libro
IL VINO COTTO: nella Storia

Secondo fonti storiche (storico Plinio - I secolo d.C.), il vino veniva fatto bollire in modo da ridurne il quantitativo e aumentare adeguatamente la densità, dando sapore e dolcezza e permettendo anche una lunga conservazione. Introdotto dalla Grecia a Roma divenne, in breve tempo, la tipica bevanda dei luculliani pasti imperiali, dei ricchi, dei governanti, e successivamente, anche dei coltivatori agricoli che, riempite delle piccole botti di legno speciali, ne facevano largo uso specie durante i festeggiamenti. Veniva chiamato "di chiavetta" perché, per limitarne l'uso, la botticella veniva chiusa con una chiave ma, normalmente non terminava perché ogni giorno veniva rimboccata.
Come ci dice lo storico Tito Livio, sul vino cotto esistono varie leggende, ad esempio che Annibale dopo l'inutile assedio di Spoleto, scavalcato l'Appennino e attraversata la valle del fiume Salinello, in attesa di raggiungere la Puglia, si fermò sul mare, e precisamente ad Atri, ove esistono molte vestigia Romane. Quivi, per ritemprarli, i cavalli stanchi per il lungo percorso iniziato dalla Spagna, venivano sottoposti a massaggi ai garretti( gambe posteriori) con un liquido particolare, riferibile al vino cotto.
E questo non meraviglia perché, specie nelle campagne del retroterra, anche attualmente, si frizionano le gambe dei neonati per farle sviluppare forti e diritte. Seguendo le antiche usanze, il vino cotto si dava ai ragazzi per favorire la loro intelligenza, ne facevano uso le donne incinte e quelle che desideravano la gravidanza, serviva a lavare i morti perché fossero capaci a percorrere il lungo viaggio che li attendeva e, scaldato e aromatizzato, aiutava a superare febbroni e raffreddori (influenze).
Su questo punto è necessaria una straordinaria conferma. In quasi tutte le famiglie marchigiane, da secoli, esisteva ed ancora esiste, la consuetudine di tenere in casa una bottiglia (e anche più) di vino cotto per farne uso in caso di influenza. I risultati erano soddisfacenti ma il motivo era sconosciuto. Ora, principalmente, ricercatori americani hanno fatto sapere che in questi tipi di vini, come il nostro cotto, esiste una specie di antibiotico naturale che impedisce o perlomeno rallenta, lo sviluppo del virus influenzale.
libro
NEL VINO COTTO un ANTIBIOTICO NATURALE
Nel febbraio 1997 (notizia riportata dal Corriere Adriatico), al Papa influenzato il dr. Augusto Giammiro (ascolano) consigliò di debellare i sintomi del'influenza sorseggiando il vino cotto. Il dott. Giammiro aveva appena conosciuto i risultati di una ricerca americana che aveva identificato una sostanza complessa, che per semplicità fu definita: antibiotico naturale.
Il dr. Giammiro sapeva dalla tradizione contadina picena che all'insorgere dei primi sintomi della "grippe" quali raffreddore, tosse, dolori articolari, male di gola, disappetenza, si usava sorseggiare vino cotto. Esso inoltre faceva bene anche per la circolazione sanguigna, innumerevoli fermentazioni intestinali da medicinale o eccessi alimentari.
A questa usanza picena la certificazione scientifica !

Nel Piceno in passato esistevano vitigni non pregiati da cui si ottenevano vini particolarmente acquosi e poco alcolici.
Per consentire una più lunga conservazione di questi vini si usava riscaldare il mosto per ottenere vino cotto.
In realtà il termine vino cotto è improprio in quanto è il mosto che viene cotto per fare evaporare l'acqua e concentrare gli zuccheri. Inoltre c'è da sottolineare che il vino deriva da mosto fresco mentre il nostro "vino cotto" deriva dalla cottura del mosto.
