Haiku di Lillo
da Grottammare (Basilio Olivieri)
Haiku, Grottamare (AP)
1988.
Copertina di Marilde
Olivieri
Il testo del libro "HAIKU":
recensito dal
prof. Emidio Diletti
Stanotte un ramo di pino
respira nella foschia.
Notte
autunnale.
Una schiuma
mulinella lo scoglio
preme l'onda...
Il ciclo è chiuso!
Da una polvere
sudicia
un filo d'erba si leva.
Sogno una speranza!
Per un fantasma
arido
un uomo palpita.
È un sogno deluso.
Foglie
gialle
su un ramo autunnale.
Ricordo una estate.
Un turbinare
d'echi
che si animano e si dissolvono.
Brusio di foglie secche
calpestate.
Nel grumo di
eventi quotidiani,
dispersi nel vento,
emerge il silenzio delle
cose.
Filtrato da una
nuvola,
un raggio di sole si dissolve.
Mi assale la
solitudine.
Le mie dita si
disperdono
a cianfrusare foglie secche.
Annaspo nei
ricordi.
La melma
ricopre
un pugno di foglie cadute.
Si metta in scena la
verità!
Volo di
gabbiano
ricoperto di catrame.
D'improvviso una discarica
umana.
Il vento della
malinconia
incalza ...
Foglie che cadono.
Nella nebbia
d'autunno
l'ombra tace.
Chi sono?
Avere in sorte
di assistere
un rondone in veloce gazzarra.
Parallelamente la tua vita.
Uomo!
Sul lastrone
sconnesso di pietra
d'improvviso un fremito.
Contatti ed intrecci di
lucertole
Sul troncone inerme d'abete
un notturno dall'occhio
assonnato.
Il resto è vita.
Su alcune
dozzine di canne acquatiche
si posa e sparisce un'oca selvatica.
Gli
uomini nacquero dopo.
Albe e
tramonti.
Tremendamente silenziose le stagioni,
come granitiche
immortalità.
Leggera ed
immensa,
la nebbia briganteggia la pianura
incontrando una notte senza
luna.
Tumuli di foglie
secche
sepolte da umida neve.
Una lenta macerazione al vento
freddo.
Folate di
vento.
Fantasmi che brulicano
impenetrabili angosce.
Un'immensa
pianura innevata
ammicca al debole sole.
Pigramente una Natura
irremovibile.
Sul barbone
scheletrito
un gruppetto di randagi.
Tranquillamente il
saccheggio.
Sul fagiano
ucciso
i germi della dissoluzione.
Natura non-stop.
Un'ombra
gigantesca costeggia il colle.
Con sguardo incredulo: un passero.
Chi ha
paura della notte ?
Sul fondo verde
del bosco
il fascio di luce si sacrifica.
Laggiù !
Sulla costa
ghiacciata,
il gabbiano attende
il frantumo del disgelo.
Sole ed
ombre!
Sulla mulattiera dai molti tornanti
l'immagine
vacilla.
Sulla pietra
arenaria
la pioggia incide ...
Come un decalogo estetico.
Una vasta palude
prosciugata
come occhio stinto dalle lacrime.
Il cuore non può sentirsi
sereno.
D'improvviso.
L'urlo del gallo sgozzato!
E poi il
silenzio.
Fall-out di
detriti e calcinacci.
Il ragno tesse...
Chi salirà ?
Tanti aghi
corrono all'impazzata,
ma poi si arrestano
Una sorta di
indicazione.
Sul tetto
coperto d'ardesia
serpentina il rampicante.
Lucidamente secondo
natura.
Quando spira il
vento.
Il soffione
crea forme di aerea leggerezza.
Sul pool di
arbusti e graminacee,
angosciamente il papavero
danzando su esile
supporto.
Sul cammino
avvolto dalla nebbia
un fitto muro di canne.
Ma il vento
scudisciando...
Silente e
spopolata,
la palude attende
con ansia l'anatra autunnale.
Come frequenti
precipitazioni
alternate ad improvvise schiarite,
nervosamente...
oggi.
Oche selvatiche
in attesa,
lungo strisce di terra marina
come moli protesi: per
mete.
Quando la
tempesta
immensamente sconfina all'orizzonte,
solo i gabbiani
volano.
Su una
superficie disabitata,
è facile da immaginare
una Natura autosufficiente e
permanente.
Foglie con ritmo
disordinato,
a far balzi in avanti,
come in stato di
ebbrezza.
Folate di vento
su foglie
che si accumulano e si aggrovigliano.
A stento riescono a
sfuggirgli.
Danzando
nell'acqua
il seme si allontana con l'onda successiva.
Il senso
dell'attesa.
A pochi metri
dal suolo,
su arenaria come rosicchiata da topi,
croste di polvere e di
secoli.
Le valenze della
luce
su sverniciature e screpolature d'intonaco;
come le rughe in un
volto.
Nuvoloni come
patine nerastre
di lampade ad olio dai fumi grassi.
Idealmente le ingiurie
del tempo.
Mugolii misti ed
indecifrabili,
delicati passaggi di brezza successivi
su sterpaglia estiva
ormai secca.
Misurarsi con i
muri
là dove potevano crescere alberi in libertà.
Gli uomini si misurano
in spazi di parcheggio.
Su terra umida e
paludosa,
moscerini come una nebulosa solare,
cosi che pare uno spazio di
traffico.
