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disegno raffigurante il Vicione |
Padre francescano, Antonio Vicione (Veccia) nacque a Ripatransone il 17 marzo 1773. Canonico e Pro-Vicario Generale, fu teologo e filosofo ed insegnò nel seminario ripano. Appassionato storico ed archeologo, pubblicò due importanti studi di storia patria: “Dissertazione sull’esistenza di Ripa o Ripatransone prima dell’anno M.C.XC.VIII” (1827) e “Ripatransone sorta dalle rovine del Castello etrusco” (1828). Morì a Roma il 20 settembre 1828, città nella quale ricoprì l’incarico di Penitenziere.
Nel brano che segue, tratto dal suo libro “Ripatransone sorta dalle rovine del Castello etrusco” (pp. 176-187), il Vicione espone i problemi sulla questione del tempio della dea Cupra. Contrapponendosi al Colucci, egli, sulla scorta di erudite argomentazioni, asserisce che il santuario restaurato dall’Imperatore Adriano poteva trovarsi solo a Grottammare, presso l’antica chiesa di San Martino.
Ripatransone sorta dalle rovine del Castello etrusco
(pp. 176-187)
In distanza dalla Civita di Marano di circa due miglia e mezzo esiste la terra di Grottamare gloriosa Patria di nascita dell'immortale Pontefice Sisto V.
Prima che fossero stati diligentemente esaminati i copiosi ruderi, che le campagne cuoprono della Civita, il luogo della distrutta Città era stato generalmente creduto ove ora esiste la Terra di Grottamare. Una Lapida, che in oggi vedesi in un muro della Chiesa di San Martino alla distanza di circa un quarto di miglio dalla Terra, aveva confermata la generale opinione, che ivi avesse esistito la distrutta Città. Il tenore della Inscrizione è il seguente:
IMP. CAESAR. DIVI. TRAIANI
PARTHICI. F. D. NERVAE. NEP
TRAIANVS HADRIANVS. AVG
PONT. MAX. TRIB. POT. XI
COS. III. MVNIFICENTIA. SVA
TEMPLVM. DEAE. CVPRAE
RESTITVIT
La Lapida è riportata generalmente dai Collettori d'Inscrizioni. Più non si dubita in oggi del luogo della distrutta Città riconosciuta nei ruderi della Civita; han torto però tutti coloro, i quali pensano, che la detta Lapida sia stata dai ruderi della Civita trasferita nel luogo, ove attualmente esiste.
Qual testimonio, o monumento può addursi, onde si pruovi lo scavo della pietra fra i ruderi della Civita, e del furtivo trasporto della medesima entro la Chiesa di San Martino? Questa Chiesa, che da me credesi fondata dai Franchi nel secolo IX.1 , cui era annesso antico Monastero, del quale pur veggonsi alcune vestigia, da più secoli appartiene con gli adiacenti Predj alla Mensa Arcivescovile di Fermo. Uopo è quindi immaginarsi, che il creduto furtivo trasporto della Lapida fosse stato eseguito per ordine o degli antichi Monaci, che da più secoli abbandonarono quel Monastero, o di qualcheduno degli Arcivescovi di Fermo. Quanto ridicola, e ingiuriosa insieme sia questa supposizione, di leggieri si concepisce2. Per sostenere pertanto l'ipotesi del furtivo trasporto, converrà immaginarsi, che qualche Amante di Lapidarie Inscrizioni abbia la detta Lapida rapito; ma qual ragione in tal caso lo avrebbe mosso a farla porre dentro una Chiesa di campagna, qual è quella di San Martino ? Le pietre peregrine, soprattutto di pagana antichità, le quali o si rapiscono, o si comprano, o si hanno in dono, sogliono collocarsi in Musei o pubblici, o domestici, o in luoghi apparenti delle abitazioni, e non mai nell'interno de' Sagri Templi. E' più ragionevole pertanto la supposizione, che la pietra rinvenuta nei ruderi del dintorno fosse stata dagli antichi Monaci collocata in qualche luogo del Monastero, secondo il loro costume di conservare antichi Monumenti, e che dopo la distruzione del Monastero istesso essendosi rinvenuta la detta Pietra, sia stata per lungo tempo conservata dentro la Chiesa per servire ora ad uno, or ad altro uso3, fintantoché Monsig. Arcivescovo Borgia4 l'abbia fatta incastrare nel muro, ove trovasi presentemente.