L'uva non utilizzata per il vino tradizionale, cioè quella con concentrazione zuccherina molto bassa, viene usata per produrre vino cotto e si ottengono così gradazioni più alte.
L'esigenza della cottura deriva dalla necessità di uccidere i microrganismi presenti nelle uve malate e scadenti e per aumentare la concentrazione zuccherina. Tutto ciò deriva dall'importanza data più ad una produzione di quantità che di qualità. La concentrazione avveniva a fuoco diretto in caldaie di rame e questo portava alla caramellizzazione dello zucchero dalla quale si ottengono il colore ambrato e il sapore di caramello tipici del vino cotto.
La tecnica di cottura viene effettuata ancora come una volta, senza controllo e in modo empirico. Così facendo è impossibile conoscere a quale gradazione zuccherina si arrivi e non si sa quanto caramello si formi.
Con la cottura si eliminano i lieviti che sono presenti sulla buccia dell'uva (funghi unicellulari che trasformano lo zucchero in alcol etilico). La fermentazione del mosto avviene in modo lento e stentato e produce composti non sempre leciti da un punto di vista sanitario (acido acetico). Bisogna quindi aggiungere lieviti selezionati al nostro cotto per accelerare la fermentazione.
Inoltre i lieviti abbisognano di sostanze nutritive per la fermentazione, sostanze azotate che, coagulando (schiumatura della bollitura del mosto), precipitano con la cottura. Al mosto cotto viene aggiunto, in percentuale, del mosto fresco per integrarlo dei lieviti di cui è stato privato in seguito alla cottura.
In passato, per consuetudine e per mancanza di altro materiale idoneo, si usava una caldaia di rame il quale, in condizioni normali e senza accorgimenti, passa in soluzione.
Essendo il rame una sostanza tossica e non essendo lecito produrre bevande che superino un milligrammo/litro di sostanze tossiche è vietata la fermentazione a caldaie fatte di questo materiale.
Per impedire al rame di entrare in soluzione si introduceva nella caldaia una chiave di ferro che impediva la formazione di sali di rame. Anche se il vino in tal modo si arricchiva di ferro per quest'ultimo non ci sono limiti legali poiché è meno tossico.
libro libro libro libro
I LIEVITI NEL VINO
I lieviti giungono sul grappolo d'uva dal terreno, con la pioggia e le correnti d'aria oppure trasportati dagli insetti. Inizialmente, quando l'uva è acerba, il loro numero è basso, ma aumenta notevolmente con il procedere della maturazione. I primi a svilupparsi durante la fermentazione sono i lieviti cosiddetti "apiculati", appartenenti ai generi Kloechera e Hanseniaspora, essi tuttavia portano avanti il processo fermentativo solo per breve tempo, arrivando a produrre fino al 5% di alcol. Successivamente si ha il prevalere delle specie appartenenti al genere Saccharomyces, più resistenti all'alcol, che portano a termine la fermentazione. La specie più importante è Saccharomyces cerevisiae, var. ellipsoideus, accanto alla quale sono state spesso riscontrate altre specie: Saccharomyces oviformis, Saccharomyces chevalieri, Saccharomyces uvarum e altre.
Caratteristiche comuni di questi lieviti sono generalmente la notevole capacità alcoligena e la buona resistenza all'alcol e all'anidride solforosa. L'optimum della loro attività si realizza sui 20-25°C di temperatura con un pH compreso tra 4.5 e 6. E' necessaria una sufficiente presenza di sostanze azotate; la concentrazione ideale di zucchero si aggira attorno al 25%, mentre concentrazioni in alcol superiori al 17-20% bloccano la fermentazione. Fattori che favoriscono la fermentazione sono la presenza di piccole quantità di sali alcalini(potassio in particolare), e di fosfati. Per ottenere una buona riuscita della fermentazione, è buona norma "guidarla" con un innesto dei lieviti più attivi(lieviti selezionati oppure associazioni controllate).
