Rileggendo vecchi appunti del 1990... (miei e di Petrelli)
"Si hanno un pò meno amici di quanto si suppone,
ma un pò di più di quanto si conosce" HOFMANNSTHAL dal - Libro degli amici -.
Prendo in prestito questa citazione dell'Hofmannsthal perchè penso, e quindi credo, che vada a pennello nell'esprimere l'effetto della lettura che ha procurato in me le poesie che ti pubblichiamo (Mario ed io).
Sono stato sempre convinto che la poesia è il modo più immediato e chiaro (per chi sa leggere !) per capire l'animo umano. Poche parole, ma dette bene, valgono molto di più di un'ampollosa dissertazione quando si vuole impressionare un fotogramma della propria e dell'altrui vita.
Non conosco che pulviscole tappe della tua vita privata, nè conosco la tua vita interiore (non nè avrei nè il diritto nè la curiosità), però mi è stato sufficiente scoprire e leggere queste tue poesie per capire due cose:
1) - non sempre gli amici che credevi tali poi si sono rivelati come tu desideravi,
2) - non sempre "l'abito fa il monaco", cioè conoscendoti solo esteriormente e marginalmente ti credevo collocato ideologicamente e maniacalmente in un'area sociale estremizzata e laica, facente parte di quella schiera che io definivo e definisco frustrata economicamente e proiettata verso un riscatto sociale idealizzato e utopistico (come poi i fatti storici ultimi hanno dimostrato).
Invece ho scoperto valori di vita che vanno ben oltre l'immaginario terreno ed ateo, come : l'infinito, il senso religioso "e la sopita fé, in me risveglia / la dolce e calda voce del Signore", lo scoramento di una vita grama recuperato dal semplice rintocco di un'Ave, la volontà di recuperare la bontà dell'animo umano e l'altruismo che comunque vuoi e senti di esternare con naturalezza, perchè in fondo nel tuo profondo è a questo che aspiri quando scrivi "giacer vorrei come foglia morta / tra l'umidore della terra molle / rifugio e pace dalle umane doglie". Come la foglia muore dopo essere stata come entità e in percentuale utile alla pianta di cui era una parte, così tu vorresti che fosse con la tua Comunità.
Per quanto riguarda gli amici che tu credevi tali, voglio farti riflettere ponendoti solo questa domanda (è di Shakespeare dal Timone d'Atene, atti I, scena II, Apemanto): "chi muore senza portare nella propria tomba almeno una pedata ricevuta in dono da un qualche amico ?".
Ritornando a considerare la frase dell'Hofmannsthal, voglio concludere dicendoti che: forse in questa Grottammare hai perso qualche amico che tu, a torto o a ragione, reputavi tale, ma sicuramente te ne se guadagnato moralmente uno: Lillo Olivieri.
Ecco il pensiero di Mario Petrelli.
Questa "idea-sorpresa" all'amico Rocchi Emidio nasce da uno spunto del poliedrico amico "Lillo" e non vuole essere un'analisi del personaggio Rocchi, ma vuol dire alla gente, ai concittadini Grottammaresi al di là delle loro convinzioni politiche, religiose, culturali e condizioni di ceto quanto a me abbia influito le sue intuizioni sulle cose, ma soprattutto sulla gente comune.
Riporto brevemente alcuni frammenti-intuizioni di Rocchi. Durante le festività pasquali del 1988, per il normale scambio di auguri che ognuno di noi in quel periodo elargisce a piene mani, una intuizione di Rocchi mi dava lo spunto per scrivere questo epigramma dialettale che ha per titolo:
MILLE LIRE
Le feste, nspecialmode quelle Sante
ce nfonne le speranze l'allegrìe,
la ggente d'augurie ne fa tante
che spirite e corpe se recrìe:
Bun'anne, bun'Natà, bun Ferragoste,
bona Pasque a chi la fa nfamije,
allegrìe pe chi sta sempre nfeste
abbunnanze a patre, matre, fije:
Madonna se stì bbè, ma senza mmdie;
ngè ì sotte la rcasche de nnisciune,
le diche senza ombre de perfidie
che te ssistesse sempre la furtune:
Lu segne più sincìru, più verace,
sta su la messe quanne Prete mmite:
" Scambieteve nnu segne de la pace
e che duressu scì, tutta la vite":
Però, se sti augurie senza mìre
che li cristià se scambi pe nu gnente,
custessi cadaune "mille lire",
nnisciù te farrì mutte; veramente.
