Confidenze tra amici
Giuseppe Gioacchino Belli e Giuseppe Neroni Cancelli
Una rilettura degli autografi di Giuseppe Gioachino Belli
(testo di una conferenza tenuta all’UTEFE il 7 maggio 1996 e parzialmente pubblicato in La Riviera delle Palme 3-2002, pp. 19-20
Non costituisce certamente una novità ricordare il lungo ed amichevole rapporto intercorso fra il poeta romano ed il nobile ripano, divenuto a tutti gli effetti cittadino sambenedettese, e la corrispondenza intrattenuta tra i due per più di un ventennio.
L'esplorazione dell'epistolario, tuttavia, può riservare ancora alcune sorprese, più che la scoperta di inediti, dato che ormai quasi tutto è stato già pubblicato.(1)
Nel caso particolare, estrarremo dalle lettere dirette a Giuseppe Neroni Cancelli i brani che abbiano un riferimento alle Marche meridionali e li disporremo in ordine cronologico, con poche parole introduttive nel testo e le indispensabili notizie esplicative in nota, in modo da definire un appropriato quadro di riferimento.
Si ottiene così una sorta di monologo autobiografico, scandito dalle (apparentemente) poche gioie reali e dalle molte sventure (spesso esasperate dalla malattia).
Gran parte delle lettere, scritte prima della morte della moglie di Belli, contengono notizie di carattere familiare, resoconti di viaggi, scambi di saluti con la numerosa cerchia di amici del Neroni. Ma vi sono anche alcune confidenze e prese di posizione che recano nuova luce su particolarità "locali" finora trascurate, quali la rivalità tra Grottammare e S. Benedetto; l'avversione di Belli per Ascoli Piceno ed il suo aspro dialetto (2), nonché la sua scarsa simpatia per Fermo; la passione per la musica coltivata dalla famiglia Neroni; l'opportunità di
soggiornare più o meno a lungo nel Piceno da parte del poeta romano; i giudizi sull'opera letteraria del Neroni; varie poesie d'occasione per celebrare o commentare ricorrenze di vario genere, matrimoni, morti, ecc.(3)
Il quadro che si ricava dalle lettere del primo quindicennio cambia totalmente dopo la morte di Mariuccia.
Preoccupazioni di carattere economico assillano il poeta.
Malattie di vario genere lo affliggono. L'ispirazione viene meno. Deve limitare i viaggi: addio Milano, Napoli, Morrovalle, Ripatransone, S. Benedetto. La meta ora, ma non spesso come una volta, è Perugia dove un collegio ospita il figlio Ciro, studente. Per la sua futura sistemazione, al termine dei corsi scolastici, insorgono preoccupazioni a non finire. Prorompe anche la gioia tra il 1843 e il 1844, per
la possibilità di effettuare un viaggio nella Marca, a Morrovalle ed a S. Benedetto.
Parallelamente assistiamo anche al declino di Neroni, la cui salute preoccupa Belli più volte.
Ciò nonostante il patrizio ripano si presta ad incassare a Fermo e ad inviare a Roma per una diecina d'anni, con cadenza tendenzialmente trimestrale, una somma di poco più di quaranta scudi (14,6 scudi per tre mesi), derivante da un debito contratto dal marchese Antonio Trevisani di Fermo con Maria Pichi, causa di continue amarezze a Belli sia per le
ineliminabili difficoltà burocratiche connesse al soddisfacimento dell'impegno sia per il blocco delle riscossioni provocato dal debitore. Allora è un susseguirsi di lettere a Neroni con istruzioni, sollecitazioni e promemoria che, apparentemente, non riescono a modificare la situazione ma ci fanno comprendere quanto fossero scarse e
precarie le rendite del Belli, vedovo di Mariuccia. Tutto ciò ci aiuta a capire quanto grande possa essere stato il suo sconvolgimento nel 1845, alla scoperta che Neroni ha trattenuto irregolarmente parte dell'incasso. Nonostante la buona volontà dimostrata in quel frangente da entrambe le parti la delusione provata accelera la fine della corrispondenza e molto probabilmente dell'amicizia più che ventennale, anche se nel frattempo la situazione finanziaria del Belli è migliorata ed il danno subito risulta contenuto.
Questa circostanza ci sembra poco nota, nonostante Liburdi affermi il contrario.
Mentre nel primo periodo, 1820-1837, quasi ogni lettera concede spazio a battute ed a saluti agli amici piceni, col passare degli anni solo raramente ci si rammenta di loro, fatta eccezione per l'epoca immediatamente successiva al viaggio del 1844. Crediamo utile ricordare i nomi di questi personaggi: oltre alla cerchia dei familiari di Neroni (il padre cav. Pietro Paolo con la moglie contessa Tecla Mucciarelli (4); la moglie Pacifica Cancelli con i figli Guglielmo, Emidio - marito di Chiarina Frisciotti e padre di Pierino - e Chiarina, la quale nel 1839 sposa Secondo Moretti, da cui ha Gino; i fratelli Emidio, Filippo e "il povero D. Flavio"(5); la sorella Teresa con i figli Costanzino e Checcuccia), vanno menzionati il cavaliere Jackson Centini (6); il conte Orazio Piccolomini; "il caro Vulpiani", D. Giusto; Gabriele e "gli altri" Voltattorni Giuseppe e la moglie, i fratelli Francesco e Antonio) (7); "il caro" Pippo Lenti e la moglie; il signor Checco; la signora Vittoria e "quell'altra Signora che tanto bene sa cantare: e zucche e zucche e cici"; don Antonio Pajelli; Pavoj (?); Luigi Vitali Cantalamessa (detto a volte Messacantata) e la sua Marianna, "Messieurs le Chanoin de la Garde et ses respectables frères"; De Paolis; i marchesi Bruti Liberati; i marchesi Guidi; ecc.
Va anche rilevato che, a parte una lettera al marchese Filippo Bruti Liberati, la corrispondenza è sempre indirizzata a Neroni Cancelli. Ciò potrebbe essere dovuto alla preminenza del rapporto con il cavaliere, che ospitava il poeta nelle sue case, od alla dispersione dell'epistolario cogli altri corrispondenti o ad entrambe le cause. In mancanza di testimonianze sicure, noi propendiamo per la prima ipotesi.
Cominciamo ora a trascrivere brani degli scritti di Belli e di Neroni, cercando di rispettare la cadenza cronologica, per quanto possibile.
"Che Roma non istia tra le prime città che gareggiano di gusto teatrale, io ve l'ho concesso, e ve lo torno a concedere. Ma che Fermo debba noversarsi tra queste, che vincano Roma, io non saprei esserne persuaso. Perché malgrado tutta l'abiezzione, in cui il governo ecclesiastico tiene le cose teatrali, pure Roma e per l'essere capitale, e pel numero della popolazione, e per la quantità degli stranieri che vi concorrono, può facilmente superare tutto ciò, che di maggiore sforzo può operare Fermo sulle sue scene. Lasciamo però Fermo dove si trova, io vi assicuro che in quest'anno i nostri teatri sono un'altra cosa."(8)
"Ben tornato adunque da Fermo, dove io l'affermo che non istarei fermo tre ore, per esservi stato infermo tre dì."(9)
"Ancora mi pare di essere a S. Benedetto, di passeggiare con libertà nelle vostre stanze, di udirvi a suonare il bassé ed il clavettone, di valicare nel vostro legno il tesino, o ticino che sia; insomma di conversare con voi, e cogli amici che vi siete scelti per compagnia della vostra vita tranquilla."(10)
"A Ripatransone no, pel suo clima, ma a S. Benedetto avrei desiderato passare il prossimo autunno, e l'inverno, e la seguente primavera; e già voi lo sapete."(11)
Compaiono anche una punta di campanilismo e critiche verso comunità confinanti con S. Benedetto, non si comprende se dovute a conoscenza diretta o mediata dei problemi.
"Ho veramente goduto, che le genti di S. Benedetto abbiano avuto un successo non ottenuto da quelle della superba Grottammare, la quale ostenta sopra S. Benedetto tanta superiorità, quanta S. Benedetto sopra di lei può giustamente vantare."(12)
In una lettera senza data ricorda Luigi Cantalamessa e Do' Ndò Bomignate (forse il Donn'Andò rivale di don Pizzi, ricordato da Liburdi). Inoltre dice all'amico: "Vi prego incaricare Grabbielle del ritiro delle mie lettere."(13)
In altra si duole della morte della ottima Sig.ra Marianna Mucciarelli e del dolore di Tecla e Chiarina.
Allega la bozza di una lapide a lei dedicata, dalla quale apprendiamo che il marito Flavio era morto il 16 febbraio 1787, mentre ella, nata "Maria Anna Novia Comitis (...) Pr. Idus Iunius 1726" era morta "III Non. Oct. 1821."(14)
"Mi fu mostrato dalla Sig.ra Teresa quel paragrafo della vostra lettera, in cui dicevate, che voi medesimo avreste portato alla Ripa la risposta al mio biglietto direttovi da Marano. Ma io non vi vedo, e vi aspetto con ansietà per darvi un amplesso così alla buona alla buona, o come si dice Santo fasone."(15)
"E poi quel disegno! Quella benedetta scala! ... Quel povero Jaxon! ... Ammazzato da un carnefice inglese!"(16)
"Ho ascoltato con piacere i rapidi progressi nella musica" dei figli di Giuseppe Neroni Cancelli, "oggetto principale della vostra passione per le nobile discipline."(17)
"Come va il violino in cui uno particolarm.e fra i vostri figli così bene si distingueva sin da quando io empievo il Piceno dei miei dolori colici ?"(18)
"So de' vostri due figli che han dato soggetto ad encomi pubblici per la loro eccellenza nella bell'arte che vi ha sempre sedotto."(19)
Da una lettera di Neroni cogliamo l'espressione dell'intensità dell'amicizia che lo lega al poeta romano:
"Mio carissimo amico mi è pervenuta quest'oggi la vostra dolcissima lettera, dalla quale ho sempre più conosciuto quanto siete cortese verso gli amici vostri. Io vi rendo le maggiori grazie dell'arrendevolezza che avete per me, e desidero qualche opportunità per dimostrare con le opere ciò che non potrei bene esprimere con la penna. E'vero che ebbi la fortuna di essere promosso da S. M. il Re di Napoli a Cavaliere del Real Ordine di Francesco Primo, e di ricevere in dono una bellissima corrispondente decorazione. E questa mia fortuna è tutta dovuta alla magnanimità dell'Augusto Principe giusto, saggio, e virtuoso, che in giovane età, mostrando maturo senno, forma la vera delizia de' contentissimi suoi sudditi, veramente felici, ed invidiabili. Nello scorso anno mi faceste concepire la speranza di rivedervi nuovamente nelle nostre Marche; oggi sento che già eseguiste il vostro solito viaggetto, per altre più fortunate contrade. Almeno nell'anno avvenire ricordatevi di noi; e prevenitemi della direzione che sarete per prendere, desiderando io di venire a riabbracciarvi. La mia vita è più ritirata che mai, tanto più che da tutte le parti siamo circondati da cose che ci rattristano, e da miseria sempre crescente, per cui non mi allontano mai dai miei figli, che oggi tengono sollevato il mio spirito, e mi sono di lietissima compagnia, specialmente nel nostro musicale esercizio della sera. Rinnovatemi servo dell'ottima Vostra Sig.ra Maria, e ditele molte cose a mio nome: adoperatemi in tutto che valga: aggradite gli ossequi di mia famiglia, ed abbiatemi all'amicizia vostra fortemente raccomandato."(20)
"Ritornato appena da una delle mie frequenti escursioni a Perugia, dove ho il mio Ciro in collegio, mi son veduto ricapitare in nome di vostro fratello Filippo due esemplari di una lettera di Evéno Aganippeo ad un suo amico, diretti da Voi con sopraffascia uno a mia moglie ed uno a me. Potete pensare se questo invio mi ha fatto piacere, e se me lo ha fatto per più titoli, tanto come un testimonio del non essere io mai morto nella vostra memoria, quanto pel pregio dell'opera e per l'interesse della relazione che la costituisce. Ed io che vostra mercè conosco codesti luoghi e li conosco sì bene, ho, leggendo la Vostra descrizione, creduto quasi di rivederli in realtà, e provato un senso quasi di soddisfazione al cui complemento non manca che la vostra compagnia.
Il racconto poi del rappacificamento tra i due paesi vi so dir che mi ha commosso fino a inumidirmi gli occhi: tanto i generosi atti di virtù signoreggiano il cuore umano.
