Accade a volte che tradizioni per secoli accettate senza contrasti vengano all'improvviso messe in discussione da qualcuno che ritiene, non sempre a ragione, di aver scoperto chissà quali fondatissime prove della loro insussistenza. Ne consegue che, per l'indolenza o la stanchezza dei difensori del vecchio e per l'accanimento e l'impegno dei propugnatori del nuovo, tutto quanto era stato pacificamente condiviso da generazioni di studiosi e di appassionati possa essere cancellato quasi di colpo.
Una volta raggiunto questo risultato, col trascorrere degli anni ben pochi di coloro che intendono occuparsi di questioni che abbiano qualche relazione con quella materia, timorosi di essere accusati di oscurantismo o per semplice pigrizia mentale, osano porre in discussione la nuova tradizione, sostenuta e confermata nel frattempo da schiere di illustri accademici.
Di conseguenza chi voglia opporsi a quanto ormai comunemente accettato, è votato ad un sicuro insuccesso ed alla più pesante scomunica in campo culturale, intellettuale, sociale, ecc. Occorrono quindi una buona dose di coraggio, un'ampia e profonda conoscenza delle carte che trattano la materia e un animum pugnandi non indifferente per affrontare la tenzone in queste condizioni. Chi, privo di preparazione specifica, volesse comunque impegnare il combattimento, si troverebbe a seguire le orme di Don Chisciotte, prode ed ultimo paladino, e verrebbe presto affrontato, circondato, pestato ben bene e gettato in un fosso. Il che, tradotto in altri termini, significa che il poveretto sarebbe andato a cercarsi da solo la morte (almeno quella culturale, non certamente quella fisica) e che sarebbe considerato un suicida o, almeno, uno che aspira a metter fine ai suoi giorni.
La lettura di una pregevole e accurata opera di accorpamento, rivisitazione e ricostruzione degli insediamenti litoranei nelle Marche, apparsa recentemente, ha suscitato in me considerazioni di vario genere ma conformi a quelle poco sopra descritte.1 Mi sento perciò spinto a proporre in questa sede un riesame del problema limitato soltanto ai risultati raggiunti a proposito dell'ubicazione del tempio piceno della Dea Cupra e del porto cuprense.
E' ben noto che dopo le affermazioni di Colucci prima e poi di Mommsen, di Alfieri, di Colonna e di tanti altri chiari e meno chiari indagatori, gli studiosi di antichità romane e picene hanno decretato che il tempio della dea Cupra non è affatto nel sito assegnatogli da secoli e secoli vicino al Tesino ma deve essere collocato nei pressi della romana Cupra Maritima, appellata Marano fino a non molto tempo fa. In verità, dopo che Colucci aveva perentoriamente asserito cose che il tempo ha dimostrato infondate, nessuno ora è più d'accordo con lui nel porre il tempio a la Civita, dove si trova la Curia romana. Tuttavia si continua a situarlo in territorio maranese.
Sul fronte opposto è schierato un valente cavaliere bianco, che da molti anni si oppone a queste affermazioni. E' il topografo antichista don Vincenzo Galiè, ben noto a quanti si dilettano di antichità non solo marchigiane.2 Anche se dopo lunghe lotte ha centrato diversi obiettivi ed ottenuto conferma delle sue ipotesi ed intuizioni dall'effettuazione di appositi scavi (ad esempio citiamo solo il caso di Truentum), pure non è riuscito ad entrare completamente nelle grazie dei rappresentanti del mondo accademico che, talvolta, sembrano schierati compatti più alla difesa delle proprie teorie che alla ricerca della verità.
E' indispensabile pertanto ricordare quanto è apparso da tempo e quanto si viene ancora pubblicando sulla vexata quaestio di tale sacrario, della città romana di Cupra Maritima e della sua sorella picena e dei fiumi che Plinio il Vecchio pone nel basso Piceno.