Da questa mia opinione ridonda la terra di Grottammare un onore, che se non è eguale a quello che credevasi procedere dalla ubicazione di Cupra marittima in quel luogo, non è certamente di gran lunga inferiore. Nella Pietra si fa non equivoca menzione di un Tempio ristaurato in onore della Dea Cupra; e io non trovo difficoltà di ammettere l'esistenza nel luogo istesso, ove esistette il Monastero, e dove tuttora esiste la Chiesa di San Martino. Non niego, che nell'interno della distrutta Città abbia potuto esistere un Tempio in onore di Giunone, o di Cupra; qual ragione vi è poi di negar l'esistenza di altri Templi dentro l'Agro Cuprense? Era forse legge, o costumanza, che in caduna Città un solo Tempio esistesse in onore di qualche Nume ? Eppur sappiamo, che nel recinto di Roma varj Templi furono consegrati a Giunone, e fuor di Roma non pochi furono quelli, nei quali varie Divinità si adorarono. Il costume dei Romani fu pure altrove tenuto5. Il Sig. Olivieri ciò pruova ad evidenza6 "Voi sapete (egli dice) che a tempi dei Gentili quantità di Tempj restavano fuori delle mura della Città. Libanio ne fa fede nell'Orazione… a Teodosio Magno "Multa quidem Templa, aedesque in Montium lateribus, multa in planicie visa sunt, in unaquaque vero Civitate extra muros… et si totum orbem, quem Romani incolunt, emetiaris, ubique id reperies". Di questi Tempj pieno era il Pesarese. Or tutti questi Tempj volle Costante, con sua legge, ch'è la terza nel citato codice, e titolo, che non fossero atterrati. "Volumus ut Aedes Templorum, quae extra muros sunt positae, intactae, incorruptaeque consistant". Ciò basti sull'uso generale dei Templi fuor delle mura. Sull'oggetto poi di Giunone Cupra così ragiona il Sig. Lancellotti7: "Inverisimile non è poi, che il Tempio fosse in qualche distanza dalla Città, mentre essendo questo Tempio Tuscorum aedificium, sappiamo essere stata dagli Etruschi adorata Giunone in più Tempj, eretti lungi dalle Città in mezzo all'aperta campagna. Tal era quello dei medesimi Etruschi là nei Falisci ricordato da Ovidio Cap. VIII. num. 6. Espressamente poi si legge in Virgilio, che Giunone godeva essere adorata fra il denso degli alberi verdeggianti: "... et viridi gaudens Feronia luco"8 ; che Giunone fosse lo stesso, che la Dea Feronia si ha ancora nello Sponio, e dal Fabretti". Altro Tempio in onore di Giunone Feronia esisteva non precisamente dentro la Città di Capena del Lazio, ma nel suo Agro, in distanza di tre miglia dalla Città di Anxur in oggi Terracina, e di tal distanza fa fede Orazio:
"Ora, manusque tua lavimus Feronia lympha.
Millia tunc pransi tria repimus, atque subimus
Impositum saxis late candentibus Anxur"9.
Odasi infine ciò, che il Sig. Guazzesi osserva intorno al culto dagli Etruschi prestato a Giunone: "Può facilmente dedursi, che non solo i Vejenti, i Falisci, i Latini, Cupra, e Lanurio avessero in venerazione Giunone, ma gli Aretini ancora avessero edificato a questa Dea qualche Tempio... Per tutta la Toscana fu celebre, e per tutto ebbe Are, Templi, e boschi a Lei consagrati"10.
La Lapida non è già il solo monumento, che attesti Pagana antichità nella Chiesa di San Martino. Sotto la Inscrizione esiste una pietra di marmo, cangiata ad uso di vaso da contenere acqua benedetta. Nello specchio della pietra scorniciata vedesi scolpito un elmo con cimiero, o crista di piume, di antico, e ben eseguito lavoro. Sulla parte convessa, o sia sopra la falda è scolpito un corno di ariete ricurvo con orecchia di quell'animale. Siccome era questo consagrato a Marte, primo segno del dello Zodiaco, nel Mese a quel Nume dedicato, potrebbe pensarsi, che il nostro simbolo bene a proposito annunci officio militare. Può anche opinarsi, essere quello indizio di Nazione, che a tutte le altre insegnò la superstizione dei Sagrificj del Gentilesimo, quale in Italia credesi al Gente Etrusca, o Tusca, che, al dire di Plinio11 così fu dai greci chiamata: "Tyrreni mox a sacrifico ritu lingua Graecorum Tusci sunt cognominati" dall'arte cioè, e dall'uso di ben regolare, ed eseguire i Sagrificj. Non entro ora ad illustrare copiosamente il Monumento; a me basta, che antico sia, e che sia stato rinvenuto ove al presente si trova. Dentro la detta Chiesa veggonsi pure tre grosse pietre riquadrate di marmo bianco, in una delle quali appariscono di più i fori, per cui passavano i ferri, che congiungevano una pietra con l'altra. Non credo io d'ingannarmi, ponendo, che le suddette pietre avanzi fossero del già distrutto Tempio di Cupra. Al di sotto della porta principale della Chiesa, fissa di più si vede la metà di un piede di marmo bianco, che appartener dovette a Statua semicolossale. Vi