Intorno al quale avvenimento una curiosità mi rimane da appagare e una preghiera da farvi. Chi fu quel gentile, sul capo del quale pose Apollo la corona come al principale promotore della riconciliazione di due popoli? Scommetterei qualunque cosa non preziosa della vostra amicizia essere stato colui, che si nomina alle linee 18 e 24 della pagina 6a, due linee degne d'essere incise in bronzo. Se mi sono ingannato nella mia congettura dovrò credere che in S. Benedetto viva un altro Voi stesso."(21)
A proposito del matrimonio di Filippo Neroni: "Sul di lui mutamento di stato, che io ignoravo, la penso appunto come Voi, e credo che quello che in ciò gli è accaduto di meglio sia la erudita, dotta, elegante, disinvolta e giudiziosa epistola che gli avete indirizzata per festeggiare le sue gioie colla gloria della vostra patria comune. Bella mente sana che avete! Invidio la chiarezza e semplicità de' vostri argomenti, sì liberi dagli arzigogoli stiracchiati di tanti archeologi e storiografi che si lambiccano il cervelluzzo per accomodar colori su un disegno che non vorrebbe riceverli. Voi avete condotto le vostre assennate ricerche sin dove l'ipotesi confina e si confonde colla verità Eccovi il mio schietto giudizio. Se ho errato mi piace aver errato con Voi."(22)
Per la pubblicazione di un'opera di Neroni sul Giornale Arcadico: "Direttissimi rapporti amichevoli io non ho coi compilatori del giornale arcadico, ma non mi è mancato mezzo di pormi con essi in comunicazione riguardo all'articolo che desiderate inserito nello stesso giornale. Jeri sera consegnai la vostra epistola a un bravo giovane, amico d'uno de più influenti collaboratori, onde lo impegni ad appagare il mio nel vostro desiderio."(23)
"La vostra illustrazione archeologica della città di Ripatransone è ora in mano del Signor Salvador Botti, uno de' primi compilatori del giornale arcadico, e sono stato assicurato da chi gliel'ha transmessa che o comparirà tutta intera nel giornale o ne verrà in quello fatta menzione. Voglio sperare di non esser deluso."(24)
"Non solo, Neroni mio, io feci ripetere al Sig. Botti le mie speciali istanze per l'inclusione della vostra epistola nel giornale arcadico, ma ho pochi giorni addietro parlato al P. Biolchini Segretario dello stesso giornale onde mi compiacciano col regalare alla letteratura o la ristampa o la onorevole menzione del vostro erudito e giudizioso lavoro. Il sì è stata sempre la risposta a tutte le mie istanze. Staremo a vedere."(25)
"E' finalmente pubblicato questo volume del giornale arcadico, da me atteso con tanta impazienza perchè doveva esso contenere l'articolo della vostra dissertazione intorno a Cupra Marittima oggi Ripatransone. Il giornale cammina già sempre con molta lentezza. Ma questa volta si è fatto anche più aspettare essendosi trattenuto sotto i torchi quanto bastasse per dar tempo alla stampa di tre fascicoli mensili tutti in un corpo. Pubblicatosi appena il volume, il Cavalier Fabi Montani, autore dell'articolo che vi risguarda, conoscendo la mia premura per esso me ne ha inviato a casa una specie d'estratto che io vi spedisco oggi sotto fascia onde possiate leggerlo subito e vedere con qual rispetto vi si parla della vostra opera e de' vostri talenti. Dei quali persuaso io quanto e più che tutt'altri vi esorto e prego di continuare a spendere il fine vostro criterio e la vostra non comune erudizione in aiuto delle
archeologiche ricerche italiane, fin qui non poco strapazzate da menti o poetiche troppo, o preoccupate o leggere e salvo le eccezioni comandatemi dalla patria (...)Intanto avendo io dovuto donare al Cav.e Fabi Montani il vostro libretto vorrei pregarvi mandarmene un altro colla istessa memoria di vostro carattere che ricordi sempre essermi da voi stato donato."(26)
"Ricordatevi, Neroni mio, che io dovetti donare al cav. Fabi Montani la vostra dimostrazione (?) archeologica. Ne vorrei una copia per me arricchita del vostro nome a penna a memoria del dono."(27)
"Ricordatevi, mio caro e valoroso amico, che se pubblicherete qualche altro vostro lavoro, o archeologico o d'altra natura, io mi terrò in credito di un esemplare, e non vi assolverò mai dal peccato della omissione."(28)
"Vi vengo incontro con questa mia per pregarvi a non disgradire un meschinissimo segno della mia amicizia. In questo stesso ordinario io Vi spedisco un esemplare di certi miei versi della cui stampa ecco la storia (...) Ecco insomma il libro. A me ne furono donate cinque copie: il resto si vende per rimborsare chi ha avuto il coraggio di farne le spese. Delle mie cinque copie una doveva appartenere di diritto al mio caro Neroni. Ve la offro, e Vi prego a tenervela non per alcun suo risguardo ma in testimonio della mia memoria per Voi."(29)
"Voi mi chiedete un'elegia in onore del vostro buon padre. Vi prometto che me ne occuperò, ma vi prego di concedermi qualche poco di tempo perchè il lungo mio dolore di capo /che di tempo in tempo mi va risaltando/ mi ha lasciato la mente vacua tanto è incapace di sforzi intellettuali da bastarmi appena per soddisfare alle molte mie occupazioni intese alla sussistenza di mio figlio. Vi ripeto però, e ve lo assicuro sull'onor mio: me ne occuperò, e spero che Dio vorrà benedire questo mio ardentissimo desiderio."(30)
"Non ho neppur coraggio di comparirvi d'innanzi. Voi vi meravigliereste forse della mia poca gratitudine ai vostri continui favori. Non mi giudicate così, amico mio: piuttosto compatite al mio stato. Dall'ultima mia lettera fino a questo presente giorno io non ho un momento cessato di pensare al piccolo servizio che avevate avuto la bontà di chiedermi, ed ho sotto gli occhi tanti e tanti scarabattoli di pensieri abbozzati, coi quali cominciare almeno un lavoro che mi sarebbe stato sì caro di compiere. La mia testa però non vuol darmi tregua; e appena io faccio qualche sforzo per obbligarla a meditare, arrivo al punto che mi sembra
d'impazzire ... Dunque, Neroni mio, mi vorrete voi male del non avervi compiaciuto? Ma non sarebbe stata per me una consolazione l'impiegar la mia penna in servizio di un amico quale voi siete, in cosa specialmente che mi fu sempre sì dolce esercitare? I due amici che più mi avvicinano e mi confortano colla loro affezione, sono a parte della mia pena per non potervi dare una sì piccol prova della mia deferenza e gratitudine. Ma a che giova la mia ardente volontà? A turbarmi sempre più la mente, allorchè questa niega di prestarsi agli impulsi di quella. Non potere scrivere un verso! Ne ho fatti tanti, ed oggi prender la penna e star lì
fisso e stupido come una statua! Ne sono umiliato. Ho tardato fino ad oggi a scrivervi, sperando sempre... Ma è inutile lo sperare. Compatitemi e non mi ritogliete col vostro affetto le gentilezze vostre."(31)
"Io poi non comprendo come il vostro bell'animo, e lo spirito sì illuminato di cui siete fornito, possano permettervi di cadere in tanto smarrimento quanto ne rilevo delle lettere che mi inviate. Se io vi fossi vicino tenterei d'indagare il luogo e la natura della vostra pena per procurare di versarvi qualche balsamo di consolazione. Comunque non lasciate però abbattervi da tanto avvilimento e ricordatevi che lo avvilirsi appartiene ai tristi più che agli spiriti vostri pari."(32)
"Eccovi, e me ne dispiace, una elegiaccia pel fu vostro buon padre. Risponde al concetto che mi suggeriste: cioè un figlio sulla tomba del padre. Caro Neroni, prendete questa infima cosa, spremuta a forza da un cervello addolorato e da un cuore tutt'altro che disposto all'esercizio delle lettere. Ma a Voi non poteva io dir no, e la vostra amicizia è stata la mia musa. Se ne volete fare qualche uso /e sarebbe meglio il contrario/ tacete pure il mio nome; e quando mai la facciate ricopiare avvertite lo scrittore di attenersi esattamente alla ortografia e special.e all'interpunzione dell'originale.(33) Vi annetto qualche importanza, e più che a tutto il complesso del testo.
Perdonatemi di nuovo, Neroni mio: adesso nè io so ne posso far meglio. Vi basti il buonvolere ... Vi ricorderete avervi io altra volta richiesto per lettera un'altro esemplare dell'opera vostra su Ripatransone. Quello primo mi fu forza cederlo all'autore dell'articolo che gliene feci mettere sul giornale arcadico. E se mi volete favorire il 2° esemplare che vi chiedo, vi prego notarci di vostro carattere la
memoria del dono".(34)
"Nella mia 14 corr., in seno alla quale vi spedii il mio meschino articolo necrologico per l'eccellente V.ro padre defunto."(35)
"Il primo atto della mia vigilanza sia il rendervi somme grazie pel dono de' tre vostri lavori che io farò rilegare fra le miscellanee che più mi piace di conservare."(36)
"Ditemi se aveste l'articolo necrologico in forma di lettera che io vi spedii. La vostra letterina di giugno non me ne fa motto. Quel mio articolo è una meschinità, ma spero avrete almeno aggradito il mio buon volere di servirvi come io so e posso fare."(37)
"Trattandosi d'incomodo che vi do, io affrancava le mie lettere per dovere. Voi nol volete: dunque, povero Martire di amico, pagate anche la posta."(38)
"In un vostro poscritto trovo una esclamaz.e contro il Sr Marchese Trevisani. Della sua birberia ero già persuaso: ma forse ne ha dato qualche nuovo saggio recente?"(39)
Nella corrispondenza dell'anno 1842, ancor più che in quella successiva, prevalgono nettamente le richieste di chiarimenti sui conteggi eseguiti dalla Tesoreria di Fermo e sui ritardi nella spedizione dei soldi nonché i solleciti perché questi vengano inviati a Roma il più presto possibile.
Inoltre, nel 1843, comincia a prender corpo il progetto di un viaggio nelle Marche che, rimandato per sopravvenuta malattia, troverà realizzazione l'anno successivo. Si avvicina anche il momento, dopo lettere e lettere piene di scuse del Belli per i disturbi arrecati all'amico e di ringraziamenti per l'opera da lui prestata, in cui emergerà, siamo ormai giunti al 1845, una differenza di circa sessanta scudi tra le somme prelevate a Fermo e quelle spedite a Roma. Nonostante l'amicizia, il Belli non risparmia aspre parole a Neroni, il quale dopo aver cercato di scolparsi con maldestra goffaggine, si rimette all'onestà del poeta ma lo scongiura di accordargli una dilazione per il pagamento della somma.
Superato questo momento difficile la corrispondenza (almeno quella conservata in originale alla biblioteca di Macerata ed in copia alla Nazionale di Roma) durerà ancora altri due anni. Non abbiamo potuto accertare se l'interruzione sia dovuta all'indisponibilità di altre lettere o alla rottura dei rapporti tra i due amici.
La moglie di Neroni, Pacifica, nel 1842 cade e s'infortuna gravemente alle gambe. L'anno successivo è Neroni a cadere, nel sotterraneo, ed anche per lui, come per la consorte Belli prodiga parole affettuosamente
consolatorie.
