EMIDIO prof. DILETTI
BASILIO (Lillo) OLIVIERI:
HAIKU - Il debutto del duellante
- Grottammare 1988 -
Oggi coltivare poesia è dono concesso a pochi, non per la ragione antica quanto la poesia stessa - che i poeti "veri" possono essere pochi, ma perché sparuto può essere il numero dei fruitori: il messaggio si affida agli eletti; i più sono distratti da altri piaceri. Del resto i poeti di oggi, quelli che vanno per la maggiore, quelli dei convegni, dei premi letterari, dello "Specchio" mondadoriano, parlano lingue che s'impigliano in trame inestricabili o si mortificano in sequenze di fonemi in libertà, o si frantumano in balbettii scostanti se pure non si avviliscono in serie di grafi vaganti senza centro sui fondi bianchi della pagina. Ci parve che gli ermetici avessero toccato il limite assoluto della mortificazione, il punto estremo dell'espressione strizzata, sillabata su misure ritmiche inamabili quando di ritmo fosse rimasto qualche brandello. Poi vennero altre avanguardie e neoavanguardie e postavanguardie che maltrattarono deliberatamente, con furore iconoclasta, quei frammenti rimasti forzandoli nei " di della sciatteria prosastica, dando così l'ultimo scrollo all'edificio della retorica, lordando con ogni sorta di sozzura la tradizione del "bel canto". Ora, come leggo nelle cronache, al festival di "Milano-poesia" (1989) questi campioni della distruzione, forse in fregola - tardiva di ricostruire (la logica, l'ordine, la norma, è sempre l i, dietro l'angolo, in attesa che si appresti la pompa funebre del difforme e dell'irrazionale), si lamentano che i figli e i nipoti abbiano derivato dalle loro frenesie soltanto l'arte del farfugliare insensatamente.
Mi consolo a cogliere qualche fiore non privo di profumo dall'orto di Dario Bellezza o di Patrizia Cavalli o, se nemmeno da questi mi viene un briciolo di conforto, ritorno alla lirica sensata e carica di provocazioni di maestri come Luzi o Zanzatto. Apprendo che quest'ultimo, che non ignora le forme aberranti e gli estremi della più moderna espressività, ma senza accompagnarsi alla schiera degli sperimentatori ad oltranza, ha scoperto, si direbbe per naturale effetto delle sue precedenti esperienze e in perfetta consonanza con il suo temperamento, il fascino segreto degli haiku, di questi componimenti giapponesi che si distinguono per essenzialità, semplicità strutturale e chiarezza di contenuti e che vantano un'ascendenza illustre essendo possibile rintracciarne le prime prove nel secolo XVI. Questi haiku esercitano una notevole suggestione sui contemporanei di qualunque paese, anche se tanto lontani dalla sensibilità e dalla cultura dei giapponesi a cui essi, appunto, caratteristicamente appartengono.
L'interesse di un poeta "laureato" come Zanzotto risveglia nei profani almeno la curiosità di leggere e di conoscere gli haiku. E curiosità, mista a piacevole attesa ispirata dall'amicizia, mi ha suggerito di aprire un'antologia di siffatti componimenti pubblicata di recente da Basilio (Lillo) Olivieri di Grottammare. Sulla copertina del libro di color rosso vivissimo spiccano silhouttes di bambù a ricreare un'atmosfera di paesaggi orientali. Ma dietro la facciata scorgo un barbuto don Chisciotte, caricatura dell'autore, traballante in groppa ad un ronzino sconciamente spossato a cui si affianca, appiedato e scapigliato, Sancho Panza, anche lui fornito dello stesso volto del cavaliere padrone. Nella raffigurazione casi caricaturata l'autore ha voluto rappresentare la sua modestia, significare che la sua scalata al Parnaso è stata fortuita, propria di un dilettante che corre l'avventura con il rischio calcolato di portare la sfida a dei mulini a vento. Sorprendiamo la sincerità del dichiarato ...trilemma: son don Chisciotte, o Sancho Panza, o tutti e due insieme? Si conforti Olivieri ricordando la definizione di Giordano Bruno il quale giudicò la poesia "un ghiribizzo di natura". La caricatura reca i segni della riproduzione realizzata con il computer della cui manipolazione si sa che Olivieri è maestro. A questo rilievo potrebbe accompagnarsi il sospetto che al nascere della vena poetica abbia fatto da levatrice l'elaboratore elettronico al quale - come è noto - Stefano Magistretti nel 1984 ha affidato un programma capace di produrre ...miliardi di haiku! Olivieri mi perdoni questo sospetto. Scorrendo infatti le liriche dell'antologia mi rendo conto che esse mi offrono ben altre idee, ben altre immagini, mi procurano ben altre sensazioni di quelle prospettate dal computer.