Macchie di rovi
aggrovigliati
su un campo di mais a misura d'uomo;
buchi neri in un
universo verde.
Nel terreno
secco e roccioso
un masso di tufo incorniciato di calura.
E non si capisce
più che cosa sia.
Residui di canne
e canneti
là dove terra ed acqua s'incontrano.
Un appello che mette
disagio.
L'incessante
risacca delle ondate
draga la ghiaia dell'antico alveo.
Cosa posso
dirgli?
Lungo un budello
di calcare
l'acqua cola via senza penetrare,
urtando e
risuonando.
Una pozza
d'acqua increspata,
specchio ustorio per folletti di luce
che poi
svaniscono di colpo.
L'ombra di una
nuvola solitaria,
modificata costantemente dalla luce,
smarrisce la
capacità di esprimersi.
Improvvisamente
il vento a nord, a est;
freneticamente torna indietro, riprende...
e si
videro stormi di foglie alla deriva.
Cosi' le
immagini nella mente,
come l'acqua lungo i fianchi della
barca;
incontrando l'ombra della sera.
Lungo la rada
sabbiosa
il fruscio delle onde;
ciclicamente in pieghe
ondulate.
Nuvole che
volano nel vento.
Ombre ondeggianti sulla parete scalcinata,
come un
continuo cambio di scenario.
I turbini
dell'aria all'orizzonte.
Quando il vento disperde le strida dei
gabbiani,
l'odore d'acqua salmastra prende alle narici.
In una nicchia
formata da masso franato
un risuono amplificato di tubare
ossessivo.
Lasciarsi guidare dall'intuito.
Un gabbiano in
umile volo
sfrecciando sopra la schiuma dell'onda.
La frustrazione di
essere senz'ali.
Tra la leggera
foschia del mattino
larghi squarci ad ogni alitar di vento.
Quando giunge
la primavera.
Nella società
del lamento culturale,
la felicità dell'immagine isolata...
incontrando
una quercia solitaria.
Scrosci di
pioggia primaverile
sul terreno spezzato da zolle spigolose;
e l'acqua va
via ruscellando.
Al calar del
sole
ricordi che s'intrecciano e s'accavallano.
Tortuose macerazioni
mentali.
Su una conca
acquitrinosa
invasa da canneti e cespugli di salice,
teneramente una
coppia di merli.
Dal deflusso
della bassa marea un'onda,
impercettibilmente scivola seguendo un leggero
dislivello;
e va a riprendersi il proprio spazio.
In mezzo a
muretti di sassi
segnati dalla salsedine e dal tempo,
gocce d'acqua
mulinate vorticosamente dal vento.
Nel vuoto
tremolante del riverbero rovente
segni vacui tracciati nel nulla.
È
difficile dire dove stia la verità.
Battuti dal
vento
aghi e germogli di conifere,
come il frenetico andirivieni dei
cani-pastori.
Erbe e
sterpaglie che bruciano,
sul terreno arido il segno delle ustioni
. E
allora perchè lo fanno?
Tra le 4 e le 5
del mattino
profili e forme senza esaltazione.
E il pensiero
corre...
Attraversando
una zona erbosa,
labili sentieri appena segnati;
nelle sue pieghe è
sedimentata l'esperienza.
Sul frutteto
carico di rami,
foglie secche come posate arruginite;
melanconicamente il
privilegio d'invecchiare.
Nelle brevi
giornate d'inverno,
tra i turbini e l'impazzare del nevischio,
i denti si
aprono e si chiudono come nacchere.
Su un acquitrino
polle che affiorano in superficie,
là dove sgorga una vena d'acqua
dolce.
Per gli uomini il torrente limaccioso.
Respiro
ansimante e movenze artificiali.
Una volpe in una gabbia di filo
metallico
ridotta ad un mucchietto di pelo tremante.
Su rosse
arenarie laccate dal mare
compare una nuvola di sabbia e di polvere.
Nel
tempo si sfogliano e si frammentano.
Un cupo
brontolio del temporale
tra l'incrociarsi di grida di richiamo;
nuvoli di
gabbiani che non riescono a planare.
L'oscurità
avanza nella stanza,
in questo raccogliersi notturno lo spazio
umanizzato;
...e i pensieri tornano clandestini.
Nella caligine
grigia della nebbia
un diradato intreccio di esseri e cose.
M'invade
un'angoscia spaziale.
Foglie stanche
in angoscia sul ramo autunnale
che subiscono e resistono.
Chi sta dalla
parte del vento?
Il seme
autunnale che s'interra
fa presagire un messaggio.
Dalle nebbie vengono
anche le leggende.
Nella mutazione
della notte
il parto dell'alba invernale.
Eppure sembra tanto
lontana!
Con volo silente
in silenziosa solitudine
me ne vò in solitaria ricognizione.
Esasperando
l'immaginazione.
Gocce che
tremolano e scintillano
quando il sole disperderà le nebbie del
mattino.
La suggestione sta in questo avanzare.
Tra nebbie e
schiarite
questo faticoso farsi dell'alba.
Minidrammi della notte
autunnale.
Un haiku per
misura
per sembrar il mondo e se stessi.
Prendendo a prestito
un'immagine.
Qui, sotto il
cielo, la Luna
che continuamente svanisce verso ovest.
