Premessa
Sono ormai passati più di trent'anni da quando S. Anselmi si occupò del vescovo agronomo che resse la diocesi ripana dal 1779 al 1813.(1) In quell'occasione si servì, oltre che della scarna bibliografia esistente, di alcuni documenti e di un epistolario pervenuti fortunosamente in possesso di E. Liburdi e da questi messi a disposizione del collega.
Riportiamo da quel testo un breve giudizio sugli scritti e sul loro autore, il sacerdote Carlo, fratello di Bartolomeo, che negli anni giovanili aveva prestato servizio nell'ambito della famiglia Sforza Cesarini, come risulta dala fig. 1: «L'impostazione e il tono delle lettere, nelle quali al discorso prevalentemente tecnico s'accompagna lo scherzo a volte mordace, il gusto per la battuta, la sferzata del riformatore, un notevole scetticismo politico, accompagnato però a sollecitudine evangelica, la noia per la vita curialesca spesso causticamente descritta, rivelano una personalità complessa, ricca d'interessi, concreta, forse ispirata dalle idee gianseniste, certamente influenzata dalle dottrine francesi, probabilmente vicina agli illuminati ... Nonostante questa scarsità di notizie, che vorremmo in seguito integrare con una più approfondita ricerca di possibili informazioni, sembra possibile accostare in qualche modo Carlo Bacher ad uno di quei filosofi del Settecento francese, che non mancavano di alternare alle cure dell'Enciclopedia la più minuta e puntuale attività quotidiana ... »(2)
Stralciamo anche un altro brano: «>La scarsità delle fonti a stampa, e di quelle manoscritte negli archivi centrali, si spiega abbastanza bene, anche al di là della congiuntura politica e delle disposizioni napoleoniche sulla corrispondenza tra i vescovi e la Santa sede: Bartolomeo Bacher e suo fratello Carlo non sono personaggi di grande importanza. Ciò non toglie che la loro opera, specialmente nel contesto della realtà marchigiana, non possa essere considerata egualmente significativa e degna di studio.»(3)
Già in occasione di uno studio sulle carte dell'Archivio di Stato di Roma (poi ASR) a proposito della costruzione del Nuovo Incasato di Grottammare, si ebbe modo di accennare alla parte avuta da Bartolomeo nella costruzione della nuova chiesa di S. Pio V.(4) In seguito, sempre nell'ambito di ricerche volte a mettere in luce altri aspetti di quell'impresa urbanistica, un'indagine svolta nei fondi della Sezione di Archivio di Stato di Fermo (poi SASF) ha fatto emergere alcune lettere scritte tra il 1787 e il 1804 ed inviate dal vescovo al conte Eufemio Vinci, che ebbe parte importante nell'amministrazione del territorio fermano, ed a sua moglie.(5)
Riteniamo che dalla loro conoscenza possano scaturire utili raffronti ed integrazioni con quanto scritto da Anselmi prima, e poi da L. Rossi.(6) Ne trascriviamo quindi il testo in appendice, dopo aver esposto alcune considerazioni su fatti e personaggi di cui tratta il vescovo la cui figura, grazie al ritrovamento di queste ed altre carte, potrebbe essere sottoposta ad una nuova valutazione.
Le lettere di Bartolomeo Bacher
Per quanto si riferisce ai rapporti tra il vescovo e l'ambiente ripano si rimanda agli scritti di Anselmi e Rossi già citati.
Nel 1787 Bartolomeo si esprime in maniera dubitativa a proposito del buon esito di quelle contese: «Chi sa che un dì non s'ammansisca la ferocia Ripana, non si rallenti la guerra, e non abbia una settimana di triegua e di armistizio. Io son l'uomo e de dolori, e de desiderj.» Ma trova anche modo d'intrattenersi gradevolmente con la contessa Vinci e di scherzare piacevolmente su alcuni amici comuni.