Poi si elettrizza al pensiero del viaggio: "Chi sa poi che nel futuro ottobre non mi riesca di volare a farvi una visita di 24 ore! Lo spero, ma non son più io! Basta, vedremo".(40)
"Nella seconda metà di ottobre spero di dare una fuggita a S. Benedetto per trattenermi sole 24 ore a solo scopo di riabbracciarvi e farvi conoscere mio figlio. Avrò i giorni numerati e non potrò dimorarvi un minuto di più".(41)
"Ho dovuto nel pp° ottobre rinunciare al mio favorito progetto di venire a farvi una visita. Mandai a Macerata mio figlio affidato a certi amici, ed era mia intenzione di recarmi poi colà a riprenderlo per condurlo da Voi, e quindi tornare indietro con esso. Ma sono stato quasi sempre in letto con reuma di petto; cosicchè, differito di giorno in giorno il mio viaggio, ho dovuto finire col far retrocedere a Roma mio figlio senza di me, ed a chinare il capo ai voleri del cielo."(42)
"Cinque miei amici, a malgrado della ripugnanza in me trovata per intieri tre anni, mi carpirono finalmente il consenso per stampare, a tutto lor carico, rischio e pericolo, alcuni altri miei versi ... Il libro insomma è già fatto, e il primo esemplare a me datone dagli editori, è Vostro; a cotale offerta spingendomi la molta amicizia che a
Voi mi lega, la ancor molta indulgenza che sempre provocaste a miei poveri vaniloqui rimati, e le moltissime obbligazioni che Vi professo per tanti bei tratti di gentilezza di cui mi voleste in ogni tempo onorare. Nello spedirvi per la posta il libro, di una cosa intanto vi prego, ed è che se da qualcuno udiste un dì o l'altro biasimare l'asprezza di certe opinioni o frasi sparse qua e là ne' miei versi, vogliate amichevolmente difendermi col sostenere sulla mia parola che nel pingere o vizi, o difetti, o ridicolaggini, non intesi mai generalizzare, portando io rispetto a quanto nella società merita riverenza per comune consentimento degli uomini. Così pure, qualora alcun cittadino di Fermo credesse dover dolersi della epistola toccante quella Onorevol Città, rendetelo persuaso di ridurvi a sola celia ogni mia frase o concetto. ... Non vedo l'ora d'abbracciarvi, ma lo potrò? ..."(43)
"L'aggradimento dei miei versi da Voi mostrato colla ultima Vostra del 9 aprile non può esser da me attribuita fuorchè alla amichevole parzialità che sempre vi piacque avere per me. E' vero: mi fate ricordare di una circostanza che più non mi era presente, cioè che la epistola allo Spada
fu da me composta mentre io godea della cara ospitalità da Voi accordatami nel Vostro tetto. Tra il manoscritto però che ne conservate e la stampa del libro, troverete qualche diversità, perchè nel primo eranmi corsi varii spropositi: sia detto, è giusta una confessione, mentre purtuttavia non son contento neppure del testo a stampa ... Se un po' più in là posso ottenere un permesso di assenza dall'impiego a titolo di salute, medito farvi una visita. Ma anche nel 1843 ebbi questo progetto e poi me lo vidi franare. Non siamo mai padroni di noi in questo mondo."(44)
"Io /e tutto ciò che dico in mio nome lo esprimo anche da parte di Ciro/ ho portato meco e per sempre conserverò la profonda sensazione delle delicate e disinvolte cortesie prodigate su noi dalla cara Vostra amicizia e dalla cordiale bontà di tutta la Vostra famiglia. Siete tutti sì amabili ed obbliganti che io non cesserò mai di citarvi per esempio di gentilezza. Pregovi, mio caro Neroni, di farvi interprete dei miei sentimenti di gratitudine presso ciascuna delle virtuose persone che vi appartengono e che son degne del Vostro amore sì come Voi meritate il loro rispetto e la lor tenerezza. Ricordate la servitù mia e di mio figlio a ciascuna di esse: alla Sig.a Pacifica, alla Sig.ra Chiaretta, ai Sigg.i Emidio e Guglielmo, alla Sig.a Moretti collo sposo non che al Sr Flavio colla Sa Giovanna, e date un bacio ai vostri graziosi nipotini. Riveriamo anche il Sig.r Reali. Mille cose poi, di grazia, al Sr Governatore, ai conjugi MMi Bruti e MMi Guidi, alla Signora Felicina
Fiorani, e ai fratelli SSi Giuseppe ed Antonio Voltattorni ... La mia testa va sempre del solito: fiacca e stonata. Del cuore però ne son tuttora padrone io; e finchè mi palpiterà in seno. lo impiegherò in amare chi ha titoli alla mia affezione, e Voi specialmente di cui mi onoro ripetermi obb.mo a.co vero e serv.e d.mo."(45)
"Ne' nostri privati colloqui spesso da noi si ritorna al discorso sulle tante e graziose testimonianze di bontà e di amicizia datemi da Voi e dalla vostra cara famiglia durante il nostro soggiorno in codesta ospitaliera e deliziosa vostra abitazione; e soffra la vostra modestia che io vi ripeta, anche in nome di Ciro, che pochi uomini sanno essere obbliganti cogli amici al pari di voi, seppure tutti non li superate nel che seguono assai bene il vostro costume e la vostra Signora e i vostri figli e la gentilissima Nuora, ai quali vi preghiamo ricordarci con affettuose parole, come ancora al Sr. D. Flavio e alla moglie, facendo poi molte carezze per noi alle amabili creature vostre nipoti.
Giunse quì a me diretto un opuscolo del Sr Mse Filippo Bruti Liberati, per le nozza Casari-Avia. Io ne ringrazierei direttamente il gentilissimo donatore se sapessi ove attualmente egli dimori, giacchè mi fu detto esser partito da S. Benedetto in seguito di una violenta malattia della di lui Signora: notizia che molto mi rattristò. Se mai fosse tornato costì, pregovi ringraziarlo in mio nome, e fargli insieme sentire la parte che io prendo alla sua disgrazia, come pure la mia speranza del totale ristabilimento della Sig.ra Marchesa.
Se i coniugi Sri Msi Guidi sono costì, mi obbligherete nel riverirli in mio nome. Porgete ancora di grazia, i miei rispetti alla Signora Fiorani, al Signor Governatore Spagnoli, alla Signora vostra figlia collo Sposo, e infine a quanti vi appartengono per amicizia o per sangue."(46)
"Ne' voti che formate pel ristabilimento della mia salute io riconosco quell'amichevole bontà di cui sempre mi deste prova da circa ben 26 anni a questa parte, senza mai smentirla in un solo incontro e per un solo momento. L'affare però della mia salute non va certo a seconda de' desideri vostri e de' miei ... Non potei udire senza profondo rammarico le sventura toccata al Marchese Bruti nella persona della eccellente Dama sua moglie ... PS. Ditemi qualcosa della Marchesa Bruti e del Marchese ancora, il quale pregovi riverire in mio nome."(47)
Siamo nel 1845. La lettera che segue testimonia quale sconvolgimento abbia portato nella vita di Belli la scoperta delle irregolarità commesse da Neroni nella cura dei suoi interessi. Probabilmente questi non aveva conservato in ordine o aveva smarrito alcune ricevute della Cassa e quietanze del Belli ed aveva così perso il filo della pratica. Dopo aver esposto dettagliatamente cifre e date delle varie operazioni GGB dà sfogo alla sua rabbia, pur trattenuto dall'affetto nei confronti dell'amico e, forse, anche dall'interesse di mantenere una relazione sociale preziosa: "Terminiamo adunque subito e in pace siffatta pendenza, ed evitiamo quanto di disgusto e indecente potrebbe altrimenti derivarne qualora vi piacesse contrastarmi la soddisfazione di mandar quieta ed occulta a chiunque altri una differenza nata fra due vecchi amici a cui ripugna rinunziare al loro amichevole affetto. Non mi rispondete pertanto più in modo equivoco ed evasivo, siccome, diciamolo liberamente, usate già da qualche anno; e ritorni così la buona intelligenza fra noi, o, per dir meglio, mantengasi."(48)
Va osservato che già da molti anni Belli si era trovato a trattare casi del genere con aristocratici, ai quali però non era legato da così stretti vincoli d'amicizia: ricordiamo la vertenza con i marchesi Antaldi di Pesaro, protrattasi per molti anni, dal 1828 al 1836 almeno.(49)
Neroni sostanzialmente si rimette all'onestà dell'amico e chiede una dilazione di alcuni mesi prima di restituire 65,64 scudi. Malattie ed infortuni colpiscono sua moglie Pacifica e due nipotini.(50) Ma non basta. Muore anche la nuora: "Qual morte! Che colpo per Voi, pel povero Sr Emidio e per tutta la vostra famiglia ... Così giovane, così gentile, così buona, madre di teneri figli!"(51)
Con queste ultime parole si conclude il nostro excursus nella corrispondenza privata di due personaggi accomunati da sentimenti, passioni intellettuali, interessi, affetti. Ciò nonostante Belli non si abbandona con Neroni alla confidenza piena che ha con Spada, Ferretti e pochi altri: tranne che in una lettera scritta in latino, dove non può non usare il tu, si rivolge sempre con il Voi al patrizio ripano, che lo
ricambia allo stesso modo. Va messo in rilievo come mai si trovino accenni alla politica od alla partecipazione alla vita pubblica, fatta eccezione per la lettera-necrologio dedicata a Pietro Paolo Neroni.
Per quanto noto finora, Neroni era un patriota. Aveva seguito Murat e Sercognani nei loro tentativi insurrezionali e, ciò nonostante, aveva ricoperto diversi incarichi governativi, una volta restaurata l'autorità legittima. A seguito dell'individuazione di un fascicolo di carte riservate, che trascriviamo parzialmente in appendice III, la questione dovrebbe essere profondamente riesaminata, perché Neroni nel 1818 fornì alle autorità pontificie una denuncia "spontanea", con la quale accusò numerosi carbonari. Nel 1831 però collaborò con i rivoltosi e, forse per questo ed altri motivi, dovette più tardi subire la sorveglianza, a volte insistente, esercitata dai rappresentanti locali del potere papalino ed un esilio, molto più breve e meno pesante di quello cui fu costretto Secondo Moretti. Belli, invece, si tenne sempre prudentemente in disparte dalla lotta politica. Naturale quindi che, tenuto conto del pericolo che la corrispondenza venisse intercettata, in tutto il lunghissimo periodo in cui i due amici si tennero in contatto non abbiano mai espresso alcuna considerazione su argomenti tanto delicati e
scabrosi.
Una considerazione, infine, forse troppo brutale e irriguardosa nei confronti del nobile ripano ma sincera e fondata: nonostante tutti i suoi meriti e qualità, pur con le pecche venute ora alla luce, probabilmente oggi sarebbe ricordato a Ripatransone e San Benedetto e in pochi altri luoghi delle Marche, se non avesse conosciuto prima Maria Pichi e poi Giuseppe Gioacchino Belli. Infatti soltanto la lunga amicizia che l'ha unito a questi personaggi gli ha conferito fama e gloria durature.
Note
(1) Alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma (poi BNCRM) è riunita una ricca raccolta di lettere di Giuseppe Gioacchino Belli, parte delle quali sono copie fotografiche di originali conservati alla Mozzi Borgetti di Macerata, alla Aurelio Saffi di Forlì, a Ferrara e altrove. Per un primo approccio al fondo è opportuno consultare L. FELICI, Regesto delle poesie di Giuseppe Gioacchino Belli, in AA. VV., Studi Belliani nel centenario di Giuseppe Gioacchino Belli, vol. I, Roma 1965, pp. 785-840. Successivamente possono risultare utili: R. VIGHI, a c. di, Belli italiano, voll. 3, Roma 1975; G. ORIOLI, Lettere, Giornali, Zibaldone, Torino 1962; G. JANNI, Giuseppe Gioacchino Belli e la sua epoca, voll. 2, Milano 1967; G. ORIOLI, Poesie in lingua, 1970; G. G. BELLI, Le lettere, a c. di G. SPAGNOLETTI, Milano 1961; M. MAZZOCCHI ALEMANNI, Lettere a Cencia, voll. 2, Roma 1973-74; R. VIGHI, Gli appunti per poesie romanesche, modi proverbiali e idiomatici ..., in AA. VV., Belli romanesco, Roma 1966; R. MEROLLA, Note sulla cultura della Restaurazione Romana, in R. MEROLLA a c. di, Giuseppe Gioacchino Belli, Romano, italiano ed europeo, Roma 1985, pp. 69-130; etc.
(2) Il «Capitolo sul verbo "cheano, cheanis, pronunciato invece di cano, is dagli ascolani, i quali storpiano ogni vocabolo ed usano un barbaro dialetto"» (BNRM, ms. VE 197/5, ff. 33-34, s.d.) presumibilmente risale al 1820, come ritiene R. VIGHI, Belli italiano, v. I, pp. 442-444.
Riteniamo opportuno rilevare, però, che molti dialetti piceni dall'Aso al Tronto hanno legami più o meno stretti con l'abruzzese e pertanto l'ascolano non si discosta notevolmente da quelli vicini. In proposito vale la pena di citare il parere di N. PERETTI, Bice Piacentini e la poesia dialettale marchigiana, Rivista Marchigiana Illustrata, giugno 1910, pp. 201-204: "L'affanno altrui geme e singhiozza nel dialetto un po' aspro che Bice Piacentini ha reso facile ed intendibile anche ai profani. Vero è che molte voci somigliano quelle del dialetto abruzzese; e qualcuna richiama il napoletano". Ciò costituisce una conferma indiretta che, nelle polemiche tra cittadini di centri rivali, Belli si schiera decisamente dalla parte dei sambenedettesi. Nello stesso volume, pp. 445-454, è riportata l'epistola “A messer Francesco Spada”, scherzosa esaltazione dell'amico Giuseppe Neroni Cancelli. Altri componimenti sono dedicati a personalità marchigiane, come P. M. Ranazzi, ma non se ne tiene qui conto.
(3) Cfr. “Alla Signora N.N. di Camerino pe' suoi sponsali col Signor N. Pajelli di S. Benedetto. Fatto pel Cav.e Giuseppe Neroni Cancelli da me Giuseppe Gioacchino Belli”, cfr. R. VIGHI, Belli ... , cit., v. I, p. 479.