Una lunga storia di
solitudine.
Cadono le
esauste foglie
sulle immobili acque dello stagno.
La Morte tiene sempre in
mano una clessidra.
Un cono di luce
sotto le nuvole
in eremitaggio su un paesaggio in orizzontale.
E sarà
subito preda del vento.
Basta un colpo
di vento
sul fogliame di flessibili canne
a far rumore sordo e
lamentevole.
Talvolta capita
di veder
canne che si curvano e si alzano.
È duro camminar contro
vento.
Con il sole a
zenit
esala la foschia della calura con lucore tremulo.
La storia si
concluderà in autunno.
Con il mutar del
vento
semi che si sollevano e si depositano.
Chi riuscirà quest'anno
?
A volte sembra
di ascoltare
musica in carenza di repertorio.
Canne che si
urtano.
Nelle ombre nere
delle sere autunnali,
a donar il mistero di se stessi
o a scivolar la
penna dalla mano.
Un raggio di
luce batte quà e là
scompostamente indugiando negli spazi d'ombra,
ad
evitar di non esser lasciato solo.
Foglie
autunnali
che cadono in sottile spirale.
Un andar per
vortici.
Cupi
silenzi
lungo un alberato spoglio.
Un velo di malinconia.
Colori
rugginosi,
la libertà di ruminar pensieri.
Foglie in tema
d'autunno.
Quando il
freddo
si mescola al vento ...
a soffrir con la carne.
Frusciando
su
foglie stanche.
In autunno.
Stormi di
gabbiani
a fletter l'aria.
Sic transit ...
Sull'umile
gabbiano
l'ultimo raggio,
... e poi l'inverno.
Nelle notti
urbane
tante domande,
poche risposte.
Foglie al
crepuscolo
in un mondo di simboli.
Fascino ecologico.
Il rombo del
vento
su foglie danzanti.
Timore e meraviglia.
Ogni
mattina
lo stesso pensiero:
correre in libertà.
Foglie
secche
in flusso spiraleggiante.
Una folla di scalmanati.
Il vento a
cavalcioni
d'un cavallo di foglie.
Geometria dell'aere.
Un turbinio
d'acqua
dall'aria smarrita.
Sensazioni tra la pioggia.
Nella
nebbia
a desiderar gli haiku.
In dicembre.
Grida di
gabbiani
su scogli d'alghe.
Je m'accuse...
Con volo
ondeggiante
a far vento incerto.
Una farfalla.
Aghi di
ghiaccio
nati per sciogliersi.
In primavera.
Bolle
d'aria
sul lastrone di ghiaccio.
L'attesa del disgelo.
L'arte
dell'acqua
in grate di cristallo.
Vale una stagione.
Un fiore
sull'acqua,
un miraggio che galleggia.
Homo sapiens...
Giochi di
luce
negli angoli più bui.
Un'oasi liberty.
A seguir
il
moto delle stelle.
Per un'insonnia.
Il fiore
reciso
è un'impronta impressa.
Lo stimolo di ritentare.
Un uomo, una
foglia.
Un ricordo, un'immagine.
Un aneddoto!
Il suono
d'un
batter d'ali:
non potrà stancare.
In moto
d'affanno
foglie a svolazzar,
cadendo e rimbalzando.
Gocce che
s'incontrano
e si uniscono.
Scroscio di pioggia in
dissolvenza.
Il vento
che
rimbalza e s'abbatte.
Lo stupore ed il suo contrario.
Nella leggerezza
dell'effimero:
mettersi un paio d'ali.
La sensazione di
liberarsi.
Se le parole
muoiono...
Scoprirsi vivo
immerso nella Natura.
Nella pigolante
nidiata
scalpiccii di passi...
rampanti e rozzi.
Un aquilone
sfuggente:
può innalzarsi
può discendere.
Il brontolio del
tuono,
discretamente presente,
cadenza il rumore di
pioggia.
Al suono d'un
batter d'ali,
un volo di pensieri,
ritmati dal vento.
Nei bagliori dei
lampi,
gocce che bucherellano
pozze d'acqua.
Un accumulo di
pietre
con bordura di ghiaia,
l'orizzonte si ferma.
In una pozza di
pioggia
la mia immagine riflessa.
Una lapide per...
Emotivamente
teso
a riscoprir le stelle,
nello spazio infinito.
I colori del
tramonto
per una notte stellata.
Il senso di una verifica.
Gocce di
pioggia
che si schiacciano.
Con disagio nella polvere.
Quando il
vento
si fà lamento,
dove va?
Quando il vento
soffia
in una conchiglia...
Un poeta senza volerlo.
L'ala che si
dispiega,
girando in tondo.
La semplicità dell'essere.
Una
farfalla,
quasi planando,
si replica in allontanamento.
Il vento:
un'arpa eolia.
Una sensazione palpabile
che va a sfumare.
Un sgomitolar di
rami,
in acustica vociante,
al levar della brezza.
... e a poco a
poco
un batter d'ali...
o mio Dio rendimi libero!
Quando le
nebbie
cancellano i contorni,
l'orizzonte è tormentato.
Ho dunque
sognato?
Adesso che stai per andartene
garrulamente!
... e il vento
passava
su un fiore spezzato
minacciato d'estinzione.
Nell'inquietitudine dell'attesa
l'effetto d'un sasso in uno
stagno.