Ogni componimento, fedele allo schema del modello giapponese, propone un paesaggio da cui scaturisce uno spunto di meditazione: ma il pensiero non è una sovrapposizione all'immagine; nasce da essa per partenogenesi:
Un aquilone sfuggente:
può innalzarsi
può discendere:
penso agli alti e bassi della mia vicenda fisica, ai percorsi accidentati della mia anima;
Quando le nebbie
cancellano i contorni
l'orizzonte è tormentato:
intravvedo una confusa avventura dello spirito;
...e a poco a poco
un batter d'ali...
o mio Dio rendimi libero:
l'uomo impantanato chiede di levarsi dalla melma, schiavo che invoca di essere liberato dai ceppi. Nel modello dell'haiku giapponese mi pare che il disegno paesistico prenda rilievo assoluto: in quello di Olivieri può accadere il contrario:
Nel passato che avvolge
e si fa quieto...
imbalsamare l'anima e il tempo.
Ma il tocco paesistico in genere resta elemento determinante ad accendere l'animo e ad illuminare la mente. Fruscii d'ali, brusii di rami mossi dal vento, voli di gabbiani, foglie secche d'autunno, colori di albe e di tramonti, tremiti d'aure primaverili o brontolii di temporali, lame di luce che indugiano su "spazi d'ombra", canne che si urtano, pini e lecci, fiori rigogliosi o fiori appassiti, sassi rotolati dalla corrente del ruscello, cieli azzurri o rannuvolati, profumi di erbe, soli tiepidi o cocenti, gocce di rugiada...: trionfo della natura ritratta con il pennello che non cura baroccamente il dettaglio ma al dettaglio fa pensare procurando sottili indefinite sensazioni. Il rapporto tra poeta e natura è diretto, non ha tramite. Non v'è cenno di barche o di treni o di aerei o di case o di fabbriche. S'avverte la presenza dell'uomo senza che essa sia esplicitamente evocata: la reazione del poeta all'incoscienza della gente che si fa nemica questa natura è fatta intendere senza le forme dell'imprecazione e dell'anatema: sulle acque inquinate si posa l'occhio del poeta che a monte ricerca la causa, una "discarica umana": leggo bene, "umana"; a che servirebbe spiegare che si tratta di una fabbrica di sostanze chimiche costruita dall'uomo ?
La struttura dell'haiku non consente la descrizione distesa così come esclude il discorso narrativo. Il poeta deve evitare la definizione dei luoghi, la determinazione dei tempi; non bada ad individuare i comuni predicati funzionali che anche nella forma lirica più rarefatta si svelano nella citazione del nome proprio di un monte, di una città, di una via, di una camera, o nell'accenno ad un'occasione o nel richiamo temporale al passato a cui la memoria ricorre spesso per nostalgia o rimpianto. Anche l'haiku di Olivieri tende all'essenzialità e necessariamente si affida all'accenno generico e all'impressione; la struttura spaziale è nella misura più ridotta possibile, quella temporale ignora il prima e il dopo e conosce solo il presente come appare chiaro in questo componimento nel quale i tempi verbali sono significativamente confusi:
Improvvisamente il vento a nord, a est,
freneticamente torna indietro, riprende . . .
e si videro stormi di foglie alla deriva.
E' giusto leggere questi testi nell'ottica del puro impressionismo realistico? No di certo, perché la realtà vi è sfumata, evocata in immagine senza contorni dall'anima sospesa piuttosto che colta dall'occhio che possa fotografata. I1 fatto è provato stilisticamente dall'assenza dei deittici che costringerebbero a fissare e ad inquadrare lo spettacolo. Una prospettiva di lettura in chiave rigorosamente descrittiva o narrativa non è data. Ciò non impedisce a chi conosca Olivieri di pensarlo alla ricerca di spunti lungo il lido di Grottammare o su per la strada che porta a Ripatransone o sulle colline di San Savino festonate di viti o in altri luoghi d'Italia, di Iugoslavia, di Grecia che egli frequenta nelle escursioni in camper durante le ferie agostane.