(4) Da una lettera di G.G.B. del 20.10.1821 da Terni, a Francesco Spada (BNCRM A 86/39-7), stralciamo alcuni passi: «Perdona l'incomodo. Sono stato pregato di fare una inscrizione lapidaria per una defunta. Io sono sicuro che comporrei una epigrafe senza errori, e almeno me ne lusingo, ma sono insieme convinto, che non le darei il perfetto sapore, che a questo genere si compete. Fammi il piacere di pregare a Pippo De Romanis, o qualcun'altro de' molti abili nostri amici, perchè voglia favorirmi in questa mia urgenza. La lapide non deve essere molto lunga, anzi piuttosto succinta, ma insieme toccante e patetica. Il tempo stringe dovendosi sollecitamente ergere il tumulo a chi n'è il soggetto. Ecco le notizie necessarie:"Il Cavaliere Pietro Paolo Neroni pone il mausoleo alla contessa (cancellato con un trattino dall'autore) alla sua suocera Marianna Mucciarelli nata dai conti Novi di Ascoli il 12 giugno 1827 (sic, l'anno deve essere 1726 o 1727), e morta 5 ottobre 1821, della età cioè di 95 anni, donna di costumi semplici ed illibatissimi, di stato vedovile, di spirito ameno e leggiadro; e del lusso, dell'avarizia ed altre mondane depravazioni acerrima rampognatrice". Su queste cose si può giocare molto bene ed impostarne qualcosa di buono. Più presto potrai mandarmela, più ti sarò grato ...». E, sempre da Terni allo Spada il 3 novembre: «Caro Checco, bella epigrafe! Bella, bella, bella! E' vero: tanto sapore essa ha di quel che dev'essere; che è da temersi non abbia a comparire salata a chi non ha formato il gusto a questa vivanda. Io ringrazio de' pensieri parole ed opere da te impiegati per favorirmi; e ti prego uficiare per me il gentiluomo amico nostro De Romanis, perché egli non mi tassi giustamente di ommissione, e mi creda meritevole di penitenza ...» (BNCRM A 86/39-8). Cfr. anche lettera di cui a nota 14.
(5) Per don Flavio il poeta compone il sonetto “All'ombra del Commendatore Giovanni Benvignati”, R. VIGHI, Belli ... , cit., v. I p. 763.
(6) Giorgio Jackson è ricordato in altre lettere di G.B.B. a G.N.C. ed in una raccolta di componimenti di vari autori, intitolata “In morte del Cav. Giorgio Jackson Centini”, stampata a Fermo nel maggio 1822. Cfr., in particolare, la lettera del 7.8.1820 di G.G.B a G.N.C (BNCRM A 229/48), con la quale il poeta invita il patrizio a suonare i trii di Mosel per lui, il cav. Jackson e il prof. Parmegiani.
(7) Si noti che a Gabriele è spesso associato il termine Santofasone, come ad esempio in questa curiosa espressione dell'ottobre 1820: "La vostra visita sanbruto sanbruto mi sarebbe gratissima: e voi sareste il vero padrone di venire Santofasone, e di andarvene ancora insanitate ospite". Probabilmente il significato e l'etimologia di Santofasone scaturiscono da una frase contenuta nel biglietto A 142/7-3, dove è associato all'espressione "alla buona". Appare quindi altamente probabile la derivazione dal francese "sans façon". L'attribuzione di tale appellativo a Gabriele – che malevolmente si potrebbe spingere a significare "maleducazione" - potrebbe derivare dalla sua maniera trasandata di mantenere i rapporti sociali, cfr. il sonetto “Sans façons” in R. VIGHI, Belli ... , cit., v. II, p.410. Il cognome di Gabriele non appare mai nelle missive consultate ma, nella lettera del 20.4.1822 si legge: "Giuseppe, Checco, Antonio e Gabriello e quanti sono costà adoratori del nostro Santo Fasone"; in quella del 6.11.1820 si riporta: "Vi prego così di riverire il Sr Gabriele e gli altri Voltattorni". Sembra quindi fuor di dubbio che Gabriele sia un Voltattorni. Una conferma indiretta dell'identificazione ci viene fornita da G. DI GIACOMO, Diplomatici marchigiani. Il comm. Gabriele Voltattorni, Rivista Marchigiana Illustrata, 1915, pp. 9-13. Il personaggio in questione è Gabriele Voltattorni, figlio di Serafino (1832-1899), a sua volta figlio di Gabriele e Agata Panichi.
Quest'ultimo Gabriele dovrebbe essere il Santofasone belliano. Per qualche notizia sui Voltattorni cfr. A. SILVESTRO, Viabilità d'altri tempi nel Fermano. La via Lauretana nel XVIII secolo, UTEFE, 1993. San bruto invece deriva dal latino ex abrupto ed è spesso usato dal Belli in altre circostanze, cfr.: G. G. BELLI, I sonetti, a c. di G. VIGOLO, voll. 3, Milano, alla nota 9, p. 415 del vol. I; R. VIGHI, Le romanesche, cit., p. 439. (Nello stesso volume, a p. 460, un elenco di frasi giocosamente scorrette provenienti da un foglio indirizzato
al Neroni). Nella lettera del 27.9.1821 da Terni, (BNRM A 141/4-1), G.G.B. s'intrattiene con G.N.C. su un sonetto da lui composto ed inviato a Giuseppe Voltattorni perché fosse stampato in occasione della Festa dell'Addolorata.
(8) G.G.B. a G.N.C., Roma 13.1.1820, BNCRM, A 141/1-1.
(9) G.G.B a G.N.C., Ripatransone 29.8.1820, BNCRM A 141/1-2. Oltre alle amarezze e preoccupazioni provocate a Belli dal rapporto d'affari con il fermano marchese Trevisani, esistevano altre cause per la scarsa predilezione del poeta verso questa città, come risulta dalle poesie “Fermo, epistola a Francesco Spada” e “Sulla dimora in Fermo”, cfr. R. VIGHI, Belli italiano, vol. I, pp. 423-441. Nella lettera del 2.11.1837 (BNCRM A 141/6-3) Belli confida a Neroni: "Io manco a Fermo di amicizie". Cfr. anche il sonetto “A Messer Arrigo Lovera, Segretario”, R. VIGHI, Belli ... , cit., v. I, p. 547.
(10) G.G.B. a G.N.C., Terni 6.11.1820, BNCRM A 141/3-2.
(11) G.G.B. a G.N.C., Ripatransone 13.9.1821, BNCRM A 141/3-4. A Ripatransone il poeta aveva soggiornato nel gennaio 1821. In proposito cfr. una scherzosa lettera del 13.1.1821, BNCRM, A 93/1.
(12) G.G.B. a G.N.C., Terni 8.11.1821, BNCRM A 141/4-2.
(13) G.G.B. a G.N.C., s.l. s.d., BNCRM A 142/7-1
(14) G.G.B. a G.N.C., Terni 1821 (?), BNCRM A 142/7-2. Cfr. nota 4.
(15) G.G.B. a G.N.C., Terni 1821 (?), BNCRM A 142/7-3.
(16) G.G.B. a G.N.C., Roma 20.4.1822, BNCRM A 141/4-3. Ricordiamo, senza assolutamente pretendere che vi sia un nesso, la vertenza sorta una trentina di anni prima con il Comune di S. Benedetto per la costruzione di una scala esterna ad un fabbricato di proprietà Cancelli sulla via Lauretana (Cfr. A. SILVESTRO, La via Aprutina-Lauretana marittima tra XVIII e XIX secolo, conferenza tenuta all’Archeoclub di San Benedetto del Tronto, 7.4.1995).
(17) G.G.B. a G.N.C., Roma 31.1.1824, BNCRM, A 141/5-1, anche in G. ORIOLI, Lettere ..., cit. pp. 122-123. In merito alla passione dei Neroni Cancelli per la musica, e la conseguente rivalità con la famiglia Laureati di Grottammare, cfr. A. SILVESTRO, Una atipica figura di Luogotenente di Porto. Pietro Laureati, ufficiale e artista, Rivista Marittima, novembre 1992, nota 2, p. 123.
(18) G.G.B. a G.N.C., Roma 17.2.1829, BNCRM A 141/5-3.
(19) G.G.B. a G.N.C., Roma 20.4.1822, BNCRM A 141/5-4.
(20) G.N.C. a G.G.B., S. Benedetto 15.8.1832, BNCRM A 88/35.s
(21) G.G.B. a G.N.C., Roma 16.7.1835, BNCRM A 141/6-2. Tratta della rappacificazione tra gli abitanti di Grottammare e S. Benedetto.
(22) G.G.B. a G.N.C., Roma 14.11.1837, BNCRM A 141/6-4, anche in G. ORIOLI, Lettere ..., cit., pp. 127-128.
(23) G.G.B. a G.N.C., Roma 16.12.1837, BNCRM A 141/7-1.
(24) G.G.B. a G.N.C., Roma 26.12.1837, BNCRM A 141/7-2.
(25) G.G.B. a G.N.C., Roma 27.1.1838, BNCRM A 141/7-3.
(26) G.G.B. a G.N.C., Roma 14.6.1838, BNCRM A 141/8-1, anche in G. ORIOLI, Lettere ..., cit., pp. 129-131.
(27) G.G.B. a G.N.C., Roma 28.6.1838, BNCRM A 141/8-2.
(28) G.G.B. a G.N.C., Roma 11.12.1838, BNCRM A 141/8-4.
(29) G.G.B. a G.N.C., Roma 11.1.1840, BNCRM A 141/9-4, anche in G. ORIOLI, Lettere ..., cit., pp. 132-134.
(30) G.G.B. a G.N.C., Roma 28.3.1840, BNCRM A 141/10-2. L'elegia è riportata alle pp. 566-571 di R. VIGHI, Belli ..., cit.,, vol. II.
(31) G.G.B. a G.N.C., Roma 27.5.1840, BNCRM A 141/10-4, anche in G. ORIOLI, Lettere ..., cit., pp. 134-135.
(32) G.G.B. a G.N.C., Roma 12.12.1840, BNCRM A 141/12-1.
(33) Sull'obbligo di rispettare l'interpunzione originale, in caso di stampa, cfr. il sonetto “L'interpunzione” in R. VIGHI, Belli ... , cit., vol. II, p. 335.
(34) G.G.B. a G.N.C., Roma 10.4.1841, BNCRM A 141/12-4.
(35) G.G.B. a G.N.C., Roma 22.5.1841, BNCRM A 141/12-5.
(36) G.G.B. a G.N.C., Roma 24.7.1841, BNCRM A 141/12-6.
(37) G.G.B. a G.N.C., Roma 7.10.1841, BNCRM A 141/13-1.
(38) G.G.B. a G.N.C., Roma 16.10.1841, BNCRM A 141/13-2.
(39) G.G.B. a G.N.C., Roma 10.12.1841, BNCRM A 141/13-3.
(40) G.G.B. a G.N.C., Roma 30.1.1843, BNCRM A 142/2-1
(41) G.G.B. a G.N.C., Roma 4.9.1843, BNCRM A 142/2-6
(42) G.G.B. a G.N.C., Roma 8.11.1843, BNCRM A 142/3-2
(43) G.G.B. a G.N.C., Roma 1.4.1844, BNCRM A 142/3-4
(44) G.G.B. a G.N.C., Roma 18.5.1844, BNCRM A 142/3-5.
(45) G.G.B. a G.N.C., Morrovalle 25.8.1844, BNCRM A 142/4-4. In una lettera di Belli a Luigi Mazio del 6.8.1844 da Macerata, si coglie un'eco del viaggio allora in corso: "(...) Vi stiamo tutt'oggi, e domani saremo a Morrovalle, e dopo qualche giorno a S. Benedetto, e dopo qualche altro giorno passeremo ... dove? Uhm? Indovinala grillo ... Chi volesse scriverci dopo qualche giorno, potrebbe indirizzarla a Fermo per S. Benedetto." (BNCRM A 143/11-2). In altra lettera dell'11.8.1844 da Morrovalle a Francesco Spada (BNCRM A 86/49-9) G.G.B. esprime il desiderio di tornare a Roma, ma senza porre termini precisi: «Staremo qui a tutto il 13, se la cuccoma (?) non cogliona: poi a San Benedetto per circa una settimana: poi lo sa Iddio. E' un itinerario imbrogliato ..."
(46) G.G.B. a G.N.C., Roma 19.11.1844, BNCRM A 141/2-5. Una lettera di F.B.L. a G.N.C. del 13.12.1844, spedita da S. Benedetto, è conservata a Roma (BNCRM A 93/21). F.B.L. era stato informato da G.N.C, con il quale si era intrattenuto epistolarmente sulla scelta di Ciro Belli di dedicarsi al diritto penale anziché al civile, da lui criticata.