Uno scacciapensieri.
Foglie in
confusione
stravolgono un pianoro disabitato.
Dove
nascondersi?
I colori di
foglie
che cadono mille a mille.
Nerbo di armati in
migrazione.
Sul corso
d'acqua,
sassi arrotondati da rotolare;
come tanti altri.
Migliaia di
calchi incisi
appoggiano l'ipotesi
del tempo che si è
fermato.
Graffiti nel
muro
parole e segni usurati.
I ricordi dell'uomo.
Folate
pungenti.
Un odore intriso di sale
si fa premura.
Sul prato
rasato
a scivolar l'ombra.
In solitudine.
L'edera...
a
drappeggiar una quercia.
Un andar in verticale.
Fremiti di
foglie
da aere in fuga continua.
Sono interminabili.
Due foglie
roteando
in silenzio si dispongono all'attesa.
Immagine o
desiderio?
Quando l'onda si
stanca
di risalir l'arenile,
la brezza è errante.
Foglie in
sospeso affanno
non sperdono l'angoscia,
nel fulmineo
piovasco.
Nel tremulo
albore,
crescente di luce,
frana il vuoto notturno.
Una striscia di
luce,
inseguiva la coltre di buio,
ribadendo l'alba.
Pini e
lecci.
In un lento meriggio estivo
la brezza è in esilio.
Nella notte di
luna
molte ombre di pini
ad aleggiare tristezza.
Ad aspettar,
notturni,
vuoti di silenzio
come foulards di seta.
Nella notte
disperata
sgranchir pensieri...
e scivolar per essere
altrove.
La bava di
luce
che s'increspa e si distende
par che si riassorbe nella
notte.
Un'alba che si
agita
di luce e di ansietà.
A salvar l'anima frantumata.
I gabbiani sono
silenziosi
in un letto di piume,
nella notte dei venti.
Mimar in bilico
il vento
sull'onda di un sogno
... e allor tutto cambia.
Sfiorando il
mare,
appartengo al vento
tra voglie e frustrazioni.
Onde in
affollamento
a subir rutilanti brezze
e shopping di
gabbiani.
Le foglie del
selciato
galoppano per disperdersi
in giochi di rimbalzo.
Nel giallo del
canneto
placide pozze e buche nel fango
con la solitudine di
sempre.
Le acque che
frusciano
ad atomizzar pulviscoli d'acqua
che non volano
più.
Ho visto
troppo
da volerlo dimenticare?
... e gli occhi vanno in
cerca.
Nel passato che
avvolge
e si fà quieto...
imbalsamare l'anima e il tempo.
Lo specchio
d'acqua,
calzando un lembo di cielo,
par che si sfoglia.
Quando il
vento
sa di tempesta...
a riciclar timori.
Ombre
serali,
arpie della notte,
state turlupinando?
Il canneto
crea
frettolose agitazioni senz'anima
nella sera che si
stempera.
Di sera si
va
vogliosi di ozi
a svezzar la notte.
C'è, lassù, un
gabbiano
in solingo eremitaggio
a dissipar movenze.
Per inerpicanti
clivi
a pigliar fiato
e a fissar le emozioni.
Su rocce
sconquassate
un'onda alla deriva
per isteria di natura.
Nel rifugio
della calura,
maneggiar pensieri felpati
sino a restituir le
immagini.
A livello delle
onde,
rugose di vento,
odor di pini e di salsedine.
Nel pomeriggio
di solitudine
i pensieri sono casuali
a vagar immagini
rarefatte.
L'onda che si
frange
dà spazio con un suggerimento
a curvar schiuma
rissosa.
Solingo sale il
pennuto
a mutar angolazioni
e a scivolar misteriose
ebbrezze.
Nel meriggio
calliginoso,
il logorio dell'immagine...
ad imbastir ipotesi e
misteri.
Io, che triste,
guardo
nel suo slancio verticale
il gabbiano, ad attizzar
voglie.
Iniziò, il
vento,
a mantener brezza
quando s'arrese.
Nello stagno
siccitoso
foglie gialle in transito.
... il vento le spingerà
lontano.
Foglie e steli
sommersi
a desiderar vita anfibia.
o a scoprir l'agonia?
Un lento
movimento
di vento, solleva foglie
in voglia di nomadismo.
Echeggia il
vento
senza una storia urbana...
nell'alveo di un sogno.
L'esoso
vento
si scompone in brezza,
per mitigar voglie rissose.
Seguir il
suono
di rivoli d'acqua ondulati
da sottile angoscia.
Danzano i
fantasmi,
di radici inscrutabili,
sul prato ombroso.
Si frantuma la
forma
il vento che fruga sui rami
a crear combinazioni.
Foglie
svolazzanti
che si mescolano cadendo;
...ma ormai è un
rituale.
Un tardivo
guizzo di rami
a brandeggiar foglie cadenti,
come un'immagine
collettiva.
Ali
spiegate
a sciorinar ventosi battiti.
Una tentazione di
vanità.
Foglie che si
stemperano
in moti di rincalzo.
Pulsioni senz'anima.
Un ansito di
vento
accompagna una scorta di foglie
impossibilitate a
raccogliersi.
Nella notte
chiara
spenzolano vuoti silenzi
a rifuggir l'ombre.
Qua e là la
brezza
indugia e si rifugia.