Il quadro che appare dalle lettere del 1799 è molto più tetro. Ormai il prelato, vissuto dal 23 marzo 1726 al luglio 1813, ha raggiunto i 76 anni di età e le pene provocate dagli interminabili ed accesi contrasti lo hanno provato duramente, come appare da alcuni frasi che qui si trascrivono: « ... Si fa la guerra alla Chiesa, mio caro Conte, al Vescovo, perche s'inabiliti a sostenerla, e l'abbandoni. Come difatti più reggere nella mia rappresentanza, mancandomi il pane per sostentarmi ancor da privato? Nulla più esiggo per ogni parte, e sono esausto per tutte le spese. Vivo a debito, e dove mi manchi il danaro del fratello, di qualche amico, che ormai per tutti vien meno, io sono a rischio di non aver la pagnotta. Ma qual legge che altri goda i miei beni, e muoja io dalla fame? I terreni son della Mensa, son di prima erezione, è dote, è pascolo del gregge, del suo pastore. Trattasi di alimenti, nel mio caso del puro pane ... »
« ... I beni son della Mensa. Le rate son per alimenti. Son da sostentarvisi il Pastore, deve pascere il Grege. Il ventre può patir dilazione? Dovrò litigar per la pagnotta? E con qual danaro? La Città lucra il doppio su i miei beni, ed io, è già il second'anno, vivo a debito per mangiare. Non esagero, mio caro Amico, ve lo asserisco sul mio carattere, ve lo posso provare, come tutto è notorio, e vi documenterò quand'occorra. In domo mea, lasciatemi pur dire, si sguazza e stravizia, si fan cene patriottiche, s'alzan alberi trionfali, vi si fan delle feste attorno, si spende, e spande in una parola, et ego fame pereo. Voi vedete che la rivoluzione non è finita per me. E dura di fatto per l'impegno violento che da taluno si è preso, che non ha poi luogo in cod.to Consesso, per il parlare che ha fatto, per la minacce, per gl'improperi. So pure i ricorsi che si son dati, le spediz.ni che si fanno a cod.a eccelsa Reggenza. Cosa cambiò risoluzione per nuova rappresentanza, come nell'ultima let.a mi ha scritto. Dio buono! E non mi si denno comunicare, e senz'ascolto sarò condannato? Che dicon mai, che io non fo le funzioni, che io non risiedo alla Ripa? Si prenda informaz.ne, si veda se io le tralascio le solenni funzioni, quando sto bene. Se io corro alla Ripa per ogni urgente bisogno, anche male in salute, anche a tempi stravolti. Sto in Diocesi, e nel centro, ed ogni luogo di essa, com'è deciso le mille volte, è residenza del Vescovo. Debbo dare la vita per le anime, non per il clima, per me micidiale, come attestan tutti? Medici che ho consultato, e del luogo, e della Provincia, e di Roma. Finisco, Amico mio, col dirvi chiaram.e, che io non posso più reggere, che io non posso pur aspettare che torni, come spero, il S. Padre. che si riaprano i suoi Tribunali Superiori ... »
Le sofferenze continuano e, nel 1804, giungono ad un livello tale da porre il vescovo di fronte ad una scelta decisiva: «Col più stretto segreto. Posso diffidare di Voi? Son quasi a tiro di rittorre, senz'agitazione di coscenza, la mano da questo aratro, che non posso più trascinare senza quell'ajuto, che omai son fuori di speranza di ottenere. Non mi resta che prepararmi alla Morte, svolto da ogni altro pensiero. Vorrei perciò chiudermi in una cella. Qui non vuol prudenza che io resti ... »
Ma, non sappiamo per quale preciso motivo, se per una reazione del suo forte carattere o per un mutamento passeggero della situazione, il tragico momento viene superato e il presule rimane in carica per nove anni ancora, fino al giorno della sua morte.
Da rilevare come le tribolazioni sofferte da Bacher siano derivate soprattutto da contrasti con la classe dirigente (ma non solo questa) di Ripatransone e siano state molto più difficili da superare rispetto alle persecuzioni di carattere politico scaturite dal comportamento delle autorità francesi.
Anche le condizioni meteorologiche impongono sofferenze al prelato che, al rigido clima invernale di Ripatransone, preferisce le temperature più miti godibili a Grottammare. Decisamente le stagioni hanno subito un notevole cambiamento perché, in tempi recenti, questa differenza si è molto attenuata.
Dalle lettere emergono i caratteri del legame tra Bacher e i Vinci. Non si tratta solo di quelli convenzionali dovuti alla rispettiva alta posizione nella società picena, ma anche di confidenza amichevole, che ci fa sorprendemente assistere ad uno scambio di ruoli tra il pastore che diventa agnello da consolare e proteggere ed uno dei componenti del gregge che assurge al ruolo di guida spirituale e di confortatore dell'afflitto vegliardo.