Nell'occasione avanza ipotesi insussistenti sulla paternità di Cristina Ferreti, moglie di Ciro, da lui ritenuta figlia del ripano Venceslao Ferretti e non del poeta Giacomo, uno degli amici più fidati del Belli. Nella busta BNCRM, A 93/3, sono conservate tre lettere da Roma, datate rispettivamente 24.11.1813, 18.12.1813 e 2.5.1814, dirette da Maria Conti Pichi a G.N.C, che si riferiscono al pagamento degli interessi di un prestito concesso da suo marito Giulio Cesare Pichi a Filippo Vulpiani di Acquaviva, residente a Ripatransone. Nella stessa busta sono segnate anche due lettere di E. LIBURDI, delle quali si conserva ancora solo quella del 4.3.1942 da S. Benedetto. E' diretta a Egle Colombi, direttrice della biblioteca, e riguarda la cessione dei tre autografi della Pichi, per i quali lo studioso richiede "350 lire e quel tanto che ritenete onesto in soprappiù". Osserva anche: "Tenete presente che, in quell'epoca, il carteggio Belli-Neroni, illanguiditosi mano a mano, era venuto meno quasi del tutto dopo il marzo 1847 per la nota zoppicante contabilità finanziaria. Ma a voi, ora, dico cose arcinote." Nella custodia manca altra lettera di Liburdi, datata 25.5.1942, probabilmente sottratta da ignoti.
(47) G.G.B. a G.N.C., Roma 16.12.1844, BNCRM A 142/5-1.
(48) G.G.B. a G.N.C., Roma 20.12.1845, BNCRM A 142/5-4. Da una lettera del Belli, diretta da Roma al noto erudito fermano avv. Raffaello de Minicis il 14 settembre 1830, traiamo un altro esempio della durezza cui il poeta sapeva ricorrere quando non era soddisfatto della conduzione dei suoi affari, sempre relativi al problema Trevisani: "Penso che la presente mia lettera sarà per cagionare a VS lo stesso dispiacere che a me è costato lo scriverla: ma la prepotente circostanza mi scuserà presso la sua discrez.e, siccome non altera in me i sentimenti di stima e di riguardo con che mi ripeto.". (BNCRM A 146/4, da originale conservato alla Bibl. Com.le di Forlì). Merita un cenno l'annotazione apposta in testa al foglio, forse dovuta ad un bibliotecario di molti anni fa:
«Giuseppe Gioacchino Belli
Argentiere Cesellatore
(N.B. Probabilmente si tratta del rinomato poeta in dialetto
Romanesco Giuseppe Gioacchino Belli, morto a Roma nel 1863,
di cui sono celebri i sonetti satirici».
(49) BNCRM A 142/9 (1 lettera), A 142/10 (4 lettere)
(50) G.G.B. a G.N.C., Roma 3.2.1846, BNCRM A 142/6-1
(51) G.G.B. a G.N.C., Roma 29.7.1847, BNCRM A 142/6-5
Confidenze tra amici
Giuseppe Gioacchino Belli e Giusepe Neroni Cancelli
Una rilettura degli autografi
Appendice I
Si presentano qui, trascritti, alcuni degli autografi di G. G. Belli che non hanno trovato posto nella trattazione precedente ma che comunque, editi od inediti, meritano di essere conosciuti.
(BNCRM A86/32 A Giuseppe Neroni Cancelli, S. Benedetto, da G. G. Belli, Cupra Montana, 2 sett. 1820)
J. J. Bellius J. Neronio Grenopio Cancellio Equit s.p.d. cum ego valetudinis ac negociorum caussa, paucis hinc diebus Trasimenum petens discedam, tu plane cognoveris quanta mihi domus tuae hospitio jucundissimo, atque amplexum quorum suavitate denuò frui sit futura difficultas. Quapropter illa, quae nequeo ore, et verbis auribus tuis officia peragere, curo saltem ut hisce meis literis tuis oculis subiiciantur, tantum nul quidem lautitiae, et animi tui erga omnes humanitatis, in me praesertim dum tecum vixi specimen habuisse confiteor. S. tibi vero, et familiaribus tuis dulcissimis, quos et meos censeo, istam casuum temporisque culpam in mearum numerum forte adscribere videatur, spero nihilominus amorem non subdolum quo scitis me vos omnes afficere, facile vobis veniam ejus fore suasurum, adeo ut numquam in amicitiae nostrae charitatem quidquid teporis inferatur. Interea et semper valetudinis tuae ut vivas diu felix, amice optime, ac bene merearis de comite nostro consule. Cuprae Montanae Postr. Kal. sept. A MDCCCXX»
(BNCRM MS 1233/50, lettera a G. Neroni Cancelli)
Mio caro e gentilissimo amico
Di Roma 14 maggio 1841
Riscontro due vostre lettere, 18 agosto e 5 corrente, giunte entrambe sei giorni dopo la data di spedizione. Dopo l'aumento de' corrieri mi pare che il corso vada più zoppo di prima.
Avete trovato buona la mia elegia? Tanto meglio e buon pro vi faccia. Io ne dubitava molto e ci stava assai freddo.
Iddio ci assista.
Desiderate ora un articolo necrologico in forma di lettera che io scriva a qualche mio amico imaginario, fingendo che lo fosse pure dell'estinto.
Eccovelo: fiat voluntas tua, e se coglie fischi butterò la broda addosso a Voi. L'ho scritto fra il mal di testa e il mal di gola, che da qualche tempo mi dan purganti e mi piglian sangue. Per la gola alla buon'ora: ma quasto capo l'è una faccenda seria che finirà collo smemorarmi ogni dì più, instupidirmi, e poi portarmisi via. Cattivi elementi al buon successo di uno scritto. Ma pure, ripeto, eccovelo: fatene il vostro piacere. Voi compatirete gli artificii cavillosi a cui ho dovuto ricorrere per narrare dei fatti a un comune amico che avrebbe o dovuto o potuto conoscerli anch'egli, e per sofisticare i motivi antecedenti della sua probabile inscienza de' medesimi fatti. Consultando la mia memoria e il mio cuore, parmi aver dipinto vostro padre qual era e quale io lo giudicai sempre. Voi, suo diletto figlio, aggiungete, togliete, mutate, correggete, modificate, comparate, fate quel che credete giusto. E' cosa vostra ...
Il nome del vostro avo l'ho lasciato in bianco: non lo so.
Ho molti anni addietro conosciuto un avv.° Neroni, che aveva un figlio, mio compagno d'Università. Ma quell'avv.° Neroni non parmi potesse essere padre di vostro padre: piuttosto fratello. N'ho chiesto a qualcuno, ma lo confonde coll'altro, seppure io dica bene che siano stati due.(1)
Riempite le altre picciole lacune, e poi aggradite quel che ho saputo fare.
Perchè mi affrancate le lettere? Questo non tocca a Voi, ma a me, almeno quando vi scrivo per le cose del mio dubbioso affare, delle quali torno sempre a chiedervi scusa.
Per quest'ordinario non ho mente da calcoli; e poi era mio dovere occuparmi prima del vostro cuore che del mio interesse. Quanto prima però vi spedirò i miei rilievi sullo specchio del S.r Angiolo Cinaglia. In esso rileverò equivoci di dritto e di fatto e fra quelli della seconda natura farò notare l'errore della partita ultima di scudi 14:59:½ che i vecchi cassieri mi addebitarono per l'epoca dal 1° ottobre
1840 al 1° febb.° 1841 quando invece mi furono pagati pel 3.stre di genn.° febb.° e M.zo 1841, per un tempo cioè anteced.e all'aprile 1840 in cui volle il Trevisani arrestarsi ne' pagamenti. Dunque dovrei vedermi questa partita imputata due volte? Ma oggi non è tempo da conti, e questa non è una lettera da affari. Del resto, dite bene, ogni nodo verrà al pettine. Oh come mi duole degl'incomodi della Sig.a Pacifica! Iddio conceda a lei salute e pace ad entrambi. Forse ella non mi ricorderà più: dopo 20 anni.
Pure riveritela a nome di un affettuoso servitore della sua famiglia.
La carta manca, e il sigillo vuole la parte sua.
Vi abbraccio di nuovo.
il vostro Belli»
(BNCRM MS 1233/51-53)
«Al conte Alberto M****
Sventura di città, più che danno domestico, è a dirsi la morte, quando essa sciolga una vita non pur lodata per privati meriti ma segnalatasi con palesi titoli alla pubblica benevolenza. Il lutto allora dal segreto di una casa e dai cuori di una famiglia passa rumoroso agli asili ed ai petti del popolo, le segrete lagrime spremute da personal carità trovano simpatia e conforto nella comune mestizia. Nè circoscritto pure fra i ricinti di una terra o fra i rammarichi di una moltitudine si arresta il dolore del funesto caso, ma propagato per le bocche e per le penne degli uomini si allarga a poco a poco e si distende fin dove la fama delle virtù dell'estinto avea già cattivato l'animo dei buoni a' di lui fatti onorati.
Da somiglianti parole volli io preceduto, o diletto amico, il tristissimo annunzio di cui vi sarà apportatore questo mio foglio, affinchè voi comprendiate che se tanto mi faccio io sollecito a chiamarvi a parte del mio rammarico per la recente morte del cavaliere Pietro Paolo Neroni, ciò non procede altrimenti da mia singolar brama di affliggervi, ma dall'impulso irresistibile di sentimenti che la natura stessa e un cortese costume di civiltà vogliono rapidamente comunicato fra la gente dabbene. Dal mio silenzio inoltre non vi sarebbe già risparmiato il cordoglio; imperocchè la pubblica voce, giunta poi sino a voi, avrebbevi insieme fatto maravigliare come io mi fossi rimasto partecipe tacito di un funebre avvenimento che non da popolari echi nè da effemeridi necrologiche doveva io permettere giugnesse all'orecchio di un amico del defunto e di me. Nulla di meno potrà forse parervi superfluo che nel partecipare oggi a voi la perdita del nostro povero amico, io voglia, benchè di volo, accennarvi alcune epoche della lunga sua vita, contrassegnate da favori sovrani e municipali, che di tempo in tempo resero privata testimonianza alla pietà, alla mente e al cuore di quell'uomo sagace religioso e benefico.
Allorchè, visitando gli Stati della Chiesa, voi dimoraste più giorni nel ridente Piceno, le pregevoli qualità vostre, che sogliono rendervi caro e desiderabile al fiore di ogni gentil società, presto vi guadagnarono la stima del nostro Neroni, uomo distinto fra i più commendevoli di quella provincia. Quindi, rimessovi in patria, da infrequenti segni di corrispondenza fra voi si mantennero, interrotti poi o diradati non per illanguidimento dello scambievole affetto, ma in seguito delle diuturne peregrinazioni che tanto vi allontanarono dalla dolce terra d'Italia. Ed io vi ricordo come persuaso voi finalmente da questo soavissimo cielo a
schifare la nebbia del settentrione, fra i primi de' quali in Roma mi chiedeste contezza vi uscì dalle labbra il nome di lui, che, quantunque grave d'anni, godeasi allor tuttavia di assai valida vecchiezza. Ma poichè il poco tempo che passaste vicini, e la molta modestia che tratteneva il Neroni dal far di sè troppe parole, non possono avervi dato di lui le notizie ch'io n'ebbi non tanto per l'amicizia di cui mi onorò quanto per la fratellevole consuetudine che sempre mi strinse alla sua nobile e numerosa famiglia, voglio oggi dirvi in brevi cenni quale veramente egli fu, e come e da chi esaltato con meritevoli onorificenze.
Nell'anno 1761, da Carlo Simone Neroni, insigne avvocato e uno de' luminari della romana curia, e da Rosa Giordani .... trasse egli chiari natali in Roma, da dove compiti i suoi studi mosse per Ripatransone, già Cupra Montana, antichissima città del Piceno (*) - (* Intorno a questa
Città vedi l'opuscolo storico-critico del Cavaliere Giuseppe Neroni Cancelli (figlio di Pietro Paolo) intitolato Cenni sull'origine di Ripatransone, impresso in detta città; e riferito nel Giornale Arcadico di Roma, Tomo LXXIV, ... anno 1838, pag.a 354) - risiedendo colà il resto della Famiglia Neroni, che vi possedeva beni di fortuna, e che era Patria non solo del suo Genitore ma bensì di un suo dottissimo zio Archidiacono di quella Cattedrale.