Premesso che gli studi e le letture affrontati da molti anni a questa parte mi hanno portato a condividere gran parte di quanto sostenuto da Galiè e che la mia preparazione non mi consente certo di partecipare alla lotta in modo prettamente scientifico, cercherò di riassumere brevemente gli antefatti, partendo da Plinio che, nel Piceno, pone i fiumi Tronto, Albula, Tesino ed Elvino, salendo da sud a nord. Nulla da dire su Tronto, Albula e Tesino.3 L'Elvino, invece, si è prestato a diverse contestazioni: chi l'ha posto vicino al Ragnola, chi l'ha ribattezzato Acquarossa o in altro modo. Va però tenuto presente che, fin dal primo '800, frate Antonio Brandimarte (o G. A. Vogel?) si era occupato della questione e aveva fatto presente che molti codici pliniani non rivelano traccia di questo fiume il quale, secondo altri codici, rappresenta addirittura il confine tra Pretuzio e Piceno.4 Tenuto presente che fino al Rinascimento ed oltre non è stata posta in discussione l'ubicazione a S. Martino del tempio, delle difficoltà obiettive di ravvisare un fiume di una certa importanza nell'Acquarossa - ritenuto insignificante dallo stesso Colonna - solo sulla base di apparenti consonanze e di discutibili interpretazioni etimologiche, ritengo ammissibile e preferibile accettare la lezione dei codici pliniani che non citano l'Elvino. Di conseguenza questo corso d'acqua verrebbe cancellato ed il confine tra ager cuprensis e ager truentinus posto al Tesino. Almeno da me.
Ripassiamo ora le affermazioni di alcuni oppositori, in gran parte raccolte negli atti di un convegno tenuto anni fa a Cupramarittima, pubblicati a cura di un periodico che spesso ospita contributi su questi temi. Per ovvi motivi di spazio e di tempo non può essere condotta una trattazione esaustiva della materia.
Colonna si è occupato a fondo del culto delle dea Cupra e, quindi, anche del tempio.5
Inevitabilmente esamina il problema della sua ubicazione anche se con malcelato distacco e con una certa oscurità, ma non senza magnificare la grandezza e l'importanza del sito: " (...) Entrambi i santuari incombono sul mare e hanno un carattere più o meno marcatamente extra-urbano (...) quello di Cupra nei confronti del popoloso insediamento gravitante, oltre due km a sud, sulla foce dell'Helvinum, in direzione di Grottammare: insediamento del quale ci sono note le estese e ricche necropoli, che ne fanno il maggior centro costiero del Piceno a sud di Numana. L'ubicazione depone in entrambi i casi per una funzione spiccatamente emporica, che a Cupra è sottolineata dal rapporto topografico con lo sbocco a mare della valle del Menocchia. Il che significa non solo migliori opportunità di comunicazione con il retroterra di quelle offerte dall'insignificante Helvinum, ma anche, verosimilmente, prossimità allo scalo più rilevante che, come spesso accade sul litorale marchigiano, è da localizzare nello slargo di foce del torrente, dove sono stati visti gli imponenti resti del porto romano." " (...) Non è fuor di luogo pensare che proprio grazie alla ipotizzata frequentazione greca e soprattutto etrusca il santuario marittimo di Cupra abbia raggiunto la posizione di assoluto primato che gli compete nel Piceno. Posizione alla quale si deve se in età romana intorno ad esso, invece che intorno al vecchio nucleo indigeno, si sia sviluppato l'insediamento urbano, assumendo direttamente il nome della dea. La conferma migliore del prestigio del santuario, a livello almeno regionale, viene da un evento di molto più recente, ma non per questo meno significativo: il restauro del tempio eseguito nel 127 d. C. munificentia sua dall'imperatore Adriano."
Si osserva in proposito: il porto piceno viene posto alla foce della Menocchia, a una certa distanza dai supposti ruderi romani, e la popolazione primigenia viene allocata nei pressi dell'Elvino;6 la romana Cupra Maritima sembra invece posta più o meno a metà tra i due corsi d'acqua; si parla di resti imponenti di un porto nei pressi dell'abitato romano ma, da quanto risulta dalla situazione in loco e dalle carte, ben poche cose sono sopravvissute fino a noi e non danno alcuna idea delle dimensioni della struttura; non si fa cenno della reale ubicazione della lapide adrianea; mentre Mostardi afferma che il tempio cuprense era assolutamente urbano Colonna ne accetta l'extraurbanità.
D'altro canto esistono anche ipotesi sull'esistenza di un porto allo sbocco del Tesino, nei pressi della attuale chiesa di S. Martino, dove la tradizione più datata e le testimonianze archeologiche pongono il tempio. Che il territorio della Cupra romana fosse tanto esteso da raggiungere il Tesino, torrente di maggiore rilevanza dell'Elvino (sempre che questo sia esistito) e sicuramente citato da Plinio, accentua la suburbanità del tempio ma non contrasta con la concessione fatta da Colonna a proposito della lontananza del centro abitato da quello sacro.