Per quanto tempo?
Un sole
tiepido
non riesce a consumare
le acquose nebbie.
Nebbie
adagiate
come volti delicati
di pallide pupattole.
Ombre
claustrali
serpeggiar pendio rugiadoso
e mendicar spazi.
Ombre in
bilico
a crear spazi di luce
in successive riduzioni.
Un tramonto
rosato
crea problemi d'immagine
alle fragili penombre.
In uno scenario
di silenzio
il cuore recita emozioni
che non mancano
d'eloquenza.
Nello scorrere
dei di'
intrecciar legami
di vita o di morte.
Un colpo di
vento
fà superar d'un balzo
clivi di nostalgia.
Non poter
descrivere
una scena dal vero.
Un'incubo al rovescio.
Seguire
un'alba
e le ombre e le luci
e il rosseggiar dei prati.
Un vento in
variazione tonale
si affloscia con stridio
dipanandosi nel
canneto.
Ma quante sono
le storie
di giustizia e di alleanze
da soffrir in Natura?
Il vento spinge
via nuvole
in voglia d'arrembaggio,
glissandole come
tastiere.
Un cielo pieno
di saette
trilla suoni liberatori
per un concerto avulso.
Un eco di faro
lamentoso,
che par che spare,
nella fottente nebbia.
Gocce di
rugiada,
che serpeggiando si animano,
in cerca di nutrice.
Non importa
come
cade una foglia gialla.
Non importa quando?
Le farfalle
sgusciano.
Un tremito d'ali
che poi si chiudono.
Un volo incerto
e breve.
Le ali si sono distese
schiave delle sue norme.
Un taglio di
luce stinto.
È un'alba che appassisce
ad un cielo
invernale.
Fuori dalle
nebbie
non mi riesce inventar
foglie senza volto.
Nello spazio di
una notte
una sottile angoscia
in solitudine astiosa.
Si va nella
notte
ad inventar storie.Talvolta.
...e la mente è in
trasferta.
Le ombre della
notte
frementi a patir la luce bianca
di muri senz'anima.
Nella nebbia che
va addensandosi
viene imbottigliato il silenzio
come un
messaggio.
Moti
deliranti
su foglie secche di gelo.
Si avviteranno su se
stesse?
Anagrammare
l'infinito
con i suoni e i colori.
...è difficile da
immaginare.
Tra i vapori
umani
l'odore del fogliame bagnato.
Un frutto che matura.
Nella luce del
crepuscolo
sistemar le briciole di pane
per ombreggiar la
sera.
Voci
nell'oscurità
a ispirar l'odore delle ombre.
Aria di
stantio.
Si leva con
fatica
un'alba riverberata.
Anche gli uomini, però...
Modellare la
conversazione
con le misture umane.
È una sensazione di
scarto.
Gli occhi
fessurati di vuoto,
si propagano smarriti
nel gran
silenzio.
Un vento
stridulo
si frantuma in risonanza.
... un'eco dirupato.
Un sole
nebbioso
riemerge tra l'aria immota.
L'orizzonte non è vuoto.
Prof. EMIDIO DILETTI
BASILIO (Lillo) OLIVIERI: HAIKU - Il debutto del
duellante
- Grottammare 1988
-
http://web.infinito.it/utenti/p/pitofs/a3/diletti.htm
Oggi
coltivare poesia è dono concesso a pochi, non per la ragione antica quanto la
poesia stessa - che i poeti "veri" possono essere pochi, ma perché sparuto può
essere il numero dei fruitori: il messaggio si affida agli eletti; i più sono
distratti da altri piaceri. Del resto i poeti di oggi, quelli che vanno per la
maggiore, quelli dei convegni, dei premi letterari, dello "Specchio"
mondadoriano, parlano lingue che s'impigliano in trame inestricabili o si
mortificano in sequenze di fonemi in libertà, o si frantumano in balbettii
scostanti se pure non si avviliscono in serie di grafi vaganti senza centro sui
fondi bianchi della pagina. Ci parve che gli ermetici avessero toccato il limite
assoluto della mortificazione, il punto estremo dell'espressione strizzata,
sillabata su misure ritmiche inamabili quando di ritmo fosse rimasto qualche
brandello. Poi vennero altre avanguardie e neoavanguardie e postavanguardie che
maltrattarono deliberatamente, con furore iconoclasta, quei frammenti rimasti
forzandoli nei " di della sciatteria prosastica, dando così l'ultimo scrollo
all'edificio della retorica, lordando con ogni sorta di sozzura la tradizione
del "bel canto". Ora, come leggo nelle cronache, al festival di "Milano-poesia"
(1989) questi campioni della distruzione, forse in fregola - tardiva di
ricostruire (la logica, l'ordine, la norma, è sempre l i, dietro l'angolo, in
attesa che si appresti la pompa funebre del difforme e dell'irrazionale), si
lamentano che i figli e i nipoti abbiano derivato dalle loro frenesie soltanto
l'arte del farfugliare insensatamente.