IL MOSTO
La composizione del mosto ottenuto dalla pigiatura delle uve determina le caratteristiche del prodotto finito. In media il mosto è costituito dal 70-80% di acqua, dal 15.30% di zuccheri e dallo 0.5-1.5% di acidi organici (costituiti essenzialmente di acido tartarico, acido malico e, in quantità inferiore, acido citrico). Sono poi presenti molti altri componenti minori quali, tannini, vitamine, sostanze proteiche ecc.
L'acidità del mosto infuenza le qualità organolettiche del vino. E' importante garantire al mosto una certa acidità in quanto gli acidi conferiscono freschezza e carattere dissetante, inoltre aumentano la resistenza alle alterazioni e alle ossidazioni e, infine, migliorano l'andamento della fermentazione in quanto inibiscono la flora batterica non desiderata.
La frazione zuccherina del mosto è costituita da parti quasi uguali di glucosio e fruttosio, monosaccaridi fermentescibili, che vengono trasformati in alcol etilico con liberazione di anidride carbonica ad opera dei microrganismi fermentati. Maggiore è la concentrazione zuccherina del mosto, più elevata sarà la produzione di alcol.
Tra i componenti minori del mosto, ricordiamo i più importanti:
  • composti fenolici: che provengono dai raspi, dai vinaccioli e dalle buccie e conferiscono colori e sapori particolari ai vini (antociani, flavoni,tannini).
  • sostanze azotate: importanti per la crescita della flora microbica, sono necessarie per il buon andamento della fermentazione.
  • vitamine e sali minerali: nel mosto sono presenti vitamina A, e vitamine idrosolubili soprattutto B1, B2, B6, C.
    I sali minerali possono influenzare le caratteristiche di sapidità e la limpidezza del vino; i più rappresentati sono il potassio, il calcio, il magnesio, il ferro, il rame e lo zinco. Il piombo è presente come impurezza.
  • IN DIFESA DEL VINO COTTO
    Ricerca effettuata da alunni ascolani
    Il popolo marchigiano, da millenni, da generazione a generazione, ha sempre prodotto e consumato il vino cotto, cosi denominato perché ottenuto da mosto cotto più o meno invecchiato.
    Fino ad un secolo fa, la produzione del vino cotto, nelle Marche, risultava notevole e non c'era contadino o mezzadro - che non ne avesse una scorta abbondante.
    Anche oggi, come allora, cotto per molti contadini il consumo del vino ha lo scopo principale di utilizzare uve scadenti, di scarso contenuto zuccherino, tali perché prodotte da vitigni comuni e non selezionati o perché non completamente maturate per condizioni meteorologiche avverse.
    Con la cottura del mosto a fuoco diretto, in un caldaio di rame, si riduce, all'incirca, di un terzo il volume del mosto (si dice mosto rinterzato), in modo che l'evaporazione produca una maggiore concentrazione delle sostanze zuccherine e perciò una maggiore formazione di alcool nel vino cotto ottenuto (14°-15° ed oltre); si ottiene, inoltre, una forte riduzione delle sostanze proteiche o albuminoidi: rese insolubili dal trattamento termico (galleggiano come schiuma e in parte precipitano). Al contrario si ha ricchezza di glicerina (in rapporto alla quantità di alcool), la cui formazione accompagna la fermentazione alcoolica. Scarseggiano invece i tannini ed il ferro, mentre l'acidità fissa aumenta notevolmente, spesso non avvertita per la presenza di sostanze zuccherine.
    L'elevato grado di alcoolicità del vino cotto, oltre ad accrescere il ridotto numero di calorie nella razione giornaliera del lavoratore, è un fattore importante per la conservabilità del vino, nel tempo e nello spazio, impedendone l'inacidimento.
    Quando nel secolo passato la viticoltura cominciò a progredire e le tecniche enologiche migliorarono, nelle Marche prese il sopravvento la produzione del vino crudo sul vino cotto che migliorò nella qualità per le uve adoperate. Il vino cotto, pur essendo prodotto in quantità minore restò sempre la bevanda alcoolica consumata e prediletta dai lavoratori, sia dei campi che delle officine.