Per motivi contingenti è impossibile per il momento riprendere ed estendere le nostre ricerche nei fondi della SASF. A chi, animato di buona volontà, volesse intraprendere tale compito, facciamo presente che non si è posta attenzione sull'esistenza di minute o copie di missive inviate dal conte al vescovo. Si ritiene opportuno segnalare quest'aspetto per suggerire non solo di sottoporre ad attento ed esaustivo controllo il ricco fondo Vinci e quelli ad esso collegati ivi esistenti ma anche anche d'indagare nel ricchissimo epistolario del cardinale Cesare Brancadoro conservato nel vicino Archivo Storico Arcivescovile, che potrebbe riservare la sorpresa di trovare qualche interessante documento su questa e su altre vicende di quell'epoca turbolenta ed agitata.
Particolare attenzione va dedicata alla figura del conte Eufemio Vinci, che meriterebbe un esame approfondito che qui non è possibile dedicargli. Riportiamo solo, in figura 2, copia di un passaporto rilasciatogli nel 1809 quando aveva l'età di 50 anni, nonché la trascrizione di una lettera del prefetto Staurenghi risalente al periodo del Regno Italico e di parte della risposta a questa in data 10 febbraio: «da Casa lì 9. Feb.o 1813 Alcuni cui forse preme il denigrarla in faccia al pubblico, ed al Governo, non solo vogliono far credere ch'ella sia indisposta a fare qualche dono gratuito al Sovrano, ma ben anche che di questa indisposizione ne faccia pompa comunicandola alli altri, intiepidendo in tal guisa l'altrui energia e patriotismo. Dubito nel prestar fede alla prima parte, giacche uno dei primi possidenti non parrebbe vero che in tale circostanza voglia distinguersi esclusivamente falsa poi assolutamente mi giova supporre la seconda, giacche se ciò fosse, il titolo vestirebbe il carattere di seduzione non scevro di delitto. Per la stima, che le proffesso amo comunicarle quanto si vocifera sul di lei conto in via privata, perche uomo a talenti com'ella è faccia suoi rifflessi, e quelle risoluzioni, che le convengono. Le protesto la mia distinta stima. Staurenghi.» « ... Cauto siccome sono per mia naturale inclinazione oso assicurarla che nessun contribuente o spontaneo oblatore può vantarsi di risapere li miei sentimenti, per cui son certo di non poter incontrare alcuna benche menoma taccia od approvaz.e. L'assicuro, che lo sarò maggiormente onde non abbia a demeritarmi quella distinzione di cui mi grazia. Pieno di verace ossequiosa stima, ed inalterabile rispetto ... »(7)
Qualche parola infine su Nicola Mascioli. L'estate scorsa il suo nome è tornato alla ribalta per la rievocazione del soggiorno di Franz Liszt a Grottammare.(8) Infatti l'artista ungherese fu ospite di Carlo Fenili, genero del Mascioli.
Per concludere riteniamo opportuno rilevare che, nel cimitero comunale di Grottammare, sorge la tomba Fenili-Salvi, nella quale è sepolta la contessa Maria Mascioli, moglie del conte Carlo Fenili. L'autore, a seguito di considerazioni esposte in altra sede, ritiene che molto probabilmente il titolo di cui godeva Carlo Fenili fosse del genere di quelli attribuiti nello Stato Pontificio a personaggi di buona levatura ed incaricati d'importanti funzioni pubbliche. Molti di questi riconoscimenti, però, non sono stati sanzionati dal Collegio Araldico dopo l'Unità d'Italia. Pertanto negli albi e nelle pubblicazioni di carattere araldico consultati non compaiono mai le famiglie Fenili, Mascioli e Salvi.(9)
Di diverso parere la voce pubblica e i diretti interessati. Molti dei discendenti di Carlo Fenili sepolti in quella tomba sono accreditati del titolo comitale. La cosa non sorprende perché, sempre a Grottammare, a tutti i discendenti del Marchese (di riconoscimento pontificio) Gioacchino Laureati viene attribuito titolo marchionale anche se, in effetti, questo spetta solo ai primogeniti della linea maschile principale (o surrogata), come da brevetto rilasciato nel 1929. Mentre agli analoghi corrispondenti della linea originaria, viventi a Montecosaro, è stato riconosciuto soltanto il titolo di patrizio. Ma in questa attribuzione avrà giocato senz'altro un importante ruolo l'ospitalità concessa da Marino Laureati a Vittorio Emanuele II in occasione della sua sosta a Grottammare nell'ottobre del 1860.
Note
(1) S. ANSELMI, Un vescovo agronomo Bartolomeo Bacher, Quaderni storici delle Marche 5/1967, pp.238-287.