Mi consolo a cogliere qualche fiore
non privo di profumo dall'orto di Dario Bellezza o di Patrizia Cavalli o, se
nemmeno da questi mi viene un briciolo di conforto, ritorno alla lirica sensata
e carica di provocazioni di maestri come Luzi o Zanzatto. Apprendo che
quest'ultimo, che non ignora le forme aberranti e gli estremi della più moderna
espressività, ma senza accompagnarsi alla schiera degli sperimentatori ad
oltranza, ha scoperto, si direbbe per naturale effetto delle sue precedenti
esperienze e in perfetta consonanza con il suo temperamento, il fascino segreto
degli haiku, di questi componimenti giapponesi che si distinguono per
essenzialità, semplicità strutturale e chiarezza di contenuti e che vantano
un'ascendenza illustre essendo possibile rintracciarne le prime prove nel secolo
XVI. Questi haiku esercitano una notevole suggestione sui contemporanei di
qualunque paese, anche se tanto lontani dalla sensibilità e dalla cultura dei
giapponesi a cui essi, appunto, caratteristicamente appartengono.
L'interesse di un poeta "laureato" come Zanzotto risveglia nei profani
almeno la curiosità di leggere e di conoscere gli haiku. E curiosità, mista a
piacevole attesa ispirata dall'amicizia, mi ha suggerito di aprire un'antologia
di siffatti componimenti pubblicata di recente da Basilio (Lillo) Olivieri di
Grottammare. Sulla copertina del libro di color rosso vivissimo spiccano
silhouttes di bambù a ricreare un'atmosfera di paesaggi orientali. Ma dietro la
facciata scorgo un barbuto don Chisciotte, caricatura dell'autore, traballante
in groppa ad un ronzino sconciamente spossato a cui si affianca, appiedato e
scapigliato, Sancho Panza, anche lui fornito dello stesso volto del cavaliere
padrone. Nella raffigurazione casi caricaturata l'autore ha voluto rappresentare
la sua modestia, significare che la sua scalata al Parnaso è stata fortuita,
propria di un dilettante che corre l'avventura con il rischio calcolato di
portare la sfida a dei mulini a vento. Sorprendiamo la sincerità del dichiarato
...trilemma: son don Chisciotte, o Sancho Panza, o tutti e due insieme? Si
conforti Olivieri ricordando la definizione di Giordano Bruno il quale giudicò
la poesia "un ghiribizzo di natura". La caricatura reca i segni della
riproduzione realizzata con il computer della cui manipolazione si sa che
Olivieri è maestro. A questo rilievo potrebbe accompagnarsi il sospetto che al
nascere della vena poetica abbia fatto da levatrice l'elaboratore elettronico al
quale - come è noto - Stefano Magistretti nel 1984 ha affidato un programma
capace di produrre ...miliardi di haiku! Olivieri mi perdoni questo sospetto.
Scorrendo infatti le liriche dell'antologia mi rendo conto che esse mi offrono
ben altre idee, ben altre immagini, mi procurano ben altre sensazioni di quelle
prospettate dal computer.
Ogni componimento, fedele allo schema del modello
giapponese, propone un paesaggio da cui scaturisce uno spunto di meditazione: ma
il pensiero non è una sovrapposizione all'immagine; nasce da essa per
partenogenesi:
Un aquilone
sfuggente:
può innalzarsi
può discendere:
penso agli alti e bassi della mia vicenda fisica, ai percorsi accidentati della mia anima;
Quando le
nebbie
cancellano i contorni
l'orizzonte è tormentato:
intravvedo una confusa avventura dello spirito;
...e a poco a
poco
un batter d'ali...
o mio Dio rendimi libero:
l'uomo impantanato chiede di levarsi dalla melma, schiavo che invoca di essere liberato dai ceppi. Nel modello dell'haiku giapponese mi pare che il disegno paesistico prenda rilievo assoluto: in quello di Olivieri può accadere il contrario:
Nel passato che
avvolge
e si fa quieto...
imbalsamare l'anima e il tempo.
Ma il tocco
paesistico in genere resta elemento determinante ad accendere l'animo e ad
illuminare la mente. Fruscii d'ali, brusii di rami mossi dal vento, voli di
gabbiani, foglie secche d'autunno, colori di albe e di tramonti, tremiti d'aure
primaverili o brontolii di temporali, lame di luce che indugiano su "spazi
d'ombra", canne che si urtano, pini e lecci, fiori rigogliosi o fiori appassiti,
sassi rotolati dalla corrente del ruscello, cieli azzurri o rannuvolati, profumi
di erbe, soli tiepidi o cocenti, gocce di rugiada...: trionfo della natura
ritratta con il pennello che non cura baroccamente il dettaglio ma al dettaglio
fa pensare procurando sottili indefinite sensazioni. Il rapporto tra poeta e
natura è diretto, non ha tramite. Non v'è cenno di barche o di treni o di aerei
o di case o di fabbriche. S'avverte la presenza dell'uomo senza che essa sia
esplicitamente evocata: la reazione del poeta all'incoscienza della gente che si
fa nemica questa natura è fatta intendere senza le forme dell'imprecazione e
dell'anatema: sulle acque inquinate si posa l'occhio del poeta che a monte
ricerca la causa, una "discarica umana": leggo bene, "umana"; a che servirebbe
spiegare che si tratta di una fabbrica di sostanze chimiche costruita dall'uomo
?