    Anche oggi, benché la legge del 12-2-1965, n. 162, art. 5, lettera f, proibisca la concentrazione del mosto cotto, al di fuori della zona delimitata dalle vigenti disposizioni per la produzione del vino marsala, nelle campagne marchigiane si preparano ancora, per uso familiare,.piccoli quantitativi di vino cotto, che si riducono sempre più per il timore di trasgredire alle leggi dello Stato.
    Ma il vino cotto, pregevole per le ottime qualità organolettiche (il tipo abboccato ben si addice ad accompagnare torte, pizze dolci ed i desserts in genere, il tipo secco, invecchiato è più adatto ai salumi, particolarmente ciauscoli, ai formaggi piccanti. ecc.), rappresenta. nelle tradizionali feste familiari, una testimonianza della continuità millenaria delle genti marchigiane.
    Il vino cotto nel mondo rurale, accompagna e sorregge il marchigiano dall'alfa all'omega della sua vita terrena. Al neonato si fanno delle leggere frizioni, con il vino cotto, per rinforzare i muscoli, specialmente delle gambe. Un bicchiere, di vino cotto, brulè, rinvigorisce l'ammalato colpito da raffreddore od influenza.
    Anche nell'ultimo atto della vita, dell'uomo che vive in campagna, quando sorella morte lo ha abbracciato, il suo corpo viene lavato e profumato con il vino cotto.
    Questo vino agreste, generoso, vuol donare i suoi effetti benefici anche agli animali. Cosi, fatto bollire con rosmarino e frizionato, caldo, allieva i dolori reumatici ed artritici ed un infuso di semi d'anice nel vino cotto è adoperato nelle atonie gastriche dei ruminanti.
    La genuità del vino cotto è anche valutata in campo religioso, tanto che le leggi liturgiche lo ritengono idoneo (cioè vino ottenuto dalla spremitura dell'uva e genuino) ad essere usato nella S.Messa. Nell'ascolano viene comunemente bevuto dal Sacerdote al momento della Comunione.
    Passiamo in rapida rassegna le notizie storiche, principali, che ci permettono di accertare la produzione del vino cotto e la sua importanza.
    Plinio nella sua "Storia naturale", scritta nell'anno 70 dell'Era cristiana, quando parla di vini dolci accenna ai cotti che "hanno il sapor loro e non quel del vino". Dice che i "nostri sapa (mosto cotto) è opera d'ingegno e non di natura, cuocendosi il mosto sinché è consumato il terzo della sua quantità". Più avanti ricorda che "il vin cotto e la sapa, non si cuoccia se non quando la luna non si vede, per essere congiunta col sole, e che si cuoccia in vasi di piombo, e non di rame. mettendovi dentro noci, perché elle levano il fumo". Sante Lancerio, bottigliere di Papa Paolo III (Farnese), pontefice nel 1534, esperto del mestiere, nel descrivere e giudicare i vini italiani degustati , nel ricordare i vini delle zone settentrionali e centrali della regione marchigiana , menziona , tra gli altri, il "vino cotto et grande" di San Severino e quello di Macerata.
    "L'Eco del Tronto" del 13 dicembre 1868, riporta un articolo su "L'Agricoltura del Piceno" , in cui è detto che "era vecchio costume nel Piceno e nelle Marche di cuocere il vino a difenderlo da acidificazione." Ma come il commercio rifiutava quel vino-liquore, parecchi si posero a preparare anche il vino crudo.
    Lo storico ascolano Gabriele Rosa, nel secondo volume "Disegno della Storia di Ascoli Piceno", pubblicato nel 1870, riporta che "il Piceno ha eccellenti uve bianche e rosse, ma solo ora piglia ad esperimentare la sostituzione dei vini crudi accurati, ai vini cotti".
