora si riporta lo stralcio di un'altra missiva del 1818, relativa ad un caso tutto sommato analogo, inviata al Card. Consalvi da «il Popolo della terra di Montalto di Castro (...) Gio. Battista Alessandri (...) senza verun Titolo e senza verun permesso tiene appesi sopra la porta della di Lui casa l'Arma di Sua Santità (...) senza un espresso ordine della Segreteria di Stato (...) Onde non abbia a continuare a fare delle prepotenze sotto l'ombra della protezione delle medesime» se ne chiede l'abbassamento.
Ricorre tanto spesso l'abbinamento delle prepotenze e dell'innalzamento dello stemma di una nazione sopra la porta di casa, che non si può ritenerlo semplicemente un frutto dell'invidia. Non che questa non ci sia, ma anche le prepotenze ci sono: se i consoli si battono come leoni contro l'autorità statale, perché dovrebbero comportarsi come pecorelle nei rapporti con i semplici cittadini ?
Ci si può porre anche la domanda: fino a che punto potevano arrivare le insolenze o le prepotenze di un console? Sembrerebbe ingenuo un quesito del genere, ma non si può fare a meno di proporlo, quando il Segretario di Stato in persona arriva a simili affermazioni: «non è più permesso a chicchessia di tenere alzato ne' domini pontifici lo stemma del cessato governo. Tuttavia, siccome il far uso della forza contro chi si permette il contrario ha i suoi inconvenienti (...)», esorta il Delegato a far finta di nulla, per evitare l'intervento di chi possa pretendere il rispetto della norma.
E' una dichiarazione d'impotenza totale, cui è inutile dedicare alcun commento e che trova conferma in tanti altri episodi.
In questo caso, la controparte è l'abate Leoni, storico locale di qualche merito, che però ci viene descritto da Stendhal come uomo di poco conto e poco carattere. C'è da pensare che il Segretario, scrivendo quelle parole, pensasse alla Francia e non al Leoni. Ma la Francia avrebbe dovuto gradire la richiesta di aggiornamento dello stemma, non già adontarsi.
Perché porre regole per la nomina dei consoli, chiedere informazioni sui candidati e poi accettare situazioni del genere ?
Infatti, quando si tratta di approvare la nomina di persone definite sospette a seguito d'indagini svolte dalla polizia o d'informazioni pervenute per altra via, la conclusione non sempre è quella che ci si aspetterebbe, cioè il rifiuto dell'exequatur: Quilliet e Thiers ottengono l'abilitazione, come pure Stendhal, a proposito del quale sarebbe interessante reperire l'incartamento relativo alle informazioni che lo riguardano. Per ottenere il benestare alla nomina di Stendhal certamente la diplomazia francese ha svolto un sagace lavoro, alternando promesse a pressioni e minacce.
Probabilmente nella lotta sotterranea, impegnata tra i sostenitori di Francia ed Austria per affermare la supremazia della potenza per cui parteggiano, la Francia uscita dai moti del 1830 con un re di radici democratiche sta acquistando simpatie nelle alte sfere vaticane e riesce ad ottenere concessioni impensabili in altri tempi, grazie anche all'apertura nei confronti dei liberali promossa dal card. Bernetti.
Basti pensare che pochi anni prima Raffaele de Minicis, proposto vice console austriaco a Fermo, viene respinto per il suo passato rivoluzionario, nonostante il ravvedimento intervenuto nel frattempo, come pure vengono ricusati altri candidati austriaci, questi ultimi anche per comportamento censurabile in campi diversi dal politico.
Non è pensabile ad una serie continua d'infortuni diplomatici commessi dall'Austria, è più realistico pensare ad un cambiamento di orientamento, ad una diversa scelta di fondo operata dai governanti pontifici né, d'altra parte, si potrebbe pretendere che dei politici, anche se ecclesiastici, restino fedeli a principi e regole stabiliti dieci anni prima.
Di lì a quasi vent'anni, i risultati di questa coperta azione francese saranno evidenti: la repubblica romana sarà liquidata dalle truppe del generale Oudinot.