è chi crede, che la statua rappresentato abbia Numa Pompilio, ma il Signor Canonico Polidori12 fu di opinione, che essa fosse dell'Imperatore Adriano ristoratore del Tempio. Finalmente a pochi palmi di distanza dalla detta porta principale appariscono i ruderi di muro che volgarmente si chiama Saraceno, e ch'è sicuramente di antichissima costruzione, quale dicesi a calcistruzzo formato di ciottoli, calce, e pozzolana. Non credasi poi tal muro aver formato parte del Monastero dei Monaci; vestigia di questo esistono, e si scorgono a fior di terra, ma non è difficile ravvisare la differente costruzione delle muraglie fabbricate nei secoli della decadenza delle arti, da quella dei muri fabbricati in secoli anteriori. Esistono sparsi dentro la medesima Chiesa varj capitelli di pietra di barbaro gusto; appartennero essi probabilmente alle colonnette del Chiostro, delle quali, come ancor di due basi, si scorgono pochi avanzi13. Monumenti pertanto in detta Chiesa ritrovansi di antichità del medio Evo, non meno che dei secoli del Paganesimo, e li sopra riferiti sono bastevoli ad assicurare al luogo l'esistenza del Tempio di Giunone Cupra.
Pruova dell'esistenza di detto Tempio sembra, che possa trarsi anche dal verso di Silio Italico, il quale fa cenno non di un solo altare, ma di più: "et queis litoreae fumant altaria Cuprae"14 da' quali in onor di Cupra il fumo sollevavasi delle vittime, e dell'incenso. Non è a credersi posto il numero plurale per pura Poetica licenza; in quel verso rinchiudesi probabilmente una topografica notizia, d'onde è da giudicarsi, che in Cupra più di un Tempio esistette in onor della Dea, uno cioè nel recinto della Città, e l'altro fuor delle mura presso il fiume Tesino. Il nome del medesimo concorre benissimo al sostegno della mia opinione. Se è vero, secondo che giudica il Sig. Campanari Cap. XI. num. 6., che la voce TVSEIN sia vocabolo Etrusco significante immolatur, conforme la Greca voce Thisias vuol dir sagrificio, Thision genitivo plurale Eolico equivale al Latino Genitivo plurale Sacrificiorum, e se è pur vero, che gli Etrusci, o Tusci fossero così chiamati a sacrifico ritu ognuno può scorgere, che il nome del nostro fiume sia chiaro indizio di prossimo luogo sagro a qualche Divinità, ove Le s'immolassero vittime; e tal luogo essere altro non poteva fuori, che il nostro Tempio.
Non è difatti il nostro fiume il solo nelle nostre vicinanze, che distinguasi da Etrusca, e sagra nomenclatura. Senza parlare del nostro Aso, che da un Condottiero Pelasgo, o Etrusco trasse il suo nome Cap. X. n. 1., il quale probabilmente derivava dalla voce AESI, che secondo il linguaggio dei Tirreni, al dire di Esichio, significava Dii15, oppure da Giove Asio, che si venera in un Oppidulo di Creta chiamato Aso, a ciò che dice Stefano Bizantino, un'altro fiume considerabile attraversa il Territorio della Città di Fermo, che chiamasi Tenna, e che nella Tavola Peuntigeriana dicesi Tinna. Non può certamente a tal nome niegarsi Etrusca origine. Nella famosa patera del Museo Cospiano TINA è il nome di Giove, e in altra dell'Etruria Regale tab. III. TINIA trovasi scritto presso una figura di Bacco16. THINA più volte pur leggesi nella Lapida Etrusca scoperta non ha molto in Perugia17. Il nome finalmente di un fiume di Etruria, che corre al Tevere, Tinnia dicesi da Plinio18, e Tinia da Silio Italico19. Siccome adunque sì gran numero do monumenti assicura al fiume Tenna sagra Etrusca nomenclatura, così la medesima origine attribuir ci è lecito al nostro Tesino dalla vicinanza appunto dell'Etrusco Tempio di Cupra. Mi confermo poi in tale opinione, pensando, che il Tempio di Cupra era un Santuario ove concorrevano i Popoli, e soprattutto i confinanti a offrir Sagrificj, per lo che è assai probabile che si trovasse sul confine dell'Agro Cuprense con il Truentino. Altro confine non si può certamente ammettere essere stato dei due Agri, fuorché il fiume Tesino. Si sa d'altronde, che presso gli antichi, i Santuarj, e Templi comuni a più popoli solevano fabbricarsi in luoghi di confini, e in vicinanza di fiumi. Così Pausania ci fa sapere, che il Tempio di Minerva Larissea trovavasi nel confine fra gli Achei, e gli Elei, e precisamente sulla sponda del fiume Lariso20. L'istessa posizione di confine fra i Capenati, e i Cittadini di Anxur è sulle sponde di un fiume cioè dell'Ufente, come raccogliesi da Virgilio, credesi da alcuni che fosse quella del Tempio di Giunone Feronia. Posto adunque nel Piano di San Martino il detto Tempio di Cupra, chiaramente ne siegue l'esistenza di un Vico, poiché l'esistenza del Tempio istesso seco naturalmente traeva ancor quella di una convenevole popolazione.