Proseguiamo oltre ed esaminiamo un testo di P. Fortini che, oltre ad illustrare con cura e precisione moltissimi reperti romani, da anni intende provare una tesi cara a lei ed ai sostenitori della magnitudo della Cupra picena: l'esistenza in quei luoghi del tempio della dea, da dove sarebbe stata asportata la lapide ora a S. Martino al Tesino. Ciò sulla base di fonti a volte inaffidabili, come gli scritti di F. B. Mostardi nei quali sono riportate cose trite ed inesatte come:
- l'importanza dello scalo maranese in ogni epoca e soprattutto nel 1886, argomento sul quale non vale certo la pena di tornarvi sopra perché già se ne è a lungo trattato sulla base delle statistiche ottocentesche e novecentesche finora rintracciate;
- la predilezione di Sisto V per Marano;
- le settecentesche testimonianze tardive a proposito dell'asportazione della lapide adrianea da Marano.7
Ne risulta che le cose non vengono sempre considerate nella loro realtà. Ciò vale, in particolare, per le considerazioni sull'area portuale, che andrebbero vagliate con maggiore attenzione. Non è certo dal numero delle barchette che contraddistingue un porto che si può giudicare l'importanza dello stesso, ma dalle statistiche del movimento, che non esistono - almeno per i tempi più remoti - e non è lecito inventarsi. E se da qualcuno il ritrovamento di reperti piceni al di là degli Appennini viene attribuito alla presenza di condottieri e militari piceni assoldati da potenti del luogo, perché i materiali di provenienza greca ed etrusca non potrebbero essere stati portati nel Piceno come bottino di guerra, remunerazione del servizio prestato o semplici acquisti in quei mercati da parte degli stessi soldati rientrati in patria dopo la loro permanenza all'estero?
Pregevole quanto esposto da E. Catani.8 Tuttavia non è sfuggita qualche lieve imprecisione, come a p. 199 quando si tratta della polemica Colucci-Polidori. Il contegno del Colucci non fu certo garbato e cortese, tutt'altro, e se le prime obiezioni pubblicate a Loreto da Polidori non erano molto consistenti, di valore ben superiore sono le seconde e l'abate si dovette affannare per replicare, senza però riuscire a convincere né Polidori né chi per caso riprenda in mano oggi quelle carte.9 Altra inesattezza a p. 208, dove si parla di " (...) un colono della Contrada Civita, certo Sig. Raffaele Comi di Grottammare (...)". Il personaggio in questione non era un colono ma apparteneva ad una delle primarie famiglie di Grottammare ed era uno dei maggiori possidenti della zona.
Utile il contributo di E. M. Beranger, che pure da' luogo ad un piccolo rilievo.10 A p. 226 attribuisce all'on. A. Speranza un interesse per scavi archeologici sul colle di S. Andrea. Si potrebbe trattare invece, a mio parere, dell'area di S. Paterniano sul Monte delle Quaglie a Grottammare, anche se il documento cui l'autore fa riferimento si presta ad interpretazioni controverse.
G. Ciarrocchi conclude il volume degli Atti. Su tale autore mi limito a citare V. Galiè :"Gli storici degli ultimi due secoli, a partire dal Colucci, situano nell'area della Civita, sulla foce destra del torrente Menocchia, l'unico centro di Cupra Maritima, il porto e il grande tempio della dea Cupra. Ma, come abbiamo notato, qui non è mai stato né nel basso, né nell'alto Medioevo, un benché minimo approdo. Esso, bene articolato ed estremamente funzionale, compare solo nei disegni illustrativi creati da ineffabili geometri ed architetti evocatori dell'antica città."11
Passiamo ora ad altri testi.
N. Alfieri si occupa dei centri costieri adriatici in età preromana, romana e medievale.12 Poche osservazioni: nell'elencare i porticcioli piceni a p. 19 omette Marano, Grottammare, S. Benedetto, etc. (p. 19); interessante, importante e meriterebbe un'esplorazione accurata la presenza a Ostia e a Roma dei navicularii corporis mari Hadriatici (p. 21); viene citato il fiume Helvinum, considerato limite del territorio cuprense (p. 24), affermazione dalla quale ovviamente dissentiamo.
E. Percossi Serenelli si occupa di questioni che, solo apparentemente, hanno scarsa attinenza con quanto c'interessa.13 Vale infatti la pena di ricordare la disamina dei valichi appenninici impiegati dagli antichi abitanti di Umbria e Marche che potrebbero essere stati sfruttati anche dai militari piceni ingaggiati oltre Appennino. A p. 144 l'autrice ricorda la via di penetrazione attraverso la valle del Tronto. Non si parla del Tesino né della Menocchia.