(2) S. ANSELMI, ib. pp. 242-244. Per la testimonianza della presenza di Carlo Bacher in qualità di segretario tra gli stipendiati degli Sforza Cesarini nei mesi di marzo, aprile e maggio 1779, con una paga di 10 scudi mensili, cfr. ASR, arch. Sforza Cesarini, p. II, b. IX.6.
(3) S. ANSELMI, ib. p. 239.
(4) A. SILVESTRO, Cartografia ed iconografia di Grottammare, 1780-1830. Appunti sulla nascita del Nuovo Incasato, in V. RIVOSECCHI, a c.di, Grottammare. Percorsi della memoria, Grottammare 1994, pp. 31-48; A. SILVESTRO, Quando l'urbanistica diventa storia. La nascita del Nuovo Incasato di Grottammare, Quaderni dell'Archivio Storico Arcivescovile di Fermo nn. 17-18/1994. Non ci si sofferma, invece, su un documento conservato alla Biblioteca Apostolica Vaticana, cod. vat. lat. 14406, ff. 67r-68r, concernente il vescovo B. B.
(5) SASF, Archivio Vinci, b. 166. Le lettere presentano pochi problemi di lettura, fatta eccezione per alcune parole a cui nella trascrizione è stato posposto un (?).
(6) L. ROSSI, Il difficile mestiere di vescovo: la "Storia dei vescovi di Ripatransone" di Mons. Bacher, Quaderni dell'Archivio Storico Arcivescovile di Fermo, n° 14, 1992, pp. 40-52.
(7) SASF, Archivio Vinci, b. 135.
(8) Cfr. C. COLOMBATI, Franz Liszt e l'Italia. L'amore per i piccoli centri. Il soggiorno a Grottammare, Acquaviva Picena 1998; T. CAPOCASA, Liszt nella Grottammare dell'Ottocento, Fermo 1998 (con recensione dello scrivente su Cimbas 15/1998, pp. 79-80). Altre notizie su Mascioli ed il suo socio Nicola Fenili, padre di Carlo, in un lavoro sempre dello scrivente sulla fabbrica del sugo di liquirizia a Grottammare, che apparirà nel contesto di alcune monografie tematiche su paese piceno.
(9) Elenco ufficiale nobiliare italiano, Torino 1922; V. SPRETI e collaboratori, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, voll. 9, Milano 1928-35 e Appendice; C. ARNONE-V. BURATTINI, Dizionario della Nobiltà, dei Titoli e degli Stemmi delle Famiglie marchigiane, Ancona 1951; L. GUELFI CAMAIANI, Supplemento a carattere storico ed internazionale dell'almanacco nobiliare italiano, Roma 1965; L. GUELFI CAMAIANI, Albo d'oro delle famiglie nobili e notabili italiane, Firenze, X ed. 1973; COLLEGIO ARALDICO, Libro d'oro della nobiltà italiana, Roma 1931, vol VII; id., 1933-36, vol. VIII; id., Roma 1939, vol. X; id., Roma 1969-72, vol. XVI.
Appendice
Gent.ma Sig.ra Contessa P.rona
Torno dalla Ripa, ove tutto è in dissesto, e per conseguenza anche la posta. Vi ho sofferto un freddo si aguto e mordace, che tal non ho inteso in gennajo alle Grotte. Il peggio che ho perduto le più serene giornate al passeggio, di tanto mio sollievo in questa spiaggia. Insomma son disgraziato per ogni conto. Mancava al colmo delle mie penose combinazioni il di Lei graziosissimo primo invito pel quattro. A comprender quanto mi accorsi il non poterne godere basta un riflesso a quel diletto che v'ebbi un giorno, per suo pensiere, colla sua compagnia. Che buon appetito, senza l'abilità di Ferdinando, che piacevoli gite, che liete sere, che bella vita! Ma perche riaccenderne ora l'imagine, e appresso la mia Croce? Per quanto meno altrui sembra, tanto ella è per me verbra (?) e pesante. Solo con ambe le braccia lavoro un terren duro infecondo, e il sudor che vi spargo inaffia spine e zizania. Finora non altra Messe che di travagli, non altro conforto che un occhio al Cielo. E vo ripensando al Gualdo per farmi una qualche idea del Paradiso. Chi sa che un dì non s'ammansisca la ferocia Ripana, non si rallenti la guerra, e non abbia una settimana di triegua e di armistizio. Io son l'uomo e de dolori, e de desiderj. Sfido findora il Contino Eufemio per una partita al formaggio. Ne si fidi d'un vecchio, che dove mancano le forze abbonda l'arte e il coraggio. Si ha da ridere piu che altro a veder giocare la Sig.a Benedetta, e il Can.co Paccaroni, una come la papera, l'altro a guisa di gambero sempre indietro. Vada felice, stia sana e lieta, torni più vegeta e sciolta, che il bene di chi veramente si stima vale assai da consolazione a chi si protesta suo