La struttura dell'haiku non consente la descrizione distesa così come
esclude il discorso narrativo. Il poeta deve evitare la definizione dei luoghi,
la determinazione dei tempi; non bada ad individuare i comuni predicati
funzionali che anche nella forma lirica più rarefatta si svelano nella citazione
del nome proprio di un monte, di una città, di una via, di una camera, o
nell'accenno ad un'occasione o nel richiamo temporale al passato a cui la
memoria ricorre spesso per nostalgia o rimpianto. Anche l'haiku di Olivieri
tende all'essenzialità e necessariamente si affida all'accenno generico e
all'impressione; la struttura spaziale è nella misura più ridotta possibile,
quella temporale ignora il prima e il dopo e conosce solo il presente come
appare chiaro in questo componimento nel quale i tempi verbali sono
significativamente confusi:
Improvvisamente
il vento a nord, a est,
freneticamente torna indietro, riprende...
e si
videro stormi di foglie alla deriva.
E' giusto
leggere questi testi nell'ottica del puro impressionismo realistico? No di
certo, perché la realtà vi è sfumata, evocata in immagine senza contorni
dall'anima sospesa piuttosto che colta dall'occhio che possa fotografata. I1
fatto è provato stilisticamente dall'assenza dei deittici che costringerebbero a
fissare e ad inquadrare lo spettacolo. Una prospettiva di lettura in chiave
rigorosamente descrittiva o narrativa non è data. Ciò non impedisce a chi
conosca Olivieri di pensarlo alla ricerca di spunti lungo il lido di Grottammare
o su per la strada che porta a Ripatransone o sulle colline di San Savino
festonate di viti o in altri luoghi d'Italia, di Iugoslavia, di Grecia che egli
frequenta nelle escursioni in camper durante le ferie agostane.
E' riduttivo
considerare questi haiku soltanto come visioni fugaci di paesaggi. I1 piacere
che da essi ci deriva è legato anche ad uno straordinario, profondo, commovente
amore per la natura, amore che trasferisce d'incanto la contemplazione nella
zona della coscienza provocando reazioni emotive. Ogni reazione sottintende un
rispetto per la natura vergine, per i luoghi incontaminati, per i cieli tersi e
i mari puliti. Scaturisce da questa condizione fondamentale dello spirito il
rimprovero per l'uomo che deturpa il magnifico habitat con i suoi interventi
dissennati. Dalla constatazione del degrado cui mal si provvede nasce l'ansia di
evadere in cerca del meglio che assicuri la salvezza:
Ho visto
troppo
da volerlo dimenticare?
. . . e gli occhi vanno in
cerca.
Così possiamo capire la meditazione sottesa alla contemplazione, lo spunto di riflessione che si ispira all'immagine e che formalmente costituisce il secondo "microtesto" di ogni haiku. Dei due estremi che la riflessione comporta, la gioia e la tristezza, è quest'ultima a prevalere: la malinconia tempera ogni immagine vivida:
Nella caligine
grigia della nebbia
un diradato intreccio di esseri e cose.
M'invade
un'angoscia spaziale.
Il punto di sospensione o di domanda segna il dubbio che scuote la coscienza mettendone a prova la capacità di sopportazione:
Foglie stanche
in angoscia sul ramo autunnale
che subiscono e resistono.
Chi sta dalla
parte del vento?
Al limite può affiorare il timore di qualcosa di grave incombente sul miracolo della vita:
Cadono le
esauste foglie
sulle immobili acque dello stagno.
La Morte tiene sempre in
mano una clessidra.
Tuttavia il ciclo della vita incanta il poeta: il ciclo che si compie regolare, armonioso, nella natura con la spontaneità che solo l'uomo ha smarrito. Consola l'immagine di un rampicante che si inerpica per il muro d'ardesia; un fagiano ucciso si "dissolve" per ricreare altra vita ("natura non-stop"); la vita riprende misteriosamente dal seme sbattuto dal vento chissà dove nel grembo della terra; un filo d'erba si leva dalla polvere sudicia; le foglie ingiallite d'autunno fanno risognare l'estate trascorsa. Ad ogni spettacolo inerisce un sentimento: l'anima si smarrisce alla visione del sole che filtra a fatica dalle nuvole; si inasprisce alla vista del gabbiano che ha le ali tarpate dal catrame, del gallo che viene strozzato, della volpe che è chiusa dai fili di ferro di una gabbia. C'è tuttavia la speranza che l'uomo riprenda coscienza e ritorni a vivere nella natura viva:
. .
.
Scoprirsi vivo
immerso nella Natura;
che torni a gioire di una gioia reale e presente, senza doversi raccomandare ai ricordi, ai "graffiti" segnati sui muri. Esiste il pericolo che gli haiku si leghino tra loro come grani di un rosario e che per questo procurino l'impressione di una circolarità e di una monotonia non del tutto gradevoli. Opportuno sarebbe calcolare quante volte si ripetono alcune immagini espresse in parole che risultano parole-chiave: gabbiano, acqua, foglie, vento, farfalle, fiori, autunno, primavera..., con tutte le aree semantiche che a ciascuna di esse competono. Sarebbe un allettante gioco d'analisi rintracciare i valori secondari o le sfumature che distinguono un'immagine colta in questo momento, dalla stessa immagine sorpresa in altra occasione. Ad ogni modo i percorsi di lettura sono semplificabili, riconducibili a due soli piani fondamentali ai quali prima si accennava: quello dell'incanto paesistico e quello dell'emozione. Può accadere che un haiku si riduca ad annotazione diaristica:
Nella
nebbia
a desiderar gli haiku.