Ebbe educazione accuratissima e pari alle severe massime della sua prosapia. Non pure uscito o uscito appena dall'età minorile frequentò colle divise di luogotenente-capitano onorario nel corpo Corazza di Nettuno, al quale grado aggiunse ne' seguenti anni l'altro più illustre di Capitano effettivo delle guardie nobili sotto il glorioso pontificato
di Pio VI. Fu insignito dell'Ordine dell'Angiolo Custode e inscritto fra la nobiltà del Ducato di Schleswig-Holstein Limburgo, come cavalier d'onore di quell'eccelso Ordine-Capitolo. Nè finalmente al supremo gerarca della chiesa, Gregorio XVI, andarono occulte le doti eminenti del benemerito suddito, quando nel terzo anno della sua assunzione al vicariato di G. C. gli concesse la croce cavalleresca di S. Gregorio, instituita dallo stesso regnante sovrano per rimunerare l'affetto alla sua sacra persona, i servigi allo stato e la devozione alla cattolica chiesa.
Ma se in età freschissima cominciò egli a distinguersi fra' suoi eguali per pregi militari ed equestri, la cultura sua, la prudenza ed il maturo giudizio non dovettero attendere più lungamente i civili incarichi, soliti a conferirsi al senno, alla integrità ed alla esperienza. Di soli 25 anni infatti eccolo accetto al Consiglio di Cernita di Ripatransone, come successore al sedile e alla saggezza del padre; nè più tardi poi che di un triennio passò a Montalto preside interino di quella terra, patria di uno de' più famosi papi del cristianesimo. E quando il simulacro di libertà, ritirò le sue bandiere dai dominii della chiesa, e
la Marca d'Ancona /tranne per allora la sua capitale/ tornò nel 1799 sotto il paterno reggimento di Roma, fra i membri della imperial-regio-pontificia reggenza eletti a riordinare le cose nel Piceno, ebbe luogo e plauso il cavaliere Pietro Paolo Neroni, che andò co' suoi colleghi a risiedere in Macerata, scelta a capo-luogo della provincia, così per la
centralità sua come per la temporanea occupazione di Ancona, non isgombra ancora da militari e politici impedimenti.
Caduti poi nuovamente gli stati ecclesiastici sotto la medesima usurpazione da cui, sebbene con diverso nome e pretesti, erano stati invasi un decennio prima, il nostro Neroni volle ridursi in Ripatransone sua patria, alle domestiche dolcezze tra la sua cara famiglia. Ivi però non potè sfuggire l'onorevole carico di municipale Podestà, che nel 1810 gli desiderarono affidato i suffragî unanimi de' suoi concittadini. Un corrispondente uficio, con titolo di gonfaloniere, vi riassunse quindi egli nel 1828, e lo esercitò pel consueto corso di tre anni, allorchè già da buon tempo erasi in quelle comunità ripristinata la legittima signoria de' pontefici. Nel decorso del qual tempo, che per lo stato nostro prende capo dall'epoca della cosiddetta seconda recupera non venne già negletto il Neroni fra gli uomini pratici e illibati che il ristaurato governo scelse a cooperare colle supreme autorità ne' civili negozi.
Così, dal 1816 al 1822, esercitate egli le delicatissime funzioni di consultore nella Congregazione delegatizia di Ascoli, tanto e sì generale fu il rispetto da lui conciliatosi in quel distinto uficio, che al prefisso termine della sua cospicua rappresentanza lo si volle con tutta la di lui discendenza aggregato alla antiqua nobiltà truentina.
Fu appunto sul declinare di quel periodo che onorato io di ospitalità cortesissima nella casa di lui colà in Ascoli, ebbi esteso agio di meglio considerare da vicino il nobile animo e la bella mente del cavaliere Pietro Paolo, col quale annodai allora gl'infrangibili vincoli d'amistà che già mi legavano al di lui eccellente primogenito, in null'altro dissimile dal padre benchè nella età e nelle forme del corpo.
Troppo dovrei allargare i limiti di una lettera, non destinata a tessere la metodica biografia del Neroni, se volessi quì tener conto di tutte le altre circostanze nelle quali si stimò o valevole o necessaria l'opera sua: sia che fosse egli inviato in missione felicissima a Presidi o Delegati o Cardinali, sia che si trattasse di proporlo a dirigere pubblici stabilimenti di decoro o di annona o di beneficenza. Fu egli custode zelantissimo del Sacro Monte di pietà; e la morte che lo colpì inopinatamente nell'ottavo giorno di questo mese, lo trovò decano de' consiglieri di prima classe, non che membro della deputazione araldica e
dell'altra de' pubblici spettacoli. Molte pie istituzioni e non pochi nobili sodalizii lo vollero o priore o governatore, secondo le varie denominazioni de' loro statuti; e in ogni luogo ha egli lasciato lagrime e desiderio di sè.
Quale ottimo e sollecito cittadino, tale egli si mostrò ancora eccellente marito e padre vigilantissimo. Nell'anno ... di sua vita congiuntosi in matrimonio con Tecla ... , n'ebbe varii figlioli, e tutti si tenne carissimi, e su tutti profuse le cure più assidue ed esemplari. Quattro maschi lasciò a piangere sul suo sepolcro, il cavaliere Giuseppe, Carlo, il conte Filippo, e il sacerdote D. Flavio:
distintissimo il primo per cultura di spirito, per amore delle arti belle, e per affabile cortesia di maniere; commendevole il secondo per bontà e semplicità di costumi; cadetto emerito il terzo delle guardie nobili di N. S., ad oggi in riposo col grado di tenente-colonnello onorario; canonico l'ultimo della insigne cattedrale di Ascoli. Delle
vaghe figliole, entrambe spose e madri, Teresa gli premorì, da varii anni, e Rosa sta formando la felicità della sua nuova famiglia.
Sapete che donollo natura di alta, asciutta e diritta persona, di imponente aspetto, di grave contegno. Amò l'esterior culto delle vesti, senza però scendere alla bassa lordura di un secolo volubile ed effeminato. Usò con tutti secondo il merito di ciascuno: aspro però ed incivile non fu visto mai. Non facile o sbadato nel contrarre amicizie, era tenace e caldo nel conservarle, riguardando egli nell'amico un tesoro che val meglio non acquistare che perdere.
Caritatevole senza fasto cogl'indigenti, liberale senza affettazione verso gli ospiti suoi, inaccessibile al veleno della maldicenza e agli artificii della simulazione, facile al perdono, temperante nello sdegno, incapace di sospettose amarezze, prontissimo al bene, sordo alle lusinghe de' tristi. Lode ei non cercò, ma nè spregiò pure il voto spontaneo de' buoni e de' sapienti, come giusta espressione della intelligenza e della rettitudine. Non traeane però vanità, sapendo le laudabili doti venir da Dio, e a Dio doversi riferire monde del lezzo della superbia. Gustava le urbane arguzie, vilipendeva le triviali scurrilità. Lontano dagli astii, dalle acerbità e dagli abbominii di parte, commiserava i traviamenti degli uomini, e sarebbe pria morto che farsi persecutore. L'esperienza degli uomini così rendealo talora poco incline all'altrui fiducia, e sereno per l'opposto fra i generali scoraggiamenti. Nell'esercizio de' suoi doveri ognor solertissimo, non lasciò svanire il tempo come inutile fumo di stoppie, nè il da farsi oggi rimetteva al dimani. Il censo degli avi suoi piuttosto migliorar volle che estendere, onde preservarsi dall'avarizia e dalle sue preoccupazioni. Visse amato, onorato e benedetto: morì compianto e suffragato da tutti, e il comune cordoglio spiccò come la più splendida fra le pompe de' suoi funerali.
Ecco l'uomo che scomparve dalla terra. Preghiamo, o diletto amico, la provvidenza, onde consoli gli umani consorzii con altre molte anime di simile tempra. Amatemi siccome vi fossi presente, e accogliete amorevole
i sinceri miei voti per la vostra felicità.
Di Roma, 15 Marzo 1840
G.G.B.»
(BNCRM MS 1233/89)
«All'ombra del Commendatore
Giovanni Benvignati
già Gonfaloniere di Ripatransone
e promotore della odierna solennità
Sonetto
L'umida notte, che nel cielo ascende
Quando col giorno in man Febo declina;
Il crudo verno, che i suoi nembi stende
Le viti a disseccar sulla collina;
La vaga rosa, che di voglia accende,
E poi trafigge coll'ascosa spina;
Provano ahi troppo all'uom queste vicende
Che presso al bene il mal sempre confina.
Ma pure allora che il tuo patrio zelo
Me invitava a cantar l'alto favore,
Che a Cupra nostra largir volle il cielo,
Mai presagito non m'avrebbe il cuore,
che mi serbasse di tua morte il telo
con sì grande piacer tanto dolore
Fatto per l'Ab.e
D. Flavio Neroni
da me GGBelli»
(BNCRM MS 1233/ 104)
«Alla S.a N.N. di S. Bened. Camerino
pe' suoi sponsali col Sig.r N. Pajelli
di S. Benedetto
Donna chi vede voi presso la cima
Seder di Pindo, o al margo d'Ippocrene
E le parole di dolcezza piene
Ascolta insieme, che cantate in rima:
Tal maraviglia nel suo petto viene,
Che di se fuora si rimane in prima,
E reso ai sensi, nel pensier Vi stima
La vergine immortal di Mitilene.
Ma poi che al suono della casta lira
Andar giuliva in compagnia d'Amore
Alle tante are d'Imeneo Vi mira,
Allor conosce lo suo molto errore:
Perchè a Giunon quella infelice in ira,
Non ottenne dal Ciel tanto favore.
Fatto pel Cav.e Gius.e Neroni Cancelli
da me GGBelli»
BNCRM MS 1233/105)
«R. Direzione Didattica
del Circolo di San Benedetto del Tronto
Il Direttore
1.2.1956
Gentilissima Signorina
Ho la sua del 25 scorso e gliene sono grato. Non potendo lì per lì riscontrarla, mi sono limitato a mandarle il "Messaggero" con un mio articolo uscito in quel torno, una staffetta personale preannunziante la risposta che Ella desidera.
Sono lieto che la mia segnalazione del "Solerte" le abbia giovato e così pure l'altra relativa al sonetto per la morte di Don Paolo Ajudi di Fossombrone, scritto dal Belli su preghiera della bella e gentile Contessa Gertrude (?)Torricelli: non mi ha detto però se di esso possiede copia che, ad ogni buon conto, potrà trovare a p. 29 dell'accurata pubblicazione: Adolfo Mabellini: Lettere ined. di N.°Tommaseo a Filippo Luigi Polidori, che alla Nazionale troverà senza dubbio. In caso contrario gliene invierò io la trascrizione.
Non ho ancora letta e veduta la 5^ parte della sua accuratissima bibliografia belliana. La prima volta che mi recherò in Ascoli P., e sarà presto, mi recherò in quella Bibl. Com.le a consultare il corrispondente fascicolo di Accademie e Bibl. d'Italia e la scorrerò col solito piacere e con l'usuale diligenza.
Ed ora eccole quanto le può occorrere intorno alla Signora Pizzicanti: se fosse o no ... pizzicante al tempo suo non saprei, ma è assai probabile.
Nacque costei di distinta e facoltosa famiglia di Camerino figlia unica ed ultima ed ereditiera della sua stirpe. Tanto rilevo da una comparsa conclusionale a stampa del 1881 (che io posseggo) per la rivendicazione fatta dai suoi eredi (2 figli e tre nipoti) di certi beni patrimoniali di dotazione di una cappellania camerte già incamerata dalla Congregazione di Carità di Camerino.
Ecco le sue esatte generalità:
Maria Pizzicanti di Domenico(+ 3.5.1830), e di Orsola Fatati che fosse parente del Beato Fatati?) - nata in Camerino il 15.6.1792 e morta in S. Benedetto del Tronto il 18.6.1878 già sposa di Lorenzo Pajelli sambenedettese. Ebbe i seguenti figli: Cesare (n. 1828.3.XII. + 1895) - Michele (n. 1827) - Luigi Antonio (n. 1829 + 1878).
Di tutti questi Pajelli può trovare qualche cenno nel mio volume di storia sambenedettese (S. Benedetto del Tronto negli ultimi tre secoli) guardando l'indice dei nomi.
Non ho sotto mano la data esatta del matrimonio della Sig.ra Pizzicanti sicuramente celebrato in Camerino residenza della Signorina, ma essa forse si rileverà dalla dedica, e dalla data di stampa del sonetto nuziale (brutto) ma mi dice scritto per lei dal Belli su richiesta del Cav. Neroni.