Grottam.e 4 Ap.le 1787
devotis.o aff.mo servitor vero ed amico
Fra Bartol.o di Ripa
Venerat.mo ConRegg.te ed Am.o caro
Grottamme 4 Ag.to 1799
Dalla Lettera che scrivo a cod.a vostra Reggenza rileverete il mio bisogno. Dal nostro Tarini potrete anche minutam.e informarvi di tutta la storia frodolente e maligna sul mio interesse. Si fa la guerra alla Chiesa, mio caro Conte, al Vescovo, perche s'inabiliti a sostenerla, e l'abbandoni. Come difatti più reggere nella mia rappresentanza, mancandomi il pane per sostentarmi ancor da privato? Nulla più esiggo per ogni parte, e sono esausto per tutte le spese. Vivo a debito, e dove mi manchi il danaro del fratello, di qualche amico, che ormai per tutti vien meno, io sono a rischio di non aver la pagnotta. Ma qual legge che altri goda i miei beni, e muoja io dalla fame? I terreni son della Mensa, son di prima erezione, è dote, è pascolo del gregge, del suo pastore. Trattasi di alimenti, nel mio caso del puro pane. Ch'enfiteusi, che contratti, ed esclusione del proprietario, del povero, in contradizione a rovescio del natural dritto di pascer le mie pecore, di sfamarmi pur io? Cessa a tal estremo ogni formalità, ogni ordine di giudizio; dee procedersi di fatto, con regia mano, militarmente. Tutto è mio, terreni, e prodotti. Fate che abbia da pagare i miei creditori, da vivere, e dar di che vivere a chi conviene, e lascio il resto a chi lo vuole. Non mi appello al giudizio del S. Padre. Ma ha sì deviato la snaturata Città, che cede, che dona per così dire che raziona i miei beni, senza neppure accennare al canone, che mi si è riservato. Non è un ostinata persecuzione il sostenere tuttora, ch'essa, direttam.e per istrumento obligata, non mi debba nulla? E non è pure una bindoleria dell'affittuario il supporre, senza provarlo, ch'egli abbia mandato a Roma l'ultimo semestre, scaduto alla fine di giugno? Se prima di tal termine, ha pagato con dolo; se dopo, già ripristinato il governo, contro il dovere. Tutto iniquità in una parola. E non dovrà smoversi codesta Reggenza, e troncare l'iniqua trama? Un Regime Imperiale, Regio, Pontificio ha in ventre la plenipotenza. A Voi dunque, sì ragionevole e probo, ai Vostri SS.ri ConReggenti, sì saggi, sì retti, è indirizzato quel avvertimento divino = Noli fieri Judex, nisi valens irrumpere iniquitatem. Qual esempio, qual nome, qual tuono al Vostro Governo da un provvedimento sì giusto, sì pronto? Ne altro a Voi, ch'esporre il caso, ossequiarvi come Magistrato Supremo, e come amico darvi un abbraccio. Addio.
Eccellenza
Son vivamente penetrato della bontà, e rettezza dell'Ec.ze V.re pel provedimento che sonsi degnate di prendere in ordine alla percezione delle rendite della mia Mensa; su che tornerò a supplicarle per il loro braccio se occorre.
Debbo altresì ringraziarla per la fiducia che han posto in me, sì per provedere questo luogo di Giudice, che per conciliare ogni differenza tra Vincenzo Tirabassi di Marano, e la di lui consorte, la di cui Supplica a cod.a Suprema Reggenza mi hann'Elleno benignamente rimessa.