E' riduttivo considerare questi haiku soltanto come visioni fugaci di paesaggi. I1 piacere che da essi ci deriva è legato anche ad uno straordinario, profondo, commovente amore per la natura, amore che trasferisce d'incanto la contemplazione nella zona della coscienza provocando reazioni emotive. Ogni reazione sottintende un rispetto per la natura vergine, per i luoghi incontaminati, per i cieli tersi e i mari puliti. Scaturisce da questa condizione fondamentale dello spirito il rimprovero per l'uomo che deturpa il magnifico habitat con i suoi interventi dissennati. Dalla constatazione del degrado cui mal si provvede nasce l'ansia di evadere in cerca del meglio che assicuri la salvezza:
Ho visto troppo
da volerlo dimenticare ?
. . . e gli occhi vanno in cerca.
Così possiamo capire la meditazione sottesa alla contemplazione, lo spunto di riflessione che si ispira all'immagine e che formalmente costituisce il secondo "microtesto" di ogni haiku. Dei due estremi che la riflessione comporta, la gioia e la tristezza, è quest'ultima a prevalere: la malinconia tempera ogni immagine vivida:
Nella caligine grigia della nebbia
un diradato intreccio di esseri e cose.
M'invade un'angoscia spaziale.
Il punto di sospensione o di domanda segna il dubbio che scuote la coscienza mettendone a prova la capacità di sopportazione:
Foglie stanche in angoscia sul ramo autunnale
che subiscono e resistono.
Chi sta dalla parte del vento ?
Al limite può affiorare il timore di qualcosa di grave incombente sul miracolo della vita:
Cadono le esauste foglie
sulle immobili acque dello stagno.
La Morte tiene sempre in mano una clessidra.
Tuttavia il ciclo della vita incanta il poeta: il ciclo che si compie regolare, armonioso, nella natura con la spontaneità che solo l'uomo ha smarrito. Consola l'immagine di un rampicante che si inerpica per il muro d'ardesia; un fagiano ucciso si "dissolve" per ricreare altra vita ("natura non-stop"); la vita riprende misteriosamente dal seme sbattuto dal vento chissà dove nel grembo della terra; un filo d'erba si leva dalla polvere sudicia; le foglie ingiallite d'autunno fanno risognare l'estate trascorsa. Ad ogni spettacolo inerisce un sentimento: l'anima si smarrisce alla visione del sole che filtra a fatica dalle nuvole; si inasprisce alla vista del gabbiano che ha le ali tarpate dal catrame, del gallo che viene strozzato, della volpe che è chiusa dai fili di ferro di una gabbia. C'è tuttavia la speranza che l'uomo riprenda coscienza e ritorni a vivere nella natura viva:
. . .
Scoprirsi vivo
immerso nella Natura;
che torni a gioire di una gioia reale e presente, senza doversi raccomandare ai ricordi, ai "graffiti" segnati sui muri.
Esiste il pericolo che gli haiku si leghino tra loro come grani di un rosario e che per questo procurino l'impressione di una circolarità e di una monotonia non del tutto gradevoli. Opportuno sarebbe calcolare quante volte si ripetono alcune immagini espresse in parole che risultano parole-chiave: gabbiano, acqua, foglie, vento, farfalle, fiori, autunno, primavera..., con tutte le aree semantiche che a ciascuna di esse competono. Sarebbe un allettante gioco d'analisi rintracciare i valori secondari o le sfumature che distinguono un'immagine colta in questo momento, dalla stessa immagine sorpresa in altra occasione. Ad ogni modo i percorsi di lettura sono semplificabili, riconducibili a due soli piani fondamentali ai quali prima si accennava: quello dell'incanto paesistico e quello dell'emozione. Può accadere che un haiku si riduca ad annotazione diaristica:
Nella nebbia
a desiderar gli haiku.
In dicembre;
oppure:
Frusciando
su foglie stanche.
In autunno;
oppure:
Tra la leggera Foschia del mattino
larghi squarci ad ogni alitar di vento.
Quando giunge la primavera
(ma qui c'è l'indugio sullo spettacolo che riscatta l'haiku dall'aridità della denotazione temporale). In altri casi la lirica si esaurisce nell'idillio sul modello degli haiku classici giapponesi:
Il vento a cavalcioni
d'un cavallo di foglie.
Geometria dell'aere
(qui il disegno delizioso e lezioso tipico dei modelli si contempera in virtù dell'analogia che riconduce ad un referente realistico come il "cavallo");
Con volo ondeggiante
a far vento incerto.
Una farfalla
(ove a stento si pensa alla pietosa condizione dell'animaletto in balia del vento).