Ed anche lui gliene dedicò uno da bravo poetastro arcadico preceduto dalla seguente epigrafe dedicatoria:
Alla N.D. Signora Marianna Pizzicanti - Patrizia di Camerino, pe' suoi sponsali col Sig. Lorenzo Pajelli di S. Bened.°- Il Cav. Gius. Neroni Cancelli fra gli Arcadi Evano Aganippeo dedica il seguente = Sonetto =
Donna, chi vede voi presso la cima
seder di Pindo o al margo d'Ippocrene ...
Nella mia copia manca l'indicazione della stampa e quanto non mi permise elementi di datazione: probabilmente risale agli anni 1823 o 1824 circa.
Il prof. Voltattorni continua a darmi buone assicurazioni ed a menare il can per l'aia. Dice di aver ripescato il famoso sonetto del Belli, ma di non ricordare dove l'ha poi ficcato! Ora è indaffarato (beato lui!) a realizzare un grandioso piano di bonifica agraria (è valentissimo professore di agraria) dei suoi vasti terreni, con creazione di laghi artificiali ecc. per un complesso di più e più centinaia di ettari di terreno fertilissimo. Mi assicura che attualmente) nelle sue tiepide serre maturano i pomodori e sfoggiano giacinti e tulipani. Beato lui! Si figuri quanta premura può avere costui di ricercare le nostre bazzecole
belliane ... In compenso ha per consorte una bellissima, o almeno bellissima ma aux temps de jadis, contessa ascolana che gli portò dote cospicua di beni desiderabili e di non ... troppo ambiti soprammobili ... diremo così per eufemismo. Ah, il Belli romanesco (non l'italiano) avrebbe potuto buttarci giù uno di quei suoi tremendi sonetti vernacoli da non sfigurare nel mezzo de' più atroci (vol. 6° ediz. Morandi).
E dopo queste chiacchiere (malignette anzichenò) una chiusa veloce ricca di molti ossequi con un particolare ricordo (quando avrà occasione di vederlo) al valente Sig. Janni.
Dev.mo
Enrico Liburdi
P.S. Non una figliola (ora fa qui la 1a del Liceo classico) ma un figlio (alto m. 1,83) avrebbe potuto venire costà a frequentare una facoltà universitaria. Preferì, invece, non lasciare Pavia ove oramai si trova bene, malgrado il disagio della maggior lontananza e del clima piuttosto rigido ed umido.
«BNCRM MS 1233/219-220 (Lettera a Francesco Spada da
Ripatransone il 6.9.1821, con la trascrizione dell'epistola che inizia col verso: Francesco, a te cui da' più teneri anni ...)
Mio caro Checco
A quest'ora non ti saresti più aspettato una mia lettera, essendo trascorso tanto tempo in un perfetto silenzio. Che vuoi che ti dica? O fra la stranezza della stagione, od altra qualsivoglia causa, il viaggiare di quest'anno non mi ha prodotto felici risultati ed io la vado strappando alla giornata. Lo scrivere la p.nte mi ha servito di sollievo in qualche momento del giorno. Ti sembrerà però tale quale potrà sembrarti, non avendo io impiegato un grande studio, particolarmente nella scelta di alcune parole, che potrebbero offendere gli orecchi de' più scrupolosi in fatto di lingua, come p. e. memore, immemore, reduce etc. Lo so ancor io ciò che in crusca sta, e ciò che non istà; ma oltre che anche alle addotte rag.i, mi munisco di quella, che cioè le dette parole, altronde oggi molte usate, mi servono assai bene nello stato di questa mia epistola - Che fanno a casa ? - In accademia si fa mai menzione del povero Belli ?
Qui abbiamo avuto un'Accademia poetica per solennizzare la protezione sotto la quale l'E.mo Brancadoro di Fermo ha accolto questa città! Che inferno!!!
Però è certo che i poveri vati non hanno peccato di cattiva volontà; perchè se hanno detto male hanno però detto molto; ed il nostro socio Fioretti fra gli altri si è distinto con nove componimenti tutti discretamente lunghetti. Era una consolazione il vederlo, e l'udirlo, passeggiare per tutta la sala, ed anche correre e gridare con tutto il vigore de' polmoni. Leggi Virgilio, e la Sibilla di Cuma te ne darà qualche idea. Vi fu un'altro, che Recitò due Sonetti, i di cui versi duravano a correre sino a che non incontrassero una rima, che come un sasso li fermasse. Un terzo per lodare il Cardinale, lo disse Giove porporato. Non aveva mai mai udito Giove membro del sagro Colleggio, e di più Vescovo. Uno solo colpì nel segno, quando lo chiamò un tesoro per essere Branca d'oro. Metti poi a calcolo la pronunzia picena. Le lettere g, e c; le d e t; le b e p dopo la n o m si scambiano sempre fra loro.
Stanca stanga, e stanga stanca. La nv diviene sempre m o semplice doppia, p. e. invidia, immidia; Benvignati (nome di un Gonfaloniere celebrato nell'Acc.a sud.a) Bemmignati, benvenga bemmenga etc. Le iglio, eglio, aglio, etc. si dicono ijjo, ejjo, etc. e però si ascolta fijjo, vejjo, scojjo, tajjo, cespujjo per figlio, veglio, scoglio, taglio, cespuglio. Tutte queste gentilezze unite ai meriti dei componimenti, alle care mosse del corpo, cioè gesti nel recitarli, ti avrebbero fatto piacere: e poi una musica! Ma che musica!...»
(L'epistola è ripetuta nei fogli 221 e 225.)
(BNCRM MS 1233/229)
«Sulla dimora in Fermo
Epistola seconda
E' parmi, o Cecco, s'io non piglio errore ...
Omissis
Ho ricevuto la Sua laconica letteruccia del 22 cadente.
Non ti dubitare, Spada mio, non c'è pericolo di monsignor baculo; e poi i versi non rendono cento per zero, come la tromba. Per esser bastonati ci vuol altro. Intanto trangugiati questo secondo calice, e guardati dal terzo minacciato da quel per ora, che sta prima dell'alleluja.
Certamente tu troverai in queste mie cose degli errori, ma io qua senza libri, essendo il paese sufficientemente orbo. Per ora lasciamo stare così: in Roma poi ci darò una limatina, e ti farò parte della limatura. Intanto mi basta che tutto insieme possa divertirmi, e seccare voi altri. Evviva Monsieur Giannoni! Lo udirei volentieri. Da queste parti vogliono darmi patenti, ma io sto duro, perché i territorj sono aridi e sterili.»
BNCRM MS 1233/217-218(Lettera a Francesco Spada con l'epistola che inizia col verso: In questo viaggio mio per lo Piceno ...)
A Messer Francesco Spada
A prima giunta tu avrai creduto, che io ti mandassi la terza elegia sulle mie disgrazie fermane; ma dopo avrai conosciuto che invece di una epistola imprecativa, tu leggevi una epistola apologetica. Forse mi accuserai di idealizzare; ma ti assicuro, che se conoscessi il bravo soggetto delle mie lodi converresti con me, che per le sue care qualità fisiche e morali avrebbe meritato molto di più.
Basta, sic Deus nos adjuvet, e ne parleremo in appresso. Ti abbraccio caldamente come se fosse Agosto, e mi ripeto
Tuo aff.mo amico GGBelli
Di Terni, 30 Settembre 1820»
In un riquadro a fondo pagina si legge: Sarebbe una ridicolezza il pensare che a qualcuno venisse in capo di voler copia delle mie cose: ma poichè tutto al mondo può accadere, ti prego, dandosi il caso, di regolarla con pulizia, e garbo.
Note
(1) All'Archivio Capitolino si conservano atti notarili relativi a Giuseppe Fortunato e pietro Paolo Neroni.
Appendice II
Tra i soci dell'Accademia Tiberina, dell'Accademia Latina e di molte altre istituzioni culturali della Roma papalina ottocentesca troviamo un monsignore autore di numerose opere letterarie, Carlo Emanuele Muzzarelli (1), del quale trascriviamo solo due sonetti, relativi a S. Benedetto e ad Ascoli, pubblicati in un suo opuscolo.(2)
Sonetto III
Sambenedetto di Ascoli
E la Palladia pianta, e l'operoso
Cedro che spande intorno i suoi profumi,
E i vitiferi Colli, e il piano ondoso
Fan questo lido il più diletto ai Numi.
Ed Š pur qui la gioja, ed il riposo,
Cui prometton all'Uom puri costumi,
Che invan tanto cercò quello sdegnoso,
Che in riva all'Arno aperse al giorno i lumi.
Se già bramai veder città lontane,
Che dier fama immortale al Tigri, o al Nilo,
Ma di cui solo il nome oggi rimane:
Or più saggio vorrei fuor d'ogni cura
In questo della pace amico asilo
condurre i giorni dell'età ventura.
Sonetto IV
Scritto nell'album della Signora Caterina Malaspina ne'
Mucciarelli
Ascoli 12 Settembre
Se l'onde del tuo fiume ed i vigneti
Che gli fanno corona e un colle ameno,
Di piaceri ineffabili e segreti
Spargono il viver tuo gajo e sereno:
E se all'ombra degli orni e degli abeti
Scorron l'ore per te come baleno,
Ed or tutta ti attristi ed or ti allieti
Col cantore di Olimpia e di Bireno:
Che non sarà, se colla dolce prole
Vedrai dell'amistà scossa ai consigli,
Il maggior tempo che rischiari il sole.
L'arti e gli studi in Roma han seggio ancora,
E se il Genio del Tebro arrida ai figli,
Ivi è soltanto che virtù si onora.>
Il prof. Nepi ha già pubblicato in un bellissimo volume la prima quartina e le due terzine del terzo componimento.(3) Mi sfuggono le ragioni per cui abbia preferito tralasciare la seconda quartina. Forse, a conoscenza del severo giudizio espresso da Corniani (4) su un certo tipo di letteratura, non ha voluto infierire sul povero lettore e gli ha fatto grazia di ben quattro endecasillabi.
Probabilmente, e spero ch'egli mi perdoni per questa mia maliziosa supposizione, avrà considerato che, vivendo sul posto, si sarebbe esposto eccessivamente a ritorsioni provocate dall'insofferenza per quei versi apparentemente facili e scorrevoli, ma in realtà alquanto pesanti.
La mia situazione è ben diversa. Spero che i duecento e passa chilometri tra Roma e Fermo mi mettano al riparo da eventuali reazioni di ascoltatori sopraffatti dal peso della poesia muzzarelliana. A onor del vero non solo per questo motivo ho osato proporre la lettura dei quattro versi omessi da Nepi e dell'intero sonetto su Ascoli ma anche, e soprattutto, perché Muzzarelli merita attenzione al di fuori del mondo delle lettere dato che ha partecipato in prima linea alle vicende agitate e confuse della repubblica romana e, negli ultimi anni della sua vita, ha sofferto per molte sventure abbattutesi su di lui.
Col Belli esistevano rapporti derivanti dalla comune appartenenza all'Accademia Tiberina, anche se indubbiamente non si può dire che ci fossero molte affinità di carattere e di vita.(5)
Il 28 ottobre 1837 Giuseppe Gioacchino scrive il sonetto «Le vite», con evidenti accenni a Muzzarelli.
dice? Vò parlà co Monzignore?
Sor abbate mio caro, abbi pacenza,
Monzignore per oggi nun dà udienza,
manco venissi gi£ Nostro Signore.
Lui 'gni sàbbito sta in circonferenza
co monz£ BuzzarŠ lo stampatore,
pe fà stampà le vite ch'ogni utore
se scrive pe dà gusto a Su' Eccellenza.
Sto gusto lo sa lui cosa je costa;
perch‚, mò che lo sanno, spesso spesso
je spidischeno vite per la posta.(6)
M¢ la massima è bell'e stabilita
abbasta che sii nato, ar monno adesso
chiunque more ha da lassà la vita.
Inoltre non va dimenticato che già il 14 agosto 1828 Belli aveva preso in giro il letterato Monsignore, come risulta da un sonetto con alcune note conservato alla Biblioteca Nazionale di Roma, che qui si trascrive.(7)
«Per gli augurosissimi sponsali
da seguire in Firenze
tra la nobile Donzella Sig.ra Porzia N.
col Sig.r Cavaliere Domenico (1) N.
(1) Avverti che nella Toscana il nome di Domenico si suole contrarre in Beco.
Sonetto
Le dolci notte onde con tanto affeto
Turbi il sillenzio di tranquila note,
Traran Diogene anch'ei fuor de la bote
Con la magia d'insollito dilleto.
E quando i vezi del divvino aspeto
Apri a le genti travagliatte e rote,
Da inesprimibil vollutà condote
Sentonsi il cuore esillarar nel peto.
Ah se quel carro al vincitor di Cane (xx)
Riso mostravi che ogni sdegno placca,
Romma era salva e il Campidoglio secco.