Per combinare la giustizia, e la pace sarei di sentimento di stabilir qui Vicario Imperiale il d.o Tirabassi da loro destinato a Marano, sua patria, e mandar ivi in suo luogo il Not.o Antonio Palestini di Grottammare, uomo a giudicio sì mio che del luogo, quanto povero, altrettanto religioso, ed onesto. Io terrò l'occhio sull'uno, e l'altro per renderle intese di qualunque loro trascorso. Nulla però senza speciale approvazione dell'Ec.ze V.re a' cui comandi sempre pronto posso con perfetta stima, e rispetto ripetermi
Dell'Ec.ze V.re
Grottammare 9 Agosto 1799:
divot.mo obligat.mo servitor vero
Bart.o Vescovo di Ripatransone
Grottammare 4 Set.e 1799
Rectorem te posuerunt? Pro justitia agonizare dice lo Spirito Santo. Sosteneva a spada tratta il povero Mascioli, di cui parla l'acclusa Promem.a . Mi par che abbia tutte le ragioni di esser reintegrato nel suo posto. L'esame s'appartiene a cod.a Suprema Reggenza, in cui avete sì meritam.e Luogo. Io posso solo attestare, ch'egli è un buon uomo, che in tutto il tempo di questo suo soggiorno non ho mai auto il menomo richiamo di Lui. Vi par poco requisito in questi tempi? Ne altro di Lui. Un po' pria di me, del mio interesse Ripano. Usque in tempus sustinebit patiens. Io non ne posso più. Abbiate un po' di pazienza anche Voi. Fatel avere anche a Chi dee giudicar con Voi, se crederete di communicar questa mia.
Dalla fondazione del Vescovato Ripano furono asssegnate per Mongo (?) beni di prima erezione, Some duecentosei, ossia mille e trecento Modioli di terreno alla Mensa: Se ne ripromise il fruttato in scudi 600 liberi; si esibì la Città di ritenerli in affitto a tal ragione; si obligarono uti singuli i Cittadini di corrisponderne senza eccezione o mora la divisata somma. Vi è un istrum.to Lampante, che posso rimettervi ad ogni cenno.
Alcuni de miei Predecessori non vollero la briga di coltivare si sterminata possidenza, e si contentarono della convenuta risposta. Io trovai tai terreni fittati a triennio, e per somma maggiore, e trovai pure che la Città avev'acquistato de luoghi di Monte non solo co' sopravvanzi de beni della Mensa, ma col ritratto del Legname reciso e venduto, di che spogliavano i beni. Ciò costa da publici libri. Motivai qualche cosa per quiete di loro coscenza. Ciò fu bastante per spedir contro un Monitorio di jattanza. Doveva io litigare co' miei figli? Ricorsi al Papa, che avocò la causa in Segnatura di Grazia, ne per cio mi costò meno di cento doppie. Decise il Santo Padre nettamente = Episcopo jus competere repetendi fundos = Ma che? Gli dan sottobanco un Attestato, Dio sà come giurato!, che i fondi rendevan meno di scudi 600=, e = ad consulendum utilitati Ecclesiae, li lascia fittati alla Città con obbligo di corrispondermi l'espressa somma = oblig.mi alla minima detractione = Io non potei smentire l'impostura, perche mi fu birbescam.e sottratto il Sommario, e andò la Causa senza risposta. Questo è fatto di pochi anni. La Città subaffitta i beni sopra scudi 1000= Voi ben v'intendete anche di agricoltura. Tanti terreni ponno render meno di tanto? Pazienza anche allora. Mi si doveva almeno libera la risposta. Oibò! Per non fare un'altra Lite dovetti addossarmi l'emolumento al Predicatore di Quares.a ed avvento, la Tassa di Spogli e Galere, varie somministrazioni alla Cattedrale, senza dirvi che la Fabrica della Chiesa, Torre, Campane, Episcopio, ed annessi sono a carico del Vescovo. Non basta. Si pretese di pagarmi colla carta, e dovetti brigar nuovam.e per ottener di esser sodisfatto in moneta sonante, metà buona, metà oro ed argento. In vent'anni mi son contentato di supplir col mio. Come ho vissuto, come ho fatto vivere il povero, Voi lo sapete. Sanno essi i Ripani quant'ho speso per ridur l'Episcopio, quelle dimostrazioni che ho fatto alla Catedrale. Vi dirò l'ultima, di essermi obligato a risarcirla di tutti gli argenti, non pochi, nella requisizione Francese. Tal mia Lettera al Capitolo è in istanza, che non ho alla mano, ma posso rinvenirla se non vi fidate di mia parola. Ve ne dirò una, che fa il carattere di quella gente: è pur ora che io parli. Diedi tralle altre cose in dono alla Chiesa un mio anello, di un bel zaffiro, contornato di brillanti. Che se n'è fatto? L'ho visto tal quale ne scorsi giorni in dito alla moglie di un Macellajo della Ripa
.