Del Tesino trattano invece M. Ambrosi e P. Bronzi, che riportano in una mappetta la variazione della linea di costa nell'arco di alcuni millenni.14
Un breve cenno va pure dedicato a:
- N. Lucentini, per le testimonianze sulla piena Età del Ferro nella zona costiera tra Tronto e Tesino;15
- G. Baldelli e P. Cancrini, per le investigazioni su un territorio prossimo a quelli di nostro interesse.16
Recentemente, inoltre, è apparso un bel volume sul quale è opportuno soffermarsi.17
L'autore tratta estesamente vari aspetti della storia, cultura, religione, ecc. dei Piceni in un arco temporale di parecchi secoli, basandosi sulle testimonianze delle fonti superstiti, dei reperti archeologici e delle opere di molti qualificati studiosi della materia. In considerazione dell'affinità delle questioni sollevate in precedenza con quanto espresso da Naso, si ritiene utile ricordare ciò che egli scrive a proposito di alcuni argomenti
- fiume Elvino: Naso si limita ad accettarne l'individuazione con l'Acquarossa, proposta da Alfieri, ed a riconoscerlo come limite settentrionale del territorio dei Pretuzi, v. pp. 19, 23 e 24. Va però osservato, a proposito del Tronto assunto come limite convenzionale e amministrativo tra Marche e Abruzzo in epoca più recente, che "occorre considerare anche variazioni avvenute nel corso del tempo, poiché i confini territoriali sono per natura flessibili e possono subire modifiche e assestamenti". Il che ovviamente varrebbe anche per l'Elvino, se fosse realmente esistito;
- l'autore mette in rilievo come, nel caso di Verucchio e di Novilara, quegli abitati non fossero isolati e mantenessero relazioni con i centri vicini, v. pp. 81-86. Ciò potrebbe essere accaduto anche per gli insediamenti piceni meridionali esistenti a Cupra e dintorni.
- spesso Naso indica Grottammare-Cupramarittima come area di reperimento di oggetti e fa così pensare che i due centri formassero un complesso omogeneo, v. pp. 12 fig. 1, 151, 178, 206 e 241. Però, secondo Mommsen, Alfieri etc. tra Grottammare e Cupramarittima dovrebbe correre il confine che divide il Piceno dal Pretuzio e che impedirebbe di considerare omogenei e collegati i due centri. Inoltre rimarrebbe incerta l'appartenenza di Ripatransone - zona dove sono stati trovati molti oggetti piceni - all'uno o all'altro dei territori. La cancellazione dell'Elvino e lo spostamento del confine al Tesino porrebbero fine a tali incongruenze ed incertezze;
- il commercio marittimo viene considerato fiorente già nell'età del bronzo, tanto che si ravvisa l'esistenza di una via dell'ambra, v. pp. 90 e 132. Gli scambi col tempo s'intensificano: "La rinnovata intensità dei traffici marittimi, coincisa con l'apertura dell'Adriatico alla navigazione commerciale greca nei decenni finali del VI secolo a.C., segna invece l'avvio della grande fioritura degli scali costieri, primo fra tutti quello di Numana", "occorre quindi chiedersi che cosa animasse questo flusso commerciale, quali fossero le materie prime e le merci alla cui ricerca le navi greche si spingevano in Adriatico", "non è fuori luogo ricordare che nell'antichità non erano necessari scali veri e propri se non per le pesanti navi onerarie (comunque non ancora dotate di un timone fisso immerso sotto la poppa), per le quali le foci fluviali offrivano in genere buone possibilità di ricovero. Le veloci navi da guerra, costruite con legname che non consentiva una lunga permanenza in acqua, dovevano invece essere alate con relativa facilità sulla terraferma, un'operazione che si poteva effettuare anche su tratti di arenile a profilo basso.",v. pp. 185, 202. 91 e 92. Non si parla del porto di Cupra che, molto verosimilmente, apparterrebbe all'epoca romana, se fossero attendibili le ricostruzioni ideali di cui si è fatto cenno;
- non mancano riferimenti al tempio ed al culto della dea Cupra. In quanto al primo tema osserviamo che viene posto nel territorio cuprense senza che ne venga precisato il sito (santuario costiero di Cupra Marittima), che vi "confluivano genti di varia origine, quali Piceni, Etruschi, Umbri, Dauni e Greci", e che "sarebbe suggestivo collegare alla dea Cupra e al suo culto anche altri ritrovamenti databili al VII secolo a.C.", "la distribuzione topografica suggerisce di connettere al culto di Cupra anche un ritrovamento tipico delle tombe della fase IV nel distretto di Cupra Marittima-Grottammare", v. pp. 244, 235, 242 e 241;
- importante è la disponibilità di acqua nei santuari fontili, assimilabili a quelli della dea Cupra. Si ricordi che nei pressi di S. Martino v'è abbondanza di acqua (fiume Tesino, bagno della Regina), v. p. 239;
- l'autore riconosce l'importanza dell'azione svolta da Dall'Osso come soprintendente dei musei e degli scavi di antichità delle Marche e degli Abruzzi, v. pp. 48-51. Appare quindi eccessivo il verdetto di condanna pronunciato dai "cuprensi" contro tale illustre studioso per motivi chiaramente campanilistici;
- notevole importanza viene dedicata agli scambi commerciali con l'Etruria, effettuati in gran parte attraverso i valichi appenninici, pp. 106, 127, 128 e 176;
- scambi avvengono anche con territori delle odierne Slovenia e Croazia, v. pp. 48 ss.