Il Ciel ti diè dotti si bele; or vane
Deh vane, amatta Dona, e ancor vacca
a corronar del tuo tesoro Becco. (xxx)
(xx) S'intende benissimo che si parla di Annibale.
(xxx) v. la prima nota.
Nel foglio successivo troviamo
La seguente poesia pronunziata nell'antica
accademia del lavatoio di Roma
dal mecenate dei letterati, M.r Carlo Emmanuele Muzzarelli
e riportata
con premura
da un giornale italiano,
il quale ne loda giustissimamente
l'originalità di concetti,
l'armonia delle membra,
la parsimonia de' giudiziosi epiteti,
i versi maschi,
e le rime femine,
cosicchè, conclude l'estensore dell'articolo,
questo parto novello di raro ingegno
può sicuramente mostrarsi
a chiunque entra in carriera
col cavallo pegaseo,
siccome esempio del vero e bello
sonneto italico.
(Nello stesso foglio del sonetto, a fianco)
«Sonetto composto stranam.e da me con espressioni inten.e da satireggiare il barocco stile di Mons.r Carlo Emmanuele Muzzarelli uditore di Ruota; il quale oltre al cattivo comporre recita alla ferrarese raddoppiando nella pronuncia alcune consonanti semplici, e semplificando altre doppie, cosicchè viene spesso in cadere in suoni equivoci e di vario senso.R>
Sulla camicia che conserva il documento è la nota:
"dizio su un sonetto di Carlo Emanuele Muzzarelli. Roma 1837. Carlo Emanuele Muzzarelli, di Bologna, conte, monsignore, letterato, prese parte al governo della Repubblica Romana (1797-1853).rebbe opportuno rivedere questa scritta alla luce del testo autografo di Belli, come pure accertare la data esatta della morte di C. E. Muzzarelli.
Ma non basta. Nel tema oggi trattato può essere incluso anche un sonetto del conte Filippo Neroni, più volte menzionato in precedenza. Proprio "signor Conte Filippo Neroni, Guardia Nobile di SUA SANTITA', (che) si pose in viaggio il dopo pranzo del dì 15 (Dicembre 1828) in qualità di corriere alla volta di Strigonia (Ungheria), onde recare al nuovo Cardinal de Rudnay la notizia della sua creazione e lo zucchetto rosso)
Conte
FILIPPO NERONI
SONETTO
Chi l'imago del Ciel ti sculse in core
Ove siede il sovran Santo de' Santi?
In questo tempio rasciugando i pianti
Acqueter… il tapino il suo dolore.
Ah Tu che il Ciel agl'occhi nostri ammanti,
O Tu ascendesti alla magion d'Amore,
O il Pennello donotti, ed il colore
Angelo amico degl'umani incanti.
Ed or che alla città vai di Quirino,
I tuoi mietuti allor reca sull'urna
Ove il Grande riposa Angiol d'Urbino.
Tu quivi l'ossa per la gioia udrai
Entro agitarsi, e l'ombra taciturna
Da quei marmi affacciar tutta vedrai.(9)
Dal confronto tra i versi del nobile ripano e quelli del Muzzarelli può scaturire un giudizio indubbiamente più benevolo nei confronti di quest'ultimo. Mi permetto di osservare, però, che se la guardia nobile si fosse trovato a combattere con qualcuno, anziché usare la spada avrebbe potuto scagliar contro l'avversario, come ponderosi macigni, vocaboli ed espressioni tratti dal suo componimento poetico - Sovran Santo de' Santi, il pennello donotti, quivi l'ossa per la gioia udrai entro agitarsi rse con risultati più efficaci.
Per concludere, esprimo l'augurio - in quanto non ho nulla atto a provare il contrario - che questi versi siano effettivamente di mano del Neroni e non di Belli che, come abbiamo visto in precedenza, in parecchi casi ha fatto omaggio di suoi scritti a Giuseppe ed agli altri fratelli
Neroni, poi pubblicati col loro nome e non con quello dell'autore.
Note
(1) Non abbiamo effettuato ricerche volte ad appurare se il suo cognome possa essere assimilato a quello della famiglia Mucciarelli di Ascoli Piceno, cui apparteneva la madre di Giuseppe Neroni Cancelli. Per C.E.M. cfr. E. TREVES-G. STRAFFORELLO, Dizionario universale di geografia, storia e biografia, Milano 1882, vol. II: «ZARELLI (conte Carlo Emmanuele) n. a Bologna 1797, fu sottotenente nelle guardie nobili pontificie in Roma, poi monsignore auditore di Rota. Pio IX lo nominò presidente dell'Alto Consiglio, poi ministro della pubblica istruzione e presidente dei ministri. Nel 1849, fuggito il papa e proclamata la repubblica, presiede la Commissione provvisoria del Consiglio di Stato, e presa Roma dai Francesi, andò in Toscana, in Corsica, a Genova, ove divenne cieco. Scrisse versi e prose, raccolse materiali per biografie di dotti, ecc. M. mag. 1853. La data della morte, per altri, va posta nel 1856. Nel Diario di Roma degli anni 1824, 1825, 1827 e 1828 compaiono molti trafiletti dedicati ad assemblee di accademie e associazioni culturali, a volte presiedute dal Muzzarelli, nel corso delle quali il monsignore uditore di Rota legge spesso sue composizioni (sonetti, ottave, capitoli, quartine, etc.). Anche in occasione della distribuzione dei premi dell'Accademia di San Luca, il 5 febbario 1844, come risulta dal volume «Sessantacinque anni delle scuole di Belle Arti della insigne e pontificia Accademia Romana denominata di San Luca, Roma 1895», pp. 215-216, "gli Arcadi cominciarono i loro nobili versi. E furono (...) Monsignor Carlo Emanuele dei conti Muzzarelli due componimenti (...)". Va rilevato che in A. M. GIORGETTI VICHI, Arcadia. Gli Arcadi dal 1690 al 1800, Roma 1977, col nome di Adamanzio Feacio compare il conte Gaetano Muzzarelli, ma non Carlo Emanuele. Tra gli altri nominativi ivi inseriti ricordiamo un Gioacchino Belli (Tibrindo Plateo), che non va confuso con Giuseppe Gioachino Belli, che non compare negli elenchi della Vichi ma risulta iscritto all'Arcadia col nome di Linarco Dirceo (cfr. BNCRM, A 86/39-1, lettera di G.G.B. del 25.5.1820 da Ripatransone a Francesco Spada; M. MAZZOCCHI ALEMANNI, Et in Arcadia ille, Strenna dei Romanisti n° XLVIII, Roma 1987, pp. 689-700) e "Bartolomeo Backer da Roma, abate" (Lavillo Argeatide). Per un commento di G.G.B. su di un'adunanza solenne tenuta in Arcadia il 16.7.1838 cfr. BNCRM A 143/18-1, lettera a Francesco Spada nella stessa data.
(2) Cfr. C. E. MUZZARELLI, Reminiscenze di un viaggio nel Piceno l'estate del 1842, Fermo 1842, conservato alla Biblioteca Angelica di Roma (Misc 2323). Contiene in tutto quattro sonetti, dei quali i primi due trattano di Civitanova e della casa di Luigi Lanzi in Montolmo, gli
ultimi due sono qui trascritti.
(3) G. NEPI, a c. di, S. Benedetto del Tronto, Ascoli Piceno 1989, p. 192. Non risulta che il Muzzarelli sia divenuto cardinale.
(4) G. B. CORNIANI, I secoli della letteratura italiana dopo il suo risorgimento, vol. VI Torino 1855, p. 269: "l'Autore Giacinto Sigismondo Gudil) lasciati ai Valsecchi, ai Bolgeni, ai Muzzarelli, ai Marini, agli Almici e ad altri volgari apologisti i topici e le declamazioni ...". Il nome di Muzzarelli non compare in storie letterarie italiane più recenti e di maggiore diffusione (Flora, Cecchi) ma è presente in opere dell'800 e del primo '900. Ad es. in G. MAZZONI, Ottocento, voll. 2, Milano 1913, a pp. 399-400: "il conte Carlo Emanuele Muzzarelli, da soldato si mutò in prelato, e fu dei ministri di Pio IX e della Repubblica romana, ed esule dopo il luglio del '49, finchè in Torino non morì demente, a cinquantanove anni, nel 1856, dopo avere non tanto scritto quanto raccolto di lettere e di autobiografie altrui". Le autobiografie raccolte, quelle irrise dal Belli tanto per intenderci, vennero pubblicate da D. DIAMILLA MÜLLER, Biografie autografe ed inedite di illustri italiani di questo secolo, Torino 1853 (collocazione cc L XI 96, Bibl. Casanatense), autore di una dedica a Muzzarelli e di alcuni cenni biografici del nobile ferrarese, forse non ancora colpito da demenza, se così viene descritto: "orbato della luce del sole, ma ricco del più vivo lume dell'intelletto, della sua antica altezza di mente, dolcezza di modi e sanità di costumi".
Muzzarelli compare più volte nel monumentale dizionario del Moroni per brevi citazioni a proposito di cariche rivestite. Una sola volta vi si trova un giudizio negativo su di lui, nel vol. 103, Venezia 1861, p. 25: "Il dotto ferrarese mg.r Carlo Emanuele Muzzarelli uditore di rota e poi decano della medesima, quindi miseramente involto nelle vertigini politiche di Roma de' nefasti 1848-49)", mentre negli altri casi se ne mettono in luce i meriti culturali ("Sotto il pontificato di Leone XII fu ripristinata una rappresentanza della provincia di Ferrara, e la prima persona che l'assunse ebbe il titolo di deputato, nel quale ufficio fu nominato monsignor Carlo Emanuele Muzzarelli ... al presente è meritamente uditore di rota ferrarese monsignor Carlo Emanuele de' conti Muzzarelli, il cui nome è splendido elogio nella repubblica letteraria", vol. 24 p.152; "A prendere una giusta idea della biblioteca e museo De Minicis, va letto l'opuscolo inedito intitolato: una visita al museo privato de' fratelli De Minicis in Fermo, ivi 1842.
Questo opuscolo contiene de' versi sciolti sull'argomento, con adatte note del ch.mo conte d. Serafino d'Altemps, intitolato a monsignore Carlo Emanuele Muzzarelli uditore della romana rota, perchè dall'autore recitati nell'accademia tenuta nella casa De Minicis onde onorare il dottissimo prelato", vol.24 pp. 13-14. Tra i tanti corrispondenti che furono in relazione epistolare con Muzzarelli ricordiamo Giacomo Leopardi, di cui si conservano almeno 5 lettere indirizzate a C.E.M., cfr. G. LEOPARDI, Lettere, a c. di F. FLORA, Milano IV/1963.
Recentemente G. MORELLI, La raccolta di autografi Servanzio Collio di Sanseverino Marche, Strenna dei Romanisti n° LVI, Roma 1995, ha messo in luce come l'arricchimento di detta collezione sia in gran parte dovuto alla "liberalità" di C. E. M. nel concedere ad amici e corrispondenti autografi provenienti dagli archivi dell'Arcadia e di altre istituzioni culturali.
(5) Come appare dal volume citato alla nota 1, p. 247, in occasione delle solenni esequie celebrate il 31 gennio 1822 nella chiesa dei SS. XII Apostoli per Antonio Canova, tra i rappresentanti dell'Accademia Tiberina presenziavano al rito il Signor conte Carlo Emanuele Muzzarelli, avvocato concistoriale vice-presidente, e G. G. Belli, consigliere.
6) Trascriviamo la nota 7, autografa del Belli: «Ciò accade continuamente a monsignore Carlo Emanuele Muzzarelli, uditore della S. R. Rota, il quale stimola quasi ogni italiano che maneggi una penna a scrivere la propria biografia. Morendo poi gli auto-storiografi, egli ne va pubblicando le vite su tutti i giornali d'Italia. Nuova specie di mecenatismo.»
(7) BNCRM A 143/19-1, in copia fotografica.
(8) Diario di Roma, nø 101, 17 dicembre 1828, p. 2.
(9) "All'Egregio Artista Giuseppe Capparoni di Roma che della sua valentia non dubio monumento lascia in questa Città di Ripatransone nelle ammirabili pitture eseguite sulla Chiesa Cattedrale con sorprendente non comune celerità e con marcato magistero nel procinto di sua partenza alcuni ammiratori del merito non meno che delle sue più belle virtù religiose e sociali giustamente lo accompagnano con questo tributo di onore e d'indelebile sincera riconoscenza, Ripatransone, Jaffei, 1840." Nella raccolta sono contenuti in tutto 9 sonetti. Gli altri autori sono N. Fiorani, L. Fiorani, B. Antonelli, L. Teodori, G. Travaglini, F. Bruti Liberati, N. G. Fedeli, F. Jezzi.
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