Ma veniamo al quia. La Città con publica deputazione chiama i Francesi; si democratiza, si erige la Municipalità. Assegna alla Republica i beni della Mensa come Nazionali, nulla dice almeno della risposta di cui son gravati. Amputano la mia rata da Febrajo dell'anno scorso. Chieggo, prego, mi risento; non mi badan punto. Ricorro, ordina il Ministro dell'Interno che io sia sodisfatto, replica fortem.e; non se ne dan per intesi. mi rivolgo all'Amministrazione di Fermo; null'affatto. Iddio finalm.e ci ascolta, cambia il governo, si erige la Reggenza. Codesto rettiss.o Consesso mi autorizza con sua Lettera ad opporre il sequestro sulla rendita de beni; giustamente. Vuole però che si sottoscriva la lettera dei Reg.ti, perche ne abbiano cognizione; prudentissim.te. La lett.a non si vuol sottoscrivere. La mando pel Promotor Fiscale, uno de Patrizj, e vengo calunniato di aver fatto chiamare il Magistrato in casa del mio Vicario, e che questo lo tratta indecentem.te. Lasciamo che non siasi fatto alcun caso di si manifesta impostura. Ma il mio avere? Mi veggo giungere altra Lettera in cui debbo attendere per gli arretrati che si riapra la Rota Maceratese, esperimentare le mie ragioni a suo tempo. Io noll'avrei creduta, se non fusse segnata da Voi. Ma Voi forse, e forse gli altri, noll'avranno avvertita.
I beni son della Mensa. Le rate son per alimenti. Son da sostentarvisi il Pastore, deve pascere il Grege. Il ventre può patir dilazione? Dovrò litigar per la pagnotta? E con qual danaro? La Città lucra il doppio su i miei beni, ed io, è già il second'anno, vivo a debito per mangiare. Non esagero, mio caro Amico, ve lo asserisco sul mio carattere, ve lo posso provare, come tutto è notorio, e vi documenterò quand'occorra. In domo mea, lasciatemi pur dire, si sguazza e stravizia, si fan cene patriottiche, s'alzan alberi trionfali, vi si fan delle feste attorno, si spende, e spande in una parola, et ego fame pereo. Voi vedete che la rivoluzione non è finita per me.
E dura di fatto per l'impegno violento che da taluno si è preso, che non ha poi luogo in cod.to Consesso, per il parlare che ha fatto, per la minacce, per gl'improperi. So pure i ricorsi che si son dati, le spediz.ni che si fanno a cod.a eccelsa Reggenza. Cosa cambiò risoluzione per nuove rappresentanze, come nell'ultima let.a mi ha scritto. Dio buono! E non mi si denno comunicare, e senz'ascolto sarò condannato? Che dicon mai, che io non fo le funzioni, che io non risiedo alla Ripa? Si prenda informaz.ne, si veda se io le tralascio le solenni funzioni, quando sto bene. Se io corro alla Ripa per ogni urgente bisogno, anche male in salute, anche a tempi stravolti. Sto in Diocesi, e nel centro, ed ogni luogo di essa, com'è deciso le mille volte, è residenza del Vescovo. Debbo dare la vita per le anime, non per il clima, per me micidiale, come attestan tutti? Medici che ho consultato, e del luogo, e della Provincia, e di Roma.
Finisco, Amico mio, col dirvi chiaram.e, che io non posso più reggere, che io non posso pur aspettare che torni, come spero, il S. Padre. che si riaprano i suoi Tribunali Superiori. Io son costretto rivolgermi al Militar Governo, e dove non sia soccorso indilatam.e, io mi ritiro, e lascio la Chiesa. Io non voglio aspettare che i poveri vadano a torsi di fatto quel ch'è pure di lor porzione. Come stareolarmi (?), come sfamarli con cento scudi di rame che mi si gettano innanzi, che mi si offrono a scherno, come potete veder dall'annessa? Quousque? Scusatemi e vi abbraccio.
Tutto vostro V.o am.o
B. Vesc.o di Ripatransone
Vi prego diriger le lettere, e farle dirigere a Grottam.e, perche alla Ripa taluna mi s'è aperta, taluna altra ritardata, e forse taluna sottratta, non veggendo risposta.