La stringatezza del dettato, che è di norma, costringe all'ellissi. L'ellissi è lo stilema distintivo dell'haiku: ellissi generalmente del verbo, in alcuni pochi casi spinta alle soglie della mera elencazione:
Un uomo, una foglia.
Un ricordo, un'immagine.
Un aneddoto
(in cui, per altro, si potrebbe ricamare con la fantasia in cerca di concordanze e dl riferimenti, prima incrociati poi, alla fine, sintetizzati). Capita anche che l'ellissi venga segnata dai puntini di sospensione che in determinati haiku, se non denunciano la violenza dello schema che induce alla brevità scarnita, possono creare una poetica aria di sogno o di attesa. Proprio la necessità tecnica a cui abbiamo alluso comporta il bisogno di caricare la parola di arcani significati analogici, di ricercare accostamenti audaci, metafore ardite o fuori dell'uso, di rendere il segno quanto più ambiguo e polivalente possibile (in alcune poche circostanze fino al limite dell'oscurità). Possiamo intanto osservare che sul piano dell'espressività generica e vaga si colloca la serie di un caratteristico stilema che si ripete di seguito per molti haiku: "...a svezzar la notte", "...a dissipar movenze", "...a riciclar timori", "...a imbastir ipotesi", ecc.: stilema di non facile identificazione, ambiguo tra un valore finale ed uno oggettivo (a dispetto della presenza del funzionale "a" che ricalca la plurivalenza dell'inglese "io"), con quegli infiniti tutti costantemente apocopati. E di infiniti occorrerà ancora parlare per evidenziare quelli frequentemente adoperati come sostantivi o, così come deve dirsi di molti gerundi e persino di alcuni avverbi, adoperati in senso assoluto come impersonali (del tipo, per intenderci, del montaliano "meriggiare"):
Ombre claustrali
serpeggiar pendio rugiadoso
e mendicar spazi.
Così le immagini nella mente,
come l'acqua lungo i fianchi della barca;
incontrando l'ombra della sera.
Nella società del lamento culturale
la felicità dell'immagine isolata...
incontrando una quercia solitaria.
Con volo silente in silenziosa solitudine
me ne vò in solitaria ricognizione.
Esasperando l'immaginazione.
Sul frutteto carico di rami,
foglie secche come posate arrugginite;
melanconicamente il privilegio d'invecchiare.
Questi stilemi sono i segni dell'atemporalità, della momentaneità o della simultaneità di cui abbiamo già parlato.
Il modello giapponese e le esperienze del nostro ermetismo possono assumersi come contesto culturale e letterario a cui le liriche di Olivieri fanno riferimento. Una poesia così clamorosamente intimistica e riservata, quasi sussurrata dal poeta a se stesso, che elude i modi esterni dell'allocuzione, cioè del dialogo, fa pensare all' "hortus conclusus" di poeti antichi d'arcadia o si associa all'idea della incomunicabilità che angoscia l'uomo contemporaneo. Eppure la misura umana o, se vogliamo, sociale non vi manca: essa è sottesa a quell'amore per la natura di cui si diceva: una natura come rifugio per ciascuno e per tutti gli uomini insieme vogliosi di salvezza. Si svela persino il messaggio ecologico, sia pure appena tradendosi, in questo haiku:
Foglie al crepuscolo
in un mondo di simboli.
Fascino ecologico.
Ci spiace che molte ragioni ci costringano ad una lettura solo esemplare o rapsodica che non rende giustizia ad un testo il quale, per i temei che sviluppa, miracolosamente raccoglie i frammenti lirici in pochi nuclei fondamentali casi che si possa e si debba leggere come "opus continuum". Al termine della lettura resta una pienezza di sensazioni con un'impressione prevalente, quella del moto degli esseri nella natura (non per nulla l'immagine del vento si ripete con variazioni più o meno marcate per tutta la silloge), quella della vita generarsi e riprodursi e morire - che anima le contrade di questo mondo che altri, di più ostinato e irrimediabile pessimismo, definiscono cimitero di estinti burattini.
Piacevolmente plagiato, per concludere con l'augurio di prossime sperimentazioni poetiche degne di plauso come questa, indirizzo al bravo amico Olivieri questo haiku confezionato alla buona ma con sincero trasporto:
Battito d'ali sul lido
nasce un poeta, e cresce.
Madre e maestra Natura.
Emilio Diletti
S.Benedetto 21.9.1989
il testo integrale del libro recensito dal prof. Emidio Diletti
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