In sostanza numerosi sono i legami e gli aspetti che legano Cupra e Grottammare. Non si ritiene perciò ammissibile scartare del tutto l'ipotesi dell'esistenza del tempio della dea nel sito che l'antica tradizione gli aveva assegnato.
L'autore è estraneo alle controversie circa l'effettiva localizzazione del santuario. A nostro parere le sue affermazioni assumono quindi un valore molto più apprezzabile di quelle troppo scopertamente favorevoli all'uno o all'altro dei due schieramenti. Ciò non toglie, però, che in certi casi esse possano essere sfruttate a sostegno di tesi particolari in maniera più o meno convincente. Non sembri arbitrario un simile comportamento perché ogni contributo - soprattutto quando di ottimo livello - può fornire un valido ausilio per rimettere in discussione ipotesi non sufficientemente fondate (sempre a parere di chi scrive) come quelle sull'esistenza del fiume Elvino e sulla esatta localizzazione del tempio della dea.
Non si può fare a meno di scorrere sia pur velocemente anche il catalogo della recente mostra sui Piceni.18
Il contributo offerto da Colonna ricalca quanto già rilevato in precedenza e quindi si presta alle stesse osservazioni esposte.19 Anche qui l'Helvinum è "il minuscolo torrente Acquarossa".
Dallo scritto di A. L. Prosdocimi traiamo solo una breve citazione: "Non si può qui ripercorrere la storiografia "fantastica" che ha improntato il modo di leggere le iscrizioni sudpicene fino al 1970."20 Quindi almeno in un caso è sicuro che si è lasciata troppa libertà alla fantasia!
Altra citazione traiamo da ciò che scrive L. Braccesi: "Il linguista, astrattamente, e con facilità, potrebbe ricondurre i toponimi e l'etnomino a una medesima origine. Ma, storicamente, il dato può avere rilevanza? La via delle corrispondenze onomastiche è la peggiore di tutte le vie e la più ingannevole di tutte le metodologie."21 Giudizio che condividiamo pienamente, in particolare per quanto riguarda l'Elvino!
V. d'Ercole ricorda che " (...) per le Marche gli unici due luoghi di culto che le fonti antiche nominano, assicurandone l'esistenza già prima della conquista romana, sono il santuario di Cupra fondato nella zona di Cupra Marittima dagli Etruschi e un santuario di Diomede( ..). Entrambi rimangono finora privi di riscontri archeologici diretti e concreti (...) ".22
Dal contributo di M. Luni stralciamo un solo passo: "Nuovi ritrovamenti di ceramica attica hanno permesso di individuare una fitta rete di scali lungo il tratto medio adriatico occidentale e di tracce di abitati della fine dell'età del Ferro da porre in relazione con essi: quasi in corrispondenza di ogni antica foce fluviale la recente ricerca ha potuto riconoscere la presenza di indizi di insediamenti protostorici in aree su cui sono sorte città d'epoca romana. Nella fascia immediatamente a ridosso della costa agli insediamenti costieri di fine VI-V secolo a.C. fanno riscontro abitati d'altura dell'età del Ferro coevi o talvolta anche antecedenti."23
Meriterebbe infine un esame più approfondito - anche se qui lo limitiamo in estensione e lo circoscriviamo territorialmente - l'ottima tesi della Di Lorenzo, dalla quale stralciamo alcuni passi significativi sui temi che c'interessano:
- "La rilevata mancanza, nelle fonti letterarie greche e latine, di riferimenti puntuali allo scalo portuale di Cupra Maritima, che pure dovette essere utilizzato da età assai antica e almeno fino al V sec. d.C., potrebbe in parte essere compensata, anche se indirettamente, dalle menzioni relative al santuario; questo doveva avere un rapporto stretto e funzionale con l'approdo, e, ubicato com'era in posizione dominante sul mare, costituiva certamente un punto di riferimento per la navigazione lungo quella costa, oltre a rappresentare la garanzia di una navigazione e di un approdo più sicuri.", v. p. 49. Riteniamo che la mancanza di citazioni possa anche essere attribuita alla modesta importanza del porto in questione: Comunque la limitata distanza intercorrente tra Cupra e Grottammare