    Nel 1900, il Dott. Silvio Laureti, della Cattedra Ambulante nel Circondario di Ascoli Piceno, ha pubblicato un opuscolo riguardante 'I vini cotti e l'enologia picena'. Descrive il metodo di preparazione del vino cotto nell'ascolano, ne consiglia delle variazioni quali i cosidetti vini cotti e crudi (vini conservati) in cui al mosto cotto viene aggiunto del mosto crudo; passa in rassegna le alterazioni a cui i vini cotti vanno incontro, al miglioramento della qualità dei mosti, e riporta delle tabelle di analisi di alcune uve locali (gaglioppa, verdicchio, uva tenerà, pagadebiti, montonico, grénache, montepulciano, trebbiano, cabernet, sangiovese, canaiolo).
    Il 9 ottobre 1944, l'allora Segretario di Stato di S. Santità. Cardinale G. Battista Montini, ringraziava con una lettera il Gr. Uff. Avv. Davide Ciampini, di Ascoli Piceno, per il vino sincero (vino cotto proveniente dalle uve di un vigneto di Poggio di Bretta, frazione di Ascoli Piceno. di proprietà della famiglia Tabani) che egli aveva inviato, in omaggio. Il Cardinale Montini aggiungeva che tale vinò sarà all'offertorio della Messa, concreto ricordo rappresentativo del pio e gentile offerente.
    Felice Cunsolo, nel suo "Dizionario del Gourmet "(1961) asserisce che i vini cotti sono caratteristici delle Marche, dell'Abruzzo e Molise; aggiunge poi che essi ricordano nell'aroma, nel sapore e nel colore il Malaga.
    Bruno Bruni, nei libro "I vini d'Italia" (1970), nel capitolo "I vini cotti" ricorda che la cottura dei mosti è pratica antica e che oggi questi vini sono prodotti in alcune zone delle Marche, dell'Abruzzo e del Molise. Anche il Bruni parla di mosto cotto tagliato con mosto crudo, al fine di ottenere dei vini, per uso familiare, di una maggiore gradazione acoolica e conservabilità.
    Qualche anno fa, Guido Piovene, in un suo servizio giornalistico (Viaggi in Italia) per la televisione italiana, parlando di Ascoli Piceno, disse: "Specie da queste parti perdura nelle case una specialità marchigiana, il "vin cotto", fatto per uso familiare, raramente in commercio. E'un vino forte, ottenuto bollendo il mosto, e ha un sapore d'uva passita".
    Mario Soldati, nel volume della seconda serie di "Vino al vino" (1971), nel descrivere il suo viaggio attraverso le Marche, riferisce di essersi soffermato ad Ascoli Piceno e di aver degustato, nella sede dell'Accademia del vino de la Marca, un vino cotto, specialità Picena (dell'antico Piceno), invecchiato di circa sessant' anni.
    "Lo trova un vino da dessert, ottimo. Di un bel colore rosso mattone a riflessi d'oro cupo, il sapore strano, affumicato e ruvido della sua moderata dolcezza corregge ed evita quella dolcezza vischiosa e a volte nauseante di tanti passiti e "marsalati".
    C'é qualcosa di affascinante, di profondamente rustico e montano, nel vino cotto: o almeno in questo vino cotto". Nel 1971 Stefano Zaccone, in una sua visita alla sede dell'Accademia del Vino de la Marca dopo aver degustato il vino cotto ascolano, ha dichiarato che "il vino è già gradevole da giovane, ma che si affina notevolmente nel corso dell'invecchiamento.". Qualora provenisse da vitigni selezionati della zona, potrebbe anche assurgere a vertici considerevoli. Ha simpatico colore ambrato tendente ad incupirsi sino a raggiungere il rosso mattone e la sua limpidità è destinata a perfezionarsi nel corso degli anni. L'odore inizialmente vinoso bene espresso, diviene delicatamente profumato rivelando un fruttato assai delicato e caratteristico. A più protratto invecchiamento, assume maggiore struttura, mentre sviluppa aromi piacevolissimi, persistenti ed eterni, e manifesta piena personalità. Mantiene ed esalta una sua patriarcale mascolinità anche se mantenuta in una pregevole morbidezza...