Altre volte l'amico Emidio mi ha fatto notare, nella gente di ogni ceto sociale, tante piccole deviazioni comportamentali che elencarle tutte sarebbe oltremodo difficile per la loro profondità concettuale. Una di queste deviazioni, che personalmente mi ha coinvolto, l'ho tradotta in un'epigramma dialettale che ha per titolo:
GNENT'ATRE CHE CUNSIJE
Stasere sò rvenutu mbù vvilitu
perchè dope trent'anne de fatiche
mà state datu nbillu: "Benservitu"
nghe ste parole: «Ddìe te benediche».
Parcheggiu, ppu camminu zitte zitte,
pe primu ncontre Middio lu bbarbìre
ccusciatu lla davante a Rucchitte
pe rfasse jucchie nghe le furastìre:
"O Mì, (jè diche) sò disuccupate !
che fine faciarà stu puru fije ?":
"O Mario mmì, (responnu scunsulate)
nen te spettà ... gnent'atre che cunsije".
Ciò che però ho trovato commovente dell'amico Emidio, è stato quando su mia richiesta, ma per concessione benevola dell'unico custode della cultura grottammarese Vittorio Rivosecchi, gli fu commissionato di ritrarre su tela la "vera effige" di Sisto V, Papa dai tanti appellativi: "marchigiano, piceno, originario di questa terra, concittadino di molti, originario di queta Diocesi, ma in verità - s'intende quella vera - solo figlio di CUPRIS LITUS cioè inequivocabilmente ed inconfondibilmente della terra del solo Grottammare.
In questo ritratto (di cui il Comune lo dovrebbe far proprio a tutti i costi ed esporlo nella Sala del Consiglio ad imperitura memoria dei posteri) Emidio trasforma se stesso trasmettendo all'immagine del suo concittadino, in particolare al suo sguardo, tutto ciò che la sua arte gli consente e che va molto più in là di ogni più libera considerazione.
Come appassionato di tutto ciò che riguarda la nostra cittadina, ma in particolare della sua Storia, sento il dovere di far giungere ad Emidio, tramite questa mia collaborazione con "Lillo" uno scritto che il latinista Orazio fa ad un suo amico nel Serm. 1,4,81-85 (dal libro di L.De Mauri «5000 proverbi e motti latini», pag.14 - Ambizione - amici - amicizia -):
......... chi l'amico
Assente rode, chi non lo difende
Dalle calunnie altrui, chi le smodate
Risa del volgo accatta, e di beffardo
L'ignobil fama, chi può finger cose
Non viste, chi tacer fidato arcano
Non sappia, quegli è uom nero; ognun lo fugga.
Grottammare , dicembre 1990
Mario Petrelli
LA CROCE
Maldestro e stanco è l'inceder mio
per il sentier della vita umana,
ingialla la speranza e par sia vana
l'impresa d'affrontar l'aspro pendio:
Soffermomi con l'animo deluso,
il capo per guardar volgo a ritroso
perch'io tentato son giù per il clivo
abbandonarmi, all'onta ed all'oblio:
Ma da lontan, un eco di campane
per l'aer si spande, giunge fino al core
e la sopìta fé, in me risveglia
la dolce e calda voce del Signore:
Ora fidente vò, sotto la Croce,
dei mali miei e delle mie sventure
perchè l'uman dolor gioia si fece
chi nel dolore a Dio volse una prece.
In Grottammare 29 giugno 1981
MALINCONIE
La nebbia che dal ciel sua coltre stende
lieve siccome l'Ave che rintocca
triste fa più la sera che discende:
Come rivive e vieppiù s'arrocca
doloroso pensier di vita grama
che preme in cor e mette amaro in bocca !
Giacer vorrei come foglia morta
tra l'umidore della terra molle
rifugio e pace dalle umane doglie.
Grottammare 1981
IL CAPITALISTA
Senza pietà calpesti ogni diritto
per tua viltà, gradasso con chi ha fame,
di cupidigia è fatto il tuo reame
grasso reuccio, in regno derelitto:
Tronfio ti erigi in eletta corte
di ladri di strozzini e di mezzani
tutto brami per te, a piene mani
dimentico di chi ha, ria la sorte:
Arido nel cuor necessità non senti
pel misero che stendeti la mano
ogni lamento suo ascolto invano
se dici non sentirlo, cinico: "Menti !":
Giorno verrà che tu figlio rejetto
il seminato tuo avrai ad usura
certo ne soffrirai, non per jattura,
giacchè hai scritto in fronte: "Maledetto !".