Ma non sono lontani nemmeno gli anni 60-70, che decretano la fine del potere temporale. Ormai le intime e profonde contraddizioni di uno stato retto da un sovrano che può trovarsi in conflitto con se stesso a seconda che vesta i panni del pastore di anime o del capo di stato laico, già emerse da tempo, sono arrivate alla fase di rottura.
Tracce di questa situazione si possono cogliere in episodi, relazioni e commenti di avvenimenti in cui si trovano coinvolti i consoli esteri, testimoni-attori-spettatori di uno spettacolo in cui la parte di protagonista è sostenuta da una società alla ricerca di maggiori libertà individuali, maggiore benessere e minore sottomissione a qualsiasi forma di autorità politica e religiosa.
5. Conclusioni
Sono stati esposti i risultati di ricerche effettuate in alcuni archivi e sono state illustrate, sia pure parzialmente, attività e vicende dei consolati esteri operanti nelle Marche pontificie nella prima metà del XIX secolo.
Le corrispondenze consolari indubbiamente costituiscono una delle fonti più ricche e variate a disposizione degli studiosi per allargare la conoscenza degli avvenimenti in cui vennero coinvolti questi rappresentanti degl'interessi di paesi stranieri, ma è indispensabile che vengano inserite in un appropriato quadro complessivo, non trascurando assolutamente le fonti diplomatiche ufficiali ad esse collegabili.
Il presente lavoro è basato solo su parte della ricca documentazione esistente sulla materia e potrebbe essere ampiamente sviluppato estendendo le indagini, oltre che nelle sedi già visitate ed in particolare a Napoli, anche in Ancona, Pesaro, Firenze, Torino, Modena, Parigi, nelle altre città cui poteva essere indirizzata la corrispondenza di questi uffici distribuiti capillarmente lungo la costa e negli archivi del Ministero degli affari esteri.
Tanto meno andrebbero trascurati gli archivi storici ecclesiastici, come quelli di Fermo, Ancona, Macerata e di altre località dove esisteva una cattedra vescovile, e i superstiti archivi di famiglie che hanno svolto funzioni consolari, tra le quali ricordiamo la Salvadori, la Vinci, la Palmaroli, la Benincasa e la Bernabej.
Fonti archivistiche
Archivio Segreto Vaticano (ASV)
La rubrica 297 fasc. 7 anni 1831-32 - America - è nella busta 590.
Archivio di Stato di Napoli (ASN):
buste dalla 2417 alla 2440: Ancona dal 1731 al 1860;
buste dalla 2919 alla 2926: Pesaro, Fano e diversi, dal 1739 al 1825;
buste dalla 2970 alla 2982: Senigallia dal 1734 1826
busta 4149: Consolati vari, 1836-1847;
busta 4176: misure contro i barbareschi, 1801-1820;
busta 4454: convenzione doganale;
busta 4722: Ancona, Accarisi; evc.
Archivio di Stato di Roma (ASR):
- Camerlengato, parte I, Affari esteri, buste 47, 48 e 50.
- Camerlengato, parte II, Affari esteri, Titolo V, volume 182:
buste oggetto
314 - console svedese in Ancona; stato nominativo 1827
316 - diritti consolari; consolato levantino in Ancona
318 - v. consolato napoletano a Pesaro e Senigallia
320 - v. consolato russo in Ancona
321 - v. consolato toscano a Pesaro
322 - consolato toscano in Ancona
323 - v. consolato danese in Ancona e Fermo, consolato levantino in Ancona
324 - consolato levantino in Ancona
326 - consolato austriaco in Ancona; v. consolato austriaco a Pesaro; consolato
toscano in Ancona
327 - consolato pontificio in Grecia
328 - consolato annoverese in Ancona
329 - consolato brasiliano in Ancona; v. consolato danese a Senigallia arrivi di
navi nel porto di Ancona
331 - contumacia porti pontifici
332 - agenzia consolare, vice consolato e consolato USA in Ancona;
consolati belga e inglese in Ancona; consolati olandese e toscano in Ancona;v. consolato. toscano a Loreto
333 - consolato levantino in Ancona; vice consolato inglese a Senigallia.
Camerlengato, parte II,Poste, titolo VI, buste 399 e 415.
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