In dicembre;
oppure:
Frusciando
su
foglie stanche.
In autunno;
oppure:
Tra la leggera
Foschia del mattino
larghi squarci ad ogni alitar di vento.
Quando giunge
la primavera
(ma qui c'è l'indugio sullo spettacolo che riscatta l'haiku dall'aridità della denotazione temporale). In altri casi la lirica si esaurisce nell'idillio sul modello degli haiku classici giapponesi:
Il vento a
cavalcioni
d'un cavallo di foglie.
Geometria dell'aere
(qui il disegno delizioso e lezioso tipico dei modelli si contempera in virtù dell'analogia che riconduce ad un referente realistico come il "cavallo");
Con volo
ondeggiante
a far vento incerto.
Una farfalla
(ove a stento si
pensa alla pietosa condizione dell'animaletto in balia del vento).
La
stringatezza del dettato, che è di norma, costringe all'ellissi. L'ellissi è lo
stilema distintivo dell'haiku: ellissi generalmente del verbo, in alcuni pochi
casi spinta alle soglie della mera elencazione:
Un uomo, una
foglia.
Un ricordo, un'immagine.
Un aneddoto
(in cui, per altro, si potrebbe ricamare con la fantasia in cerca di concordanze e dl riferimenti, prima incrociati poi, alla fine, sintetizzati). Capita anche che l'ellissi venga segnata dai puntini di sospensione che in determinati haiku, se non denunciano la violenza dello schema che induce alla brevità scarnita, possono creare una poetica aria di sogno o di attesa. Proprio la necessità tecnica a cui abbiamo alluso comporta il bisogno di caricare la parola di arcani significati analogici, di ricercare accostamenti audaci, metafore ardite o fuori dell'uso, di rendere il segno quanto più ambiguo e polivalente possibile (in alcune poche circostanze fino al limite dell'oscurità). Possiamo intanto osservare che sul piano dell'espressività generica e vaga si colloca la serie di un caratteristico stilema che si ripete di seguito per molti haiku: "...a svezzar la notte", "...a dissipar movenze", "...a riciclar timori", "...a imbastir ipotesi", ecc.: stilema di non facile identificazione, ambiguo tra un valore finale ed uno oggettivo (a dispetto della presenza del funzionale "a" che ricalca la plurivalenza dell'inglese "io"), con quegli infiniti tutti costantemente apocopati. E di infiniti occorrerà ancora parlare per evidenziare quelli frequentemente adoperati come sostantivi o, così come deve dirsi di molti gerundi e persino di alcuni avverbi, adoperati in senso assoluto come impersonali (del tipo, per intenderci, del montaliano "meriggiare"):
Ombre
claustrali
serpeggiar pendio rugiadoso
e mendicar spazi.
Così le immagini
nella mente,
come l'acqua lungo i fianchi della barca;
incontrando l'ombra
della sera.
Nella società
del lamento culturale
la felicità dell'immagine isolata...
incontrando una
quercia solitaria.
Con volo silente
in silenziosa solitudine
me ne vò in solitaria ricognizione.
Esasperando
l'immaginazione.
Sul frutteto
carico di rami,
foglie secche come posate arrugginite;
melanconicamente il
privilegio d'invecchiare.
Questi
stilemi sono i segni dell'atemporalità, della momentaneità o della simultaneità
di cui abbiamo già parlato.
Il modello giapponese e le esperienze del nostro
ermetismo possono assumersi come contesto culturale e letterario a cui le
liriche di Olivieri fanno riferimento. Una poesia così clamorosamente
intimistica e riservata, quasi sussurrata dal poeta a se stesso, che elude i
modi esterni dell'allocuzione, cioè del dialogo, fa pensare all' "hortus
conclusus" di poeti antichi d'arcadia o si associa all'idea della
incomunicabilità che angoscia l'uomo contemporaneo. Eppure la misura umana o, se
vogliamo, sociale non vi manca: essa è sottesa a quell'amore per la natura di
cui si diceva: una natura come rifugio per ciascuno e per tutti gli uomini
insieme vogliosi di salvezza. Si svela persino il messaggio ecologico, sia pure
appena tradendosi, in questo haiku:
Foglie al
crepuscolo
in un mondo di simboli.
Fascino ecologico.
Ci spiace che
molte ragioni ci costringano ad una lettura solo esemplare o rapsodica che non
rende giustizia ad un testo il quale, per i temei che sviluppa, miracolosamente
raccoglie i frammenti lirici in pochi nuclei fondamentali casi che si possa e si
debba leggere come "opus continuum". Al termine della lettura resta una pienezza
di sensazioni con un'impressione prevalente, quella del moto degli esseri nella
natura (non per nulla l'immagine del vento si ripete con variazioni più o meno
marcate per tutta la silloge), quella della vita generarsi e riprodursi e morire
- che anima le contrade di questo mondo che altri, di più ostinato e
irrimediabile pessimismo, definiscono cimitero di estinti burattini.
Piacevolmente plagiato, per concludere con l'augurio di prossime
sperimentazioni poetiche degne di plauso come questa, indirizzo al bravo amico
Olivieri questo haiku confezionato alla buona ma con sincero trasporto:
Battito d'ali
sul lido
nasce un poeta, e cresce.
Madre e maestra Natura.
Emilio
Diletti S.Benedetto 21.9.1989