Pro Memoria
Nicola Pio Mascioli in tempo del Governo Pontificio venne destinato Ministro della Dogana di Grottammare, ove servì non solo durante il d.° Governo Pontificio, ma continuò poi anche nell'abbolito Governo Republicano. Nelli scorsi Mesi ebbe l'ordine di passare alla Dogana del Fosso di Fano, ma siccome non gli erano stati pagati gli appuntamenti dovutigli per il servigio dei Mesi precedenti, e gli venivano pur anche negate le consuete tappe per il viaggio, espose per ciò, che privo affatto di denaro, perche non era stato sodisfatto della mercede arretrata, e perche non gli venivano pagate le tappe, non poteva quindi intraprendere il viaggio, e continuò intanto nell'accennata Dogana di Grottammare. Finalmente potè a stento conseguire le sole tappe, e pur non ostante dette subito la consegna al nuovo Ministro Pietro Neroni, e si dispose à partire per la Dogana del Fosso di Fano, come ne consta il Sig.re Sopraint.e. Piacque a Dio in quelli medesimi giorni di operare il principio della comune liberazione mediante l'insorgenza de Popoli, e resasi perciò impraticabile la Strada non potè più moversi per non esporsi imprudentemente a quei pericoli che in simili casi si sogliono incontrare. Da quell'epoca pertanto fino ad ora si trova senza impiego, e quello che più gli è sensibile gravato di qualche debito per vivere appunto perche dall'estinta Republica non è stato pagato della mercede di molti mesi.
Dal contesto di questo genuino fatto si rileva che il Mascioli ne per demerito, ne per propria colpa si trova senza impiego, ed implora per ciò di essere ripristinato nel servigio della Dogana di Grottammare, giacche Pietro Neroni, che venne ad esso surrogato è stato proveduto della Dogana di Pedaso, e ritiene l'uno, e l'altro posto in pregiudicio anche come ognun vede del publico servigio. Tanto più poi sembra equa la domanda in quanto che se volesse ora andare alla Dogana del Fosso di Fano non può eseguirlo stante l'abbattimento della medesima essendo stati felicemente riuniti quei luoghi, ne formano più confine con la Cisalpina come in addietro.
Grottammare P.mo Mag.o 1804
Col più stretto segreto. Posso diffidare di Voi? Son quasi a tiro di rittorre, senz'agitazione di coscenza, la mano da questo aratro, che non posso più trascinare senza quell'ajuto, che omai son fuori di speranza di ottenere. Non mi resta che prepararmi alla Morte, svolto da ogni altro pensiero. Vorrei perciò chiudermi in una cella. Qui non vuol prudenza che io resti. Altri pensieri mi ritraggono del morire a Roma dove son nato, ed altri altrove. Propende a Fermo, ove potrei accoppiare le mie libertà, coll'assistenza al bisogno di un amico. Una casa secolare non mi conviene, e Religiosa non mi quadra in Città per la soggezione. Inclinerei agli Osservanti, più che agli Agost.i Scalzi, ed ai Paolotti. Che ne dico? Conoscendomi, senza far balenare la mia intenzione, andate indagando la disposiz.ne de' Frati, del P. Massa segnatam.e, e di chi presiede, adocchiate il comodo, che vi sia, di poche camere libere, per minore incomodo delle mie deboli gambe al piano più basso, purche sano, ed abitato, anche da Laici, che potran dar sempre mano ad un domestico, che solo penso di ritenere. Romito in una parola, ma non selvaggio. Vedete anzi se vi ha orto spazioso da passeggiare, che amo l'aria direi più che il pane. Ponetevi nei miei piedi, fatevi vecchio per un istante, considerate tutto, e consigliatemi, che son disposto, al caso, di far conto, anzi di risolvermi sul parer vostro. Dico al caso, non ancor seguito, ma che credo prossimo, se non imminente. Voglio esser preparato, pronto a tutto. Sopra tutto non fate traspirare, pregovi di nuovo, quanto vi confido, che siete l'unico a saperlo. Vi communicherò poi dippiù a suo tempo, ma invece, che spero non v'increscerà di dar quì una scorsa all'oggetto, delicato, ed interessante. Vi abbraccio, e son tutto vostro.
S.r Conte Vinci
Voltate Carta
come servitore ed amico
Mi è qui capitato d. Aug.o Murri, ottimo prete, e mio diocesano come sapete. Gli ho communicato il mio pensiero sotto siggillo sacerdotale, insinuandogli che se l'intenda con Voi. Con Lui ho più distintamente espresso in voce ciò che lascio d'aggiungere in iscritto a Voi per non seccarvi. Voi potreste anche così risparmiarvi delle indagini e dei passi da commettere a Lui, sempre colla direzione vostra. A lui stesso ingiungete di andarmi ragguagliando di quanto vi riesce, per minor vostra briga. E per maggior vostro lume sappiate che penso di seppellirmi prima di morire. Vivete Voi, e sano
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