non può costituire una discriminante netta per escludere l'esistenza di uno scalo o di un approdo in entrambe le località tanto più che l'autrice si concede di considerare "assai verosimile che oltre che all'approdo alla foce del Menocchia la funzione portuale fosse svolta dall'insenatura naturale allora esistente compresa tra le colline di Civita e Morganti, che, data la presenza del promontorio di Marano la cui sporgenza era allora molto più pronunciata rispetto a quella attuale (...) " Se la sua fonte è solo Mostardi, che ha ipotizzato una cosa del genere sulla base di carte tolemaiche in cui è illusorio ritenere che i particolari siano stati tracciati in modo realistico, è lecito dubitare che la sua considerazione sia accettabile;
- "La corretta ubicazione di Cupra Maritima, difficoltosa a causa della scarsità di fonti storiche e letterarie che chiarifichino tempi e modi della romanizzazione dell'area cuprense, fu in passato oggetto di numerose discussioni: l'antica città romana venne localizzata, oltre che nell'area della Cupra Marittima, anche nell'area di Grottammare e di Ripatransone. Lo stato attuale delle ricerche permette comunque ormai una sicura localizzazione del centro urbano di età romana: si sviluppava in un sito non corrispondente a quello della città moderna, bensì a nord rispetto a questa.", v. p. 54;
- "Tracce del molo romano e degli ormeggi in pietra furono rinvenute da G. Annibaldi nell'immediato secondo dopoguerra, durante i lavori di rifacimento della S.S. 16 Adriatica, ma purtroppo non esiste una documentazione adeguata dello scavo; di conseguenza non risulta pienamente fruibile un ritrovamento di così grande importanza, i cui dati risulterebbero preziosi non solo per localizzare con precisione e ricostruire l'impianto portuale di Cupra Maritima, ma anche in considerazione dell'assoluta mancanza di strutture relative ai diversi porti distribuiti nell'intero territorio costiero marchigiano meridionale. Questi ormeggi sarebbero stati individuati in un punto non meglio definito della S.S. 16 Adriatica, ai piedi della collina di Civita. Sulla base di testimonianze orali sembrerebbe che tali strutture possano essere localizzate al km. 375,800 della S.S. 16 in un'area in cui agli inizi del '900 si rinvennero anche alcuni dolii di età romana; questi recipienti, utilizzati per il trasporto e per la conservazione delle derrate alimentari, potrebbero suggerire l'esistenza di magazzini funzionali al porto (...) ", v. p. 57.
Dalla lettura di questi passi si rileva come l'autrice, onestamente, non può fare altro che riconoscere l'inesistenza di fonti antiche e l'incertezza e l'inconsistenza delle testimonianze sul porto cuprense. Diverso il caso della città romana, che è dove se ne trovano i resti. Ma tra Grottammare e Marano la questione dibattuta più calorosamente riguarda il tempio della dea Cupra, non i resti della romanità, sui quali non sussistono dubbi. Si osserva pure, in quanto all'accettazione dei risultati di scavi condotti poco scientificamente, che i sostenitori della "maranesità" del tempio non accettano assolutamente quelli conseguiti a Grottammare da Dall'Osso che, probabilmente, sotto l'aspetto scientifico, non sono inferiori agli esiti ottenuti da Annibaldi.
Recentemente R. Perazzoli ha preso in esame i testi delle antiche lapidi rintracciate a Ripatransone e nei paesi vicini.24 Riporta tra l'altro il giudizio espresso da Mommsen sull'ubicazione del tempio della Dea Cupra: "Poiché si sa di certo che l'iscrizione (adrianea) è stata fin dalla metà del secolo XVI a S. Martino, chiesa che da Grottammare si trova nella direzione di S. Benedetto, e poiché non si deve dare molto credito a racconti (sopra riferiti) sul ritrovamento dell'iscrizione presso Marano, bisogna concludere o che la lapide fu portata, nel Medioevo, in una località non vicina, da servire per fabbricare, o che il tempio della Dea Cupra si trovava fuori del paese di Cupra (cioè sulla sinistra del Tesino): nulla si oppone all'una o all'altra congettura."
Non si dimentichi infine che numerosi ruderi di epoca romana sono riemersi in molti luoghi vicini a Cupramarittima, come Grottammare, S. Benedetto, ecc.
Poiché così stanno le cose, ho l'impressione che per collocare a Marano il tempio piceno ed il grande porto di cui tanto si parla si debba ricorrere non solo all'intelligenza, alla scienza ed alla cultura ma anche ad un atto di fede come, fatte le debite proporzioni, ogni tanto avviene in campo religioso.
NOTE
1 B. DI LORENZO, Il litorale marchigiano in età antica, Roma Pio Sodalizio dei Piceni 2000. Nella bibliografia relativa al capitolo Cupra Maritima e il territorio limitrofo, citata a p.48, le opere ritenute essenziali sono esclusivamente quelle che, sulla scia di Colucci e Mommsen, hanno individuato il sito del tempio non più a Grottammare, ma a Marano. Con la conseguenza che, sbandierando come effettivamente accaduta una improbabilissima ed incredibile traslazione della lapide adrianea da Marano al Tesino ed ispirandosi forse alla trasvolata della S. Casa Lauretana, tali autori hanno spostato un intero tempio dalla sua posizione naturale ad una immaginaria. Per l'esistenza nel XVI secolo della lapide a S. Martino, oltre a quanto riferito da V. Galiè ed altri che ricordano Peranzoni e Cluverio, v. anche A. SILVESTRO, Rendiamo grazie a frate Angelo Rocca, L'Arancio 17/1996, pp. 12-15; A. SILVESTRO-F. MARCUCCI, Documenti sulle fortificazioni litoranee pontificie del litorale marchigiano, Acquaviva Picena 2000, pp. 93-94.
2 Ricordiamo solo alcune delle opere dedicate da d. Vincenzo all'individuazione del sito del tempio della dea Cupra e ad altri problemi connessi: V. GALIE', Il "Fanum", la "Civita" e la "Colonia" nel territorio di "Cupra Maritima", Macerata 1990; ID., Dall'insediamento preromano e romano al castello dei secc. X-XIII. Continuità di vita negli stessi spazi della costa e dell'immediato entroterra tra il Tronto e il Potenza, in "Studi Maceratesi", 24 (1991); ID., Grottammare e il culto della dea Cupra, Archeoclub di Grottammare 1991; ID., Grottammare e il tempio della dea Cupra, in V. RIVOSECCHI, a c. di, Grottammare. Percorsi della memoria, Grottammare 1994, pp. 319-335; ID., L'apocalittica frana di Grottammare nel 1451 dipinta da V. Pagani, Macerata 1995; ID., Due realtà dell'alto medioevo nel basso Piceno: il feudo di Sonile a Carassai e la corte di S. Paterniano a Grottammare, Pedaso 1998; ID., Il fiume Elvino nominato da Plinio quale confine tra i Picenti e i Pretuzzi, va identificato con il fosso Acquachiara o S. Lucia e non con quello di Acquarossa, La Conchiglia n° 9 Pasqua 1998, pp. 8-10. Non vanno dimenticati i contributi a favore della ubicazione del tempio in S. Martino forniti da altri studiosi attivi tra l'800 e oggi: G. Speranza, G. F. Gamurrini, I. dall'Osso, F. Palestini, L. Girolami, B. Olivieri, ecc.
3 Da anni sono state abbandonate le interpretazioni basate su errate letture del testo per cui erano stati creati l'Albulates e il Suinum, variamente posti poco al di sotto o al disopra del Tronto. Ancora nel 1987, però, F. Castellani riproponeva interpretazioni del genere. In merito cfr. A. SILVESTRO, Lettera al Direttore di Flash (non pubblicata), in A. SILVESTRO-S. SILVESTRO, Da Ancona a Napoli, via Grottammare, con Raffaele Pontremoli, pittore di battaglie. E qualcos'altro ancora, Grottammare 1991, pp. 99-100. E' ovvio che l'individuazione dell'Elvino con il S. Egidio ivi proposta è ormai superata.
4 A. BRANDIMARTE, Plinio Seniore illustrato nella descrizione del Piceno, Mordacchini 1815.
5 G. COLONNA, Il santuario di Cupra fra Etruschi, Greci, Umbri e Picenti, in AA. VV., Cupra Marittima e il suo territorio in età antica, Atti del Convegno di studi, Cupra Marittima 3 maggio 1992, a c. di G. F. PACI, Picus supplemento n° II, pp. 3-31. Le citazioni sono tratte da pp. 4, 15 e 16.
6 G. COLONNA, Il santuario di Cupra fra Etruschi, Greci, Umbri e Picenti, in AA. VV., Cupra Marittima e il suo territorio in età antica, Atti del Convegno di studi, Cupra Marittima 3 maggio 1992, a c. di G. F. PACI, Picus supplemento n° II, pp. 3-31. Le citazioni sono tratte da pp. 4, 15 e 16.
7 P. FORTINI, Cupra Maritima: aspetti di vita economica attraverso la documentazione storica ed archeologica, in AA. VV., Atti ... , cit., pp. 83-181, in particolare nota 1 p. 83, nota 5 p. 84, pp. 110-114. L'autrice basa molte delle sue affermazioni su quanto asserito in F. B. MOSTARDI, Cupra, Cupramarittima 1977, a proposito del quale chi scrive ha espresso molte critiche in A. SILVESTRO-S. SILVESTRO, Da Ancona a Napoli ... , cit., pp. 77-98.
8 E. CATANI, Scavi e scoperte archeologiche in contrada Civita di Marano, in AA. VV., Atti ... , cit., pp. 183-211.
9 Cfr. E. M. POLIDORI, Opposizioni alla Cupra Marittima illustrata, 1783, ora in V. RIVOSECCHI, a c. di, Grottammare ... , cit., pp. 13-26.
10 E. M. BERANGER, Archeologia e cultura nel comprensorio cuprense, in AA. VV., Atti ... , cit., pp. 213-266.
11 G. CIARROCCHI, Cupra Maritima: ipotesi di ricostruzione dell'impianto urbano, in AA. VV., Atti ... , cit., pp. 266-294. La citazione è tratta da V. GALIE', Due realtà ... , cit., pp. 52-53. Consono a tale giudizio, ma più benevolo, quello espresso dalla Di Lorenzo a p. 57 del testo citato in nota 1: "Per quanto riguarda propriamente il bacino portuale è indubbiamente suggestiva la ricostruzione proposta da G. Ciarrocchi, seppure, allo stato attuale delle scoperte, assolutamente ipotetica e tutta da verificare."
12 N. ALFIERI, Insediamenti litoranei tra il Po e il Tronto in età romana, Picus n° 1 1991, pp. 1-39.
13 E. PERCOSSI SERENELLI, Le vie di penetrazione commerciale nel Piceno in età protostorica. Nota preliminare, Picus n° 1 1991, pp. 134-144.
14 M. AMBROSI-P. BRONZI, Evoluzione geomorfologica della bassa valle del Tronto, in AA. VV., Archeologia nell'area del basso Tronto, a c. di G. F. PACI, pp. 1-15, Picus, supplemento IV 1995. Per altre considerazioni sull'area intorno alla chiesa di S. Martino v. B. OLIVIERI, I porti di Grottammare, in AA. VV., Leggenda e coraggio della marineria grottammarese, Acquaviva Picena 1998, pp. 172-200; A. SILVESTRO, Antiche vestigia a Grottammare, L'Arancio 20/1997, p. 8.
15 N. LUCENTINI, Il territorio di S. Benedetto nella pre-protostoria, in AA. VV., Archeologia ... , cit. pp. 17-48, in particolare p. 28.
16 G. BALDELLI, L'età del ferro nel retroterra sambenedettese Acquaviva Picena, in AA. VV., Archeologia ... , cit., pp. 49-78, in particolare p. 50; P. CANCRINI, Il municipio truentino, in AA. VV., Archeologia ..., cit. pp. 147-172, in particolare pp. 147-148.
17 A. NASO, I Piceni. Storia e archeologia delle Marche in epoca preromana, Milano 2000.
18 AA. VV., Piceni. Popolo d'Europa, a c. di G. COLONNA, Roma 1999.
19 G. COLONNA, I popoli del medio Adriatico, pp. 10-12, citazione da p. 11.
20 A. L. PROSDOCIMI, Gli etnici, pp. 12-18, citazione da p. 14.
21 L. BRACCESI, La seconda testimonianza di Callimaco, ovvero i Piceni visti dai Greci, pp. 32-34, citazione da p. 32.
22 V. d'ERCOLE, I luoghi di culto. 1. Marche, pp. 86-88, citazione da pp. 86-87.
23 M. LUNI, Itinerari transappenninici e scali marittimi, pp. 143-145, citazione da pp. 144-145.
24 R. PERAZZOLI, Storie ripane, Archeoclub d'Italia, sede di Ripatransone, Mediaprnt Grottammare 2000, pp. 277-280.
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