NOTE
1- Antonio Vicione, "Ripatransone prima dell'anno 1198".
2- L'autore allude allo storico Giuseppe Colucci (1752-1809) il quale, nella sua opera "Antichità Picene", sosteneva appunto che la lapide di Adriano fosse stata trasferita dalla Civita di Marano alla Chiesa di San Martino di Grottammare da alcuni monaci, il tutto senza l'appoggio di alcun documento o prova. Il giudizio del Vicione si adatta perfettamente anche allo storico maranese Bernardo Faustino Mostardi, il quale, nella sua opera "Cupra" (1977), seguendo la sconsiderata lezione del Colucci, ribadì le stesse cose; ed anche a tutti gli altri suoi ascendenti culturali che hanno scritto fantasie a non finire sull'argomento.
3- Abbiamo due testimonianze scritte di quanto afferma il Vicione: la prima, dell'inizio del XVI secolo, è del letterato Nicola Peranzoni, il quale, nel suo "De laudibus Piceni" scrisse: " …Visuntur atiam nunc in praesentem usque diem, in lapide altari dicto templi apposito, sculptae litterae, quae sic leguntur Templum Deae Cuprae restituit"; la seconda risale al 1583, ed è del frate agostiniano Angelo Rocca: "…Nella qual chiesa ritrovasi hoggi di una pietra in un altare, che ha scolpite q.ste parole: Imperator Caesar… Templum Deae cuprae restituit". Vedi il volume di V. Mascaretti, C. Spinucci "Grottammare e il Cuprae Fanum"
4- Colucci, Antichità Picene, tomo III, p. 92. Per dettagliate notizie vedi il libro di Lillo Olivieri "Notizie e curiosità sulla Sagra Giubilare di Grottammare".
5- Nella parte che segue, il Vicione, sulla scorta di dotte fonti antiche e moderne, confuta una delle principali "prove geometriche" enunciate dal Colucci sulla sua opera per dimostrare che il Tempio della Dea Cupra non era ubicato a San Martino di Grottammare: quella dell'urbanità del Santuario, cioè quella di localizzare il Tempio dentro la Città di Cupra Maritima.
6- Olivieri, Memorie della Chiesa di Santa Maria di Monte Granaro.
7- Gianfrancesco Lancellotti, "Sulla questione di Cupra Montana" (1748).
8- Virgilio, "Eneide", libro VII, v. 800.
9- Orazio, "Sermones", libro I, satira V.
10- Guazzesi, Accademia di Cortona, tomo II, discorso III.
11- Plinio, "Naturalis historia", libro III, capitolo V.
12- Eugenio Lorenzo Polidori (1747-1812) da Grottammare; abate e storico, pubblicò nel 1783 le note "Opposizioni alla Cupra Marittima" nelle quali, in modo ineccepibile, attaccava le conclusioni scritte dal Colucci riguardo la questione del tempio della dea Cupra.
13- Delle colonnette di arte barbara, cioè medievale, ricordate dal Vicione, oggi la chiesa di San Martino ne possiede solo una. Essa è posta subito a destra dell'ingresso principale, impiegata come reggi-acquasantiera. La colonnina ha un capitello in cui vi è, in bassorilievo, lo stemma camaldolese (due colombe che bevono in un calice cui si eleva una croce). Parimenti una base di colonna, posta al IV pilastro della navata destra; essa regge l'acquasantiera dove vi è scolpito a bassorilievo l'antico elmo piceno-romano.
14- Silio Italico, "Punica", libro VIII: "... e quelli a cui fumano gli altari di Cupra litoranea".
15- Scipione Maffei, Osserv. lett. to. VI. pag. 7.
16- Scipione Maffei, Osserv. lett. to. VI. pag. 20.
17- Campanari, Giorn. Acc. Giu. 1826. Lapide di Perugia.
18- Plinio, "Naturalis historia", libro III, capitolo V.
19- Silio Italico, "Punica", libro VIII.
20- Pausania, "Itinerario della Grecia", libro III, c. 21.
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