    Anche il "Libro dei vini" (1974), nel capitolo "I vini d'Italia", menziona il vino cotto dicendo che "è degna di segnalazione l'usanza, tuttora viva in tutte le provincie marchigiane, di preparare il cosidetto" vin cotto", usanza che risale alla civiltà romana". Dalle notizie storiche accennate, dalle usanze riportate, dai giudizi favorevoli espressi da persone altamente qualificate nel campo enologico, dalla millenaria ed ininterrotta produzione del vino cotto nella regione marchigiana ed in quella abruzzese, si ne può trarre un' opinione altamente positiva circa il prosegaimento della produzione del vino cotto nelle Marche e negli Abruzzi, non consentita dalla legge soltanto nell'anno 1965 del Signore.
    La Camera di Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura di Ascoli Piceno e l'Accademia del Vino de la Marca, hanno espresso in ogni occasione il loro convincimento che il vino cotto marchigiano - vino genuino, generoso e di carattere - debba essere difeso in modo da permetterne la produzione ed il consumo, anche perché rappresenta un vino ricercato dalla popolazione marchigiana. In esso il marchigiano vede riflesso anche il suo temperamento.
    L'On. Renato Tozzi-Condivi, ascolano, genuino spirito piceno, sempre sensibile alla risoluzione dei più importanti problemi della sua terra, ha presentato, in data 23 ottobre 1973, una interrogazione ai ministri dell'agricoltura e della sanità per chiedere quali provvedimenti intendano prendere perché una produzione tipicamente marchigiana e familiare, non industrializzata, quella del vino cotto, non venga stroncata. Il vino cotto non contiene alcuna sofisticazione e pertanto non può essere colpito dall'art. 5, lettera f della legge 12/2/1965, n. 162.
    In data 13 novembre l973 l'On. Tozzi -Condivi scriveva all'On. Roberto Prearo, V. Presidente della Commissione Nazionale Vini perchè la detta Commissione prendesse in considerazione, nei riguardi del vino cotto, la modifica alla lettera f dell'art. 5 della legge 12/2/1965, n. l62.
    Infine l'On. Tozzi-Condivi ha presentato alla Camera dei Deputati, una Proposta di Legge, di modifica all'art. 5 del D.P.R. 12/2/1965, n. 162, per l'autorizzazione a produrre "vin cotto". nelle zone delle Marche e degli Abruzzi. Il testo della proposta è il seguente: Art. Unico-L'art. 5 del D.P.R. 12/2/1965, n. 162, alla lettera f) è modificato aggiungendo l'inciso "ed alle zone delle Marche e degli Abruzzi per la produzione del vino cotto tipico.
    Per terminare, mi piace riportare, anche a controprova della bontà del vino cotto piceno, un'etichetta in latino, con tanto di traduzione su una bottiglia del 1944: opera l'una e l'altra di Checco Bonelli, poeta ed agricoltore ascolano. La riporto anche come anticipazione, spero che ciò farà piacere all'autore, di un supplemento al 'TRUFO' dello stesso Bonelli:
    BACCHUS COCTUS
    Bacchus amore coctus asculano
    adhibètur in pòculo inter liba
    et poma , epulas pulchre finiens...
    Cavète vobis feminae: dulcedo
    eius intrat paulatim eum silentio...
    Traduzione
    D'amor d'Ascoli Bacco innamorato
    si beve al brindisi tra il dolce e la frutta
    i lauti pranzi finendo in bellezza...
    Attente donne, chè la sua dolcezza
    entra pian piano calda silenziosa...




    Return to Page «VINO COTTO»


    © 2000 @ Vincotto di